L’efferato attacco che sabato ha scosso la Turchia, uccidendo circa 95 persone e ferendone altre 300, ha probabilmente una matrice statuale. Il problema è capire quale sia lo Stato colpevole di tale azione. Quello turco in funzione anti curda, o quello ‘islamico’ in ritorsione contro l’impegno della Turchia nella coalizione anti Isis? Oppure sono stati i militanti estremisti del PKK? Come spesso accade ognuno attribuisce le colpe al proprio antagonista politico. Sta di fatto che oggi la Turchia sta attraversando la crisi interna più delicata di tutta la sua storia recente. A tre settimane dalle prossime elezioni parlamentari, l’attentato contro il corteo di pacifisti che protestavano contro la ripresa delle ostilità tra lo Stato e le milizie Curde, avvenuto nei pressi della principale stazione ferroviaria di Ankara, getta la nazione ancora di più nel caos. I risultati conseguiti dai curdi nella lotta contro ISIS, utili anche a concretizzare la formazione di uno Stato curdo, rappresentano una minaccia per il Presidente Erdogan, tanto da indurlo ad intervenire sia contro lo Stato Islamico che, parallelamente, contro i miliziani curdi, i quali, dal confine iracheno e siriano, conducono una estenuante guerra di trincea contro il califfato. Minaccia già concretizzatasi lo scorso 7 giugno quando, alle precedenti elezioni, il partito filo-curdo dell’Hdp con i suoi 80 deputati entrati in Parlamento ha impedito la formazione di una maggioranza guidata dal partito dell’Akp di Erdogan, impedendogli la formazione di una maggioranza necessaria (i due terzi) ad imprimere una svolta presidenziale alla costituzione turca.
Questo scenario si interseca con quello rappresentato dalla lotta contro lo Stato Islamico verso il quale la Turchia è stata accusata di adottare atteggiamenti ambigui, soprattutto relativamente alla elasticità dei controlli ai confini attraverso i quali transitano combattenti, mezzi e materiali. L’incertezza economica e il flusso di migranti che dalla Siria e dall’Iraq cercano di attraversare il confine turco, al fine di raggiungere l’Europa, completano il quadro della particolare situazione esistente nella nazione. Inoltre, l’attuale intervento russo a sostegno del presidente Assad in funzione anti-ISIS, contestato dalla stessa Turchia, ha complicato ancora di più i delicati equilibri esistenti nella regione. Le violazioni dello spazio aereo turco da parte dei caccia russi, segnalate recentemente, hanno indotto la NATO a richiedere l’immediata interruzione delle operazioni da parte di Mosca, evidenziando che l’Alleanza Atlantica è pronta ad inviare truppe in Turchia per difendere il Paese in quanto membro della stessa. Va ricordato, infatti, che l’art. 5 del Trattato Nord Atlantico afferma sostanzialmente che un attacco armato contro uno o più Paesi aderenti allo stesso si considera come un attacco contro ogni componente dell’Alleanza con la conseguenza che ognuno, in virtù del diritto di autodifesa sancito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, può adottare l’azione che giudicherà necessaria, compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza della regione, salvo poi definire il tutto davanti il Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La Turchia si trova dunque ad affrontare una serie di questioni, interne ed internazionali, molto delicate che la collocano in una posizione chiave nel quadrante mediorientale il cui destino è inesorabilmente legato a quello della Siria e dell’Iraq. Bisogna evitare di fare in modo che la lotta al terrorismo sia un pretesto per coltivare gli interessi particolari di ogni attore in campo. Per questo la situazione nell’area appare molto complessa.