Il vento del populismo sta cambiando il profilo della democrazia occidentale. Nel futuro un nuovo orizzonte si farà strada: “La Popolocrazia”. Per cominciare a navigare dentro questo concetto- contenitore può sicuramente tornare utile la lettura del saggio di Ilvo Diamanti, docente di Scienza Politica dell’Università di Urbino Carlo Bo e di Marc Lazar, presidente della School of Government della Luiss di Roma e docente di Storia e Sociologia politica presso l’Istituto Science Po di Parigi (Popolocrazia, ed. Laterza, E.15.00, pagg. 163).
Populismo e populisti sono le due parole-chiave che si stanno imponendo un po’ ovunque nel mondo, in particolare dopo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. In Europa vengono impiegate di continuo per rievocare la Brexit e definire le forze antisistema, quali il M5S Italia, il Front Nazional e la France Insoumise in Francia, Syriza in Grecia, Podemos in Spagna. Un “Pantheon” di soggetti che si allarga a dismisura in questa fase di profondo mutamento degli equilibri politici. La Popolocrazia esprime una tendenza verso la democrazia immediata, un vero e proprio passo “di lato” rispetto alla democrazia diretta, che presenta rischi, ma anche opportunità.
La nuova prospettiva ha determinato un tonfo clamoroso per l’istituto della rappresentanza, che già Rousseau, il celebre filosofo autore del Contratto Sociale (cui non a caso il M5S ha idealmente intitolato la piattaforma web) aveva criticato, stigmatizzando la democrazia anglosassone, pronta a riconoscere la piena sovranità ai cittadini al momento di eleggere i parlamentari, per poi spogliarli di qualsiasi potere una volta eletti: da quel momento decideranno per loro. Così, per evitare che la storia si ripeta, l’obiettivo che i populisti cercano di perseguire è molto chiaro: accorciare lo scarto tra la collettività e il ceto dirigente, tra Demos e Kratos. Il ribaltamento di prospettiva che ne consegue risulta già molto visibile anche in Italia. Il primo tratto distintivo della “popolocrazia” è la personalizzazione, che implica un’”incarnazione” tra la leadership e il popolo, concepito come un unicum privo di differenze.
Il secondo elemento che segna il passaggio dalla democrazia alla popolocrazia riguarda i metodi e i canali di comunicazione. Internet è per i populisti il punto di osservazione privilegiato che consente di registrare i processi di trasformazione che attraversano la società. I partiti tradizionali pagano lo scotto più alto, perché responsabili di non aver saputo leggere e interpretare quello che stava avvenendo in un corpo collettivo, spossato dal costante avanzamento della soglia di povertà oltre che indebolito da una disuguaglianza sociale e territoriale che nel caso dell’Italia sta riproponendo la spaccatura tra il Nord ricco ed evoluto e un Mezzogiorno fatalmente condannato a un drammatico e irreversibile declino.
E veniamo al terzo aspetto che connota la popolocrazia: l’adattamento di tutti gli attori politici al linguaggio e alle rivendicazioni dei populisti, fenomeno che ha contrassegnato gli ultimi appuntamenti elettorali in Olanda, in Austria, in Francia, e in Italia, dove abbiamo assistito ad una progressiva torsione demagogica del dibattito pubblico sulle questioni più vicine alla “pancia” degli elettori: xenofobia, paura degli immigrati, chiusura delle frontiere, antieuropeismo strisciante. Tutti temi su cui, se guardiamo in casa nostra, si andranno a misurare gli spazi di un possibile accordo tra la Lega e il M5S, forze che hanno come tratto comune di porsi in antitesi alle “caste”, ma che mantengono evidenti differenze identitarie e programmatiche destinate probabilmente a pesare come un macigno sugli equilibri politici ancora tutti da bilanciare.
Se, in conclusione, dovremo abituarci a considerare il populismo come cifra sociale e culturale dominante la contemporaneità, bisognerà capire, e su questo hanno ragione ad insistere gli autori, come andare “oltre”, facendo in modo che “i partigiani della democrazia”, la definizione è degli autori, sappiano offrire ai cittadini le tutele che essi attendono rifondando i pilastri del patto sociale. Altrimenti si farebbe per noi concreto il rischio di trovarsi di fronte a una classe dirigente miope e imbelle, capace, di fronte allo spaesamento, solo di affermare come ben rappresentato in una gustosa vignetta di Altan: “Il popolo non ci capisce? Poco male, cambiamo il popolo”.