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Scollegati e scappa. I guru dei Social: “diffidate del mondo che abbiamo creato”

di
Roberta Rega

“Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu”, nell’era dei social network e degli onnipresenti smartphone tra le mani ci è stato ripetuto fino alla noia. Ma finora era mancato uno sguardo dall’interno di una tecnologia tanto rivoluzionaria, lo stesso sguardo raccontato su Netflix dal documentario del momento, The Social Dilemma. Presente sulla piattaforma online dai primi di settembre, The Social Dilemma raccoglie opinioni, racconti e punti di vista di chi ha contribuito a creare la realtà che oggi domina e sovrasta il reale, svelandocene storture, dilemmi etici, pericolosità e potere. È incredibile come un gruppo esiguo di persone che lavorano per Google, Instagram, Facebook, Pinterest prenda decisioni che incidono sulla vita di milioni di utenti nel mondo. La verità è che, pur disegnando dinamiche che già si intuivano da anni, The Social Dilemma mette a nudo l’influenza che questi mezzi esercitano in maniera sempre più evidente a livello sociale, politico, ideologico, finanche psicologico su intere generazioni di individui. Janor Lanier, un pioniere della realtà virtuale, nel corso del documentario spiega che il prodotto in vendita non siamo noi, bensì la nostra percezione della realtà: «è il graduale, impercettibile cambiamento del tuo comportamento e della tua percezione a essere il prodotto. È questo il prodotto, è l’unico prodotto possibile. (…)Cambiare quello che fai, il modo in cui pensi, chi sei. Il cambiamento è graduale e lieve. Loro possono andare da qualcuno e dire “dammi dieci milioni di dollari e io riuscirò a indirizzare l’un per cento del mondo nella direzione che vuoi”». Una presa di posizione del genere, proveniente da chi è stato per anni nel giro delle grandi aziende hi-tech della Silicon Valley, non poteva che creare scalpore e far riflettere, o per lo meno cambiare il rapporto con i social di molti utenti.

Il terremoto provocato da un documentario dove l’inventore del “Like” ci spiega come ciò manipoli la nostra mente, non è passato inosservato sulla stampa italiana e internazionale.

Il 25 settembre – un po’ in ritardo rispetto al tam tam già in atto dagli Stai Uniti – la Repubblica definisce gli utenti dei social “Sedotti e ingannati: un documentario svela la trappola dei social. Su Netflix The Social Dilemma, con i guru della tecnologia che mettono in guardia dagli strumenti che hanno creato”. Il giorno dopo, il Corriere della Sera titola “The Social Dilemma, limiti e punti di forza del documentario di Netflix”, raccontando in un lungo articolo anche criticità e passaggi che peccano di superficialità, ma affermandone senza dubbio l’efficacia. Per GQ Italia, è “il documentario choc che cambierà per sempre il tuo modo di vedere i social” (24/09/20), mentre Rivista Studio lo definisce un fallimento: “Il documentario di Jeff Orlowski dà un’immagine di Facebook spaventosa, ma non spiega nulla di quello che dovrebbe spiegare” (23/09/20). Open di Enrico Mentana, già il 17 settembre pubblicava un articolo dove spiegava “perché The Social Dilemma è il documentario da guardare prima di mettere il prossimo like su Instagram”, mentre Dario Salvelli su l’Espresso (13/09/20) evidenzia che “è forse la prima volta che chi ha lavorato alle piattaforme digitali fa coming-out per spiegare che la tecnologia è stata usata per manipolare le abitudini e la mente di tutti noi per trarne profitto”. Il Giornale titola “Ossessioni, denaro, fake: il lato oscuro dei social” (22/09/20), a firma Matteo Ghidoni, e anche l’Avvenire ne parla senza farsi trascinare dai facili entusiasmi, definendo il documentario “un processo tv ai social con troppe mancanze” (18/09/20) e affermando: “Il limite di Social Dilemma è che è realizzato più per lanciare allarmi che per costruire; più per spaventarci che per aiutarci ad avere una visione completa del fenomeno e soprattutto indicarci le possibili soluzioni a minacce, eccessi e storture del mondo digitale”.

Volgendo lo sguardo alla stampa estera, El Paìs ne parla citando un ironico paragone con Lola Flores: “non sa cantare né ballare, ma non perdetevela” (19/09/20). Ben diversi i toni di The Guardian, decisamente duri, che non lasciano spazio a dubbi sugli effetti nefasti delle reti sociali con un titolo che mette in relazione l’escalation dei social network col cambiamento climatico: “A climate change-scale problem: how the internet is destroying us” (8/09/20). The Guardian ospita anche un editoriale del regista del documentario Jeff Orlowski (27/09/20), nel quale si afferma il bisogno di ripensare ai social network “prima che sia troppo tardi”. Oltreoceano, secondo la canadese CBC il documentario sbaglia perché “confonde il sintomo con la causa” (27/09/20), ma il titolo più eloquente è senza dubbio del New York Times (9/09/20): “scollegati e scappa”, non senza aver prima spiegato che i problemi di dipendenza e le violazioni della privacy sono caratteristiche intrinseche, e non semplici bug, delle piattaforme social.

 

 

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