Se la didattica a distanza è stata deleteria per molti studenti, ancora di più lo è stata per i ragazzi con disabilità. Allontanati da compagni ed insegnanti, sono loro ad aver patito più di tutti i giorni del lockdown, imprigionati nelle loro stesse case. Il ritorno a scuola, già di per sé caratterizzato dalle mille carenze di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni, ha fatto rinascere il dibattito relativo al sostegno scolastico. Come sostenuto dalla Ministra Azzolina: «I mali del sostegno vengono da lontano: chi vive la scuola lo sa» o, almeno, così dovrebbe.
Secondo un report presentato da Tuttoscuola il 59% degli alunni disabili – vale a dire sei su dieci – al ritorno in classe troverà insegnanti mai visti prima, con i quali bisognerà, per l’ennesima volta, costruire un rapporto di fiducia ed intesa, nonché avviare un percorso di apprendimento e di crescita. La continuità didattica ha un’influenza ben diversa per l’alunno disabile rispetto all’intera classe. Infatti, la perdita di questa continuità è rara nel caso del gruppo classe e si verifica generalmente con il ricambio dell’intero corpo dei docenti nel passaggio da un anno all’altro. Non si può dire che accada lo stesso con gli insegnanti di sostegno, spostati o cambiati anche più volte durante il corso dell’anno scolastico.
Certo, se si analizza più nel dettaglio il problema, questo aspetto sembra essere del tutto superficiale e trascurabile. Sì, perché ce n’è un altro ben più grave: quello relativo alla competenza dell’insegnante. Si potrebbe riassumere dicendo “l’insegnante giusto per il disabile giusto”, che significa affidare a ciascun ragazzo affetto da disabilità una persona che abbia la preparazione e le competenze necessarie per gestire la situazione. Invece, quello che purtroppo succede in molte realtà scolastiche, è l’assegnazione del tutto casuale del docente all’alunno.
Negli ultimi anni, vista la carenza di personale di sostegno qualificato, i dirigenti scolastici si sono visti costretti ad assegnare le cattedre anche a docenti di terza fascia privi del titolo necessario. È infatti possibile candidarsi per una supplenza come insegnante di sostegno semplicemente inviando alla scuola una domanda di messa a disposizione tramite l’apposita piattaforma. Ma questo non basta, perché ad aggravare la situazione del sostegno scolastico incide il mercato del lavoro. Sul Web è facile imbattersi in siti che propongono di diventare insegnante di sostegno senza specializzazione, l’importante è pagare la quota online.
Non è infrequente, quindi, che laureati privi dell’abilitazione per l’insegnamento delle proprie materie di indirizzo ripieghino su tale settore, spesso usandolo come trampolino di lancio per passare, successivamente, ad insegnare altro, per entrare nelle graduatorie o semplicemente per essere assegnati ad una scuola più vicina a casa. Il vero problema è che a farne le spese sono i ragazzi disabili.
Per avere un’idea di quanto il fenomeno del sostegno riguardi da vicino la scuola italiana, si devono prendere in considerazione alcuni numeri. La ripartizione dei docenti destinati agli studenti in grave difficoltà non è affatto proporzionale alla domanda. Stando ai dati del Miur per l’anno 2019 (Miur, Rapporto 2019 sulla disabilità nelle scuole) in Umbria vi erano 300 posti in meno rispetto ai posti spettanti, 1.086 in Toscana, 1.347 in Emilia Romagna, 2.792 in Lombardia. Dall’altro lato ce n’erano 785 in più in Sicilia, 1.020 nel Lazio, 1.350 in Puglia e 1.899 in Campania.
E la situazione non è certamente migliorata nel 2020, con il grave affollamento delle classi, la mancanza di docenti, il Covid-19. In questo panorama il numero di studenti disabili continua a crescere: da uno ogni 67 nell’anno scolastico 1997/1998, ad uno ogni 28 nell’anno scolastico 2019/2020. L’accelerazione degli ultimi decenni è davvero importante: da 181.177 a 282.595, con circa 185mila docenti di sostegno.
L’aumento di questi numeri si lega sicuramente ad una maggiore sensibilità nei confronti della disabilità, per cui sono state inserite in questa categoria una serie di patologie e disturbi che fino a venti anni fa non erano considerati come un handicap.
Tuttavia, nonostante questi progressi ancora oggi la scuola italiana, così come l’intero Paese, non ha superato un problema essenziale come può essere, ad esempio, quello delle barriere architettoniche, per cui l’83% delle scuole napoletane, il 91% di quelle salernitane, il 94% di quelle di Vibo Valentia non hanno l’ascensore, uno strumento fondamentale per tutti coloro che hanno problemi motori o visivi.
In questo momento la scuola non può assumersi solamente l’onere di arginare la potenziale diffusione del virus fra gli studenti, ma deve garantire il ripristino, per quanto possibile, della socialità e della didattica in presenza (in particolar modo per i disabili), mostrandosi come un luogo di interazione e aggregazione sicuro. Spetta alla scuola rassicurare le famiglie dei ragazzi più fragili, proprio perché se potrebbe essere difficile per un bambino affrontare il virus o una quarantena, quanto potrebbe esserlo per un ragazzo con handicap?