Ho analizzato e classificato tutte le stragi dell’Isis in Europa occidentale tra il 2015 e il 2020, individuando tre categorie di attacchi.
Alla prima categoria appartengono gli attentati organizzati dai vertici dell’Isis. Nella seconda categoria, invece, ricadono gli attentati delle “cellule autonome”, vale a dire gruppi di amici o parenti (cellule) che uccidono in nome dell’Isis, ma senza contatti con l’organizzazione (autonome). Alla terza categoria, infine, appartengono gli attentati dei lupi solitari, che ho suddiviso ulteriormente in “lupi solitari addestrati” e in “lupi solitari non addestrati”. Questa classificazione pone gli attentati in ordine decrescente di letalità. Con pochissime eccezioni, gli attentati di primo tipo sono più devastanti degli attentati di secondo tipo che, a loro volta, sono più letali degli attentati di terzo tipo. Gli attentati meno letali di tutti sono quelli dei lupi solitari non addestrati. Ho presentato questa ricerca nel libro L’Isis non è morto (Rizzoli Editore).
Influenzato dalla teoria delle élites e, più in particolare, dagli studi di Robert Michels sul potere dell’organizzazione, la variabile fondamentale della mia classificazione è rappresentata proprio dall’organizzazione. Più i terroristi sono organizzati, più sono devastanti. Sotto il profilo idealtipico, l’attentato contro le Torri gemelle dell’11 settembre 2001 e quello di Mumbai del 26-28 novembre 2008 rappresentano il livello massimo di organizzazione e, quindi, il massimo di letalità, mentre l’attentato di Mohammed Game, il maldestro lupo solitario che ha fatto esplodere soltanto la sua mano (Milano, 12 ottobre 2009), rappresenta il livello minimo di organizzazione e, quindi, il minimo di letalità.
Nel periodo esaminato, ho calcolato che gli attentati di primo tipo sono stati 2, ovvero la strage del Bataclan del 13 novembre 2015 e quella del 22 marzo 2016 a Bruxelles; gli attentati che possono essere considerati chiaramente di secondo tipo sono stati 3 (non sempre la distinzione è agevole); gli attentati di terzo tipo sono stati 18, di cui soltanto due sono stati realizzati da lupi solitari addestrati. Il che significa che, dopo la strage di Bruxelles, la quasi totalità degli attentati è stata realizzata da lupi solitari non addestrati.
Questi dati impongono una domanda: perché l’Isis non è riuscito a replicare una strage complessa come quella del Bataclan? Perché la sua organizzazione nelle città europee, anziché migliorare, è declinata fino a svanire? Una risposta è urgente, visto che l’opinione pubblica era convinta che gli attentati dell’Isis sarebbero diventati più letali con il passare del tempo. Le cause principali sembrano essere tre.
La prima è che le forze dell’antiterrorismo sono ben organizzate e assicurano un livello elevato di repressione delle attività jihadiste, nonostante gli errori. La seconda è che un foreign fighter non è necessariamente anche un terrorista e, infatti, molto raramente i primi sono disposti a farsi saltare in aria nelle città in cui sono cresciuti. Insomma, una grande crescita del numero dei foreign fighter non implica, di necessità, una crescita proporzionale nel numero dei terroristi. Detto più semplicemente, un cittadino italiano, che si arruoli nelle milizie jihadiste per combattere in Siria contro Bassar al Assad, non per forza è disposto a farsi esplodere nelle metropolitane delle città italiane, come dimostra il caso del genovese Giuliano Del Nevo.
Veniamo adesso alla terza causa: il livello di fedeltà dei musulmani europei alle società libere. I dati che ho riportato sulle stragi possono essere interpretati in due modi opposti. Secondo la “tesi negativa”, come propongo di chiamarla, la crescita degli attentati jihadisti e dei foreign fighter è la dimostrazione che i musulmani d’Occidente non sono integrati nella società europea e che, pertanto, devono essere guardati con sospetto. Secondo la “tesi positiva”, di cui sono promotore, è vero il contrario: l’Isis ha offerto ai musulmani europei la possibilità di sfogare il loro presunto odio verso la società in cui vivono, ma i musulmani non hanno voluto seguire l’esempio degli attentatori del Bataclan. Nella mia impostazione, un’organizzazione terroristica può essere concepita come un partito politico, che si rivolge a un elettorato potenziale, a cui offre una ricetta per risolvere i suoi problemi. Nel caso dell’Isis, l’elettorato potenziale sono i musulmani, mentre la ricetta consiste nel farsi esplodere tra la folla: «Cari musulmani europei – dicono i capi dell’Isis – siete discriminati e devote farvi esplodere per risolvere il problema».
Che prevalga la tesi negativa o quella positiva è della massima importanza per il futuro delle società libere. Se la prima tesi avrà la meglio, la convivenza tra religioni diverse diventerà sempre più problematica e conflittuale, dal momento che il sospetto verso i musulmani avrà, tra le sue numerose conseguenze, l’innesco continuo della profezia che si autoadempie, descritta magistralmente da Robert Merton, nel suo Teoria e struttura sociale. Se, invece, la seconda tesi diventerà la narrazione dominante, le società libere troveranno più agevole organizzare la convivenza multietnica. In sintesi, la difesa delle società libere non dipende soltanto dall’esito dello scontro tra i militanti dell’Isis e le Forze di polizia, ma anche dall’esito dello scontro tra due opposte narrazioni pubbliche.
Come ha spiegato Luciano Pellicani, nel suo bellissimo libro I rivoluzionari di professione, le idee degli intellettuali quasi mai hanno ricadute immediate sull’organizzazione della vita sociale. Tuttavia, nel lungo periodo, possono fare la differenza. È, dunque, importante, nella lotta contro l’Isis, che i princìpi della laicità dello Stato non vengano utilizzati per creare una linea di demarcazione immaginaria tra i musulmani e i non musulmani. Sotto il profilo storico, occorre ricordare che la laicità dello Stato in Europa è sorta per contrapporsi al Cristianesimo e non all’Islam. Un discorso analogo vale per l’Italia, ovviamente, la cui laicità dello Stato si è affermata con una guerra, culminata con la breccia di Porta Pia, per impedire che i valori del Cristianesimo plasmassero tutti gli aspetti della vita pubblica. Clark McCauley e Sophia Moskalenko hanno significativamente intitolato il loro libro sulla radicalizzazione: Friction: How Radicalization Happens to Them and Us. Appunto, stiamo attenti alla radicalizzazione altrui e a quella nostra.
*Membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Permanente sui Temi Internazionali dell’Eurispes
L’articolo è disponibile anche in inglese https://www.leurispes.it/isis-attacks-in-europe-analysis-and-mapping/