L’Italia è il terzo paese nell’Unione europea, dopo Olanda e Belgio, per deficit di suolo agricolo e il quinto su scala mondiale: dagli anni Settanta ad oggi, infatti, la perdita di superficie agricola nel nostro Paese ha interessato una superficie pari a 5 milioni di ettari, un’area equivalente al territorio delle regioni Liguria, Lombardia e Emilia Romagna.
Dal dopoguerra si è assistito ad un vorticoso aumento del consumo di suolo a danno soprattutto di terreni agricoli e aree boscate. È il risultato di uno sfruttamento “criminale” del territorio: si è scelto nel tempo un modello di sviluppo a breve termine, focalizzato su un’economia che ha prodotto inquinamento e ha compromesso, in maniera talvolta irreversibile, l’equilibrio naturale e la capacità di rigenerazione del ciclo ambientale.
A causare la contrazione dei suoli agricoli sono stati l’abbandono dei terreni, uno sviluppo industriale forzato (vedi i casi di Taranto, Bagnoli, Scarlino o Porto Torres) e la cementificazione, un fenomeno che dagli anni Cinquanta a oggi ha interessato un’area di 1,5 milioni di ettari, equivalente all’intera Regione Calabria. In soli 15 anni i Comuni hanno rilasciato permessi per costruire pari a 3,8 miliardi di metri cubi, oltre 250 milioni di metri cubi l’anno.
Lo stato del territorio italiano prosegue nel suo lento peggioramento. I fenomeni meteorologici violenti sono sempre più frequenti. Mettere in sicurezza il nostro territorio costerebbe oltre 40 miliardi di euro. Il numero dei Comuni in aree ad elevato rischio idrogeologico, straordinariamente cresciuto, è passato a 6.631, equivalente al 10% della superficie territoriale italiana (29,5mila kmq), e quello dei Comuni a rischio sismico è salito a 2.893, il 44% del territorio complessivo (131mila kmq). La popolazione italiana esposta a rischio idrogeologico e sismico supera i 27 milioni di persone.
Tra le cause, la cementificazione, l’urbanizzazione, l’abusivismo edilizio, il disboscamento, la mancata manutenzione dei corsi d’acqua stanno rendendo i suoli italiani più poveri e quindi più vulnerabili agli agenti atmosferici. C’è poi la piaga degli incendi boschivi che indeboliscono la capacità statica dei terreni. Secondo i dati del Corpo Forestale dello Stato dal 1970 al 2012 sono andati in fumo circa 4.451.831 Ha di territorio, il 46% di superficie boscata e il 64% di superficie non boscata.
La spesa in costante crescita. Dal 1944 al 2012 il Paese ha speso circa 242,5 miliardi di euro per fronteggiare i danni provocati da terremoti e da eventi franosi ed alluvionali: circa 3,5 miliardi all’anno. Tra il 1944 e il 1990, la media è stata di circa 2,8 miliardi all’anno. Tra il 1991 e il 2009, circa 4,7 miliardi all’anno; mentre negli ultimi anni (dal 2010 al 2012) la media è addirittura cresciuta a 6,8 miliardi all’anno.