Viaggi alternativi. A “caccia” di “nicchie di vita”, lontano dal turismo del selfie

Gli italiani sono buoni viaggiatori. Vacanzieri, turisti, soggiornanti, ma sempre più mordi e fuggi durante ponti e fine settimana. L’offerta turistica, d’altra parte, si sta articolando e differenziando, con la proposta di esperienze di viaggio alternative, rivolte a target specifici e più esigenti. Si tratta del cosiddetto turismo esperenziale, che fa del viaggio una vera esperienza di vita, nella quale il soggetto è parte attiva. Ne parliamo con Daniele Bellucci, fondatore dell’associazione “Festival nel mondo”.

Fino a qualche anno fa, lei aveva un posto di lavoro fisso in una grande azienda informatica. Dopo vent’anni si è licenziato ed ha cambiato completamente vita…
Esatto. D’altronde, la laurea in Matematica poteva portare sbocchi solo in quella direzione, avendo scartato a priori l’ipotesi insegnamento. All’inizio, il lavoro da programmatore non mi pesava neanche tanto, il salario era buono e il tipo di attività varia e talvolta stimolante, poi col tempo è peggiorato progressivamente tutto l’insieme: lavoro meccanico e dequalificante (sono arrivato a fare helpdesk) e il salario rimasto fermo all’ultimo aumento in lire. La molla decisiva è scattata alla soglia dei 50 anni, quando ho letto, con la nuova riforma, quando sarei potuto andare in pensione; e l’idea di fare quella vita fino a quasi 70 anni (ma la società mi avrebbe comunque mandato via almeno 10 anni prima) mi ha dato la spinta per provare a vivere di ciò che mi piace fare più di tutto: fotografare e viaggiare. Poiché comunque qualche entrata “sicura” era necessaria, con la liquidazione e l’incentivo all’esodo ho ristrutturato casa trasformandola in mini bed&breakfast (una sola stanza a disposizione per gli ospiti, la casa è piccola).

Come è nata la sua idea di reinventarsi nel settore del turismo? È sempre stato un viaggiatore?
L’idea del bed&breakfast l’avevo da tempo. A quell’epoca le strutture ricettive erano poche e non avevano ancora saturato il mercato, quindi era possibile immaginare di avere entrate sufficienti a vivere anche affittando una sola stanza. Inoltre, sono attratto da sempre dalle diverse culture che popolano il pianeta e questo era un modo per entrarne in contatto, conoscere stili di vita diversi, costo e qualità della vita di paesi vicini e lontani. D’altronde, questa stessa sete di conoscenza del mondo aveva fatto di me un viaggiatore già da moltissimo tempo, e soltanto qualche anno più tardi ha incanalato questa mia passione dentro la passione ancora più forte della fotografia. Quando lavoravo, riuscivo a ritagliarmi dei periodi di ferie per poter spendere gran parte del salario in viaggi anche dispendiosi da un punto di vista economico. Ora era il momento di mettere a frutto la mia esperienza di viaggiatore, contestualmente a quella di fotografo e docente di fotografia, dal momento che da qualche anno avevo iniziato a preparare, organizzare e realizzare vari corsi di fotografia.

In che cosa si differenzia un viaggio fotografico rispetto ai viaggi tradizionali?
Un viaggio fotografico, insieme ad altre tipologie di viaggio che ora rientrano nella categoria di turismo esperienziale, non è univocamente definibile. L’aspetto didattico può essere declinato in vari modi: chi fa un’analisi delle foto dei partecipanti su un portatile la sera, chi fa questa analisi sui display delle fotocamere nelle pause tra una visita e l’altra, chi distribuisce indicazioni e suggerimenti ai partecipanti al momento degli scatti. E il costo di questi viaggi tiene conto anche di queste differenze nella didattica. La costante che hanno in comune è l’“approccio fotografico”. Faccio un esempio: in Sri Lanka qualunque tour, fotografico o no, include una sosta a vedere i pescatori sui trampoli. Ma, mentre un tour normale si limita ad una breve sosta con veloci scatti (prevalentemente con smartphone), un tour fotografico può prevedere una sosta anche di ore, perché può rivelarsi necessaria una relazione con i pescatori, anche elargendo una sostanziosa mancia, per averli “collaborativi”, per effettuare un’esaustiva ricognizione al fine di scegliersi con cura le posizioni ottimali per gli scatti anche in funzione della direzione della luce, approfittare più a lungo possibile della disponibilità dei pescatori a rimanere in una determinata posizione anche per parecchi minuti, poiché una buona foto ha bisogno della combinazione di più variabili indipendenti e dilatando il tempo a disposizione, le probabilità che queste variabili possano produrre contemporaneamente la combinazione “giusta”, aumentano a loro volta.

Come definirebbe esattamente Festival nel Mondo? Che cosa caratterizza un viaggio di Festival nel Mondo?
L’idea di Festival nel Mondo (associazione costituita insieme a Daniele e Virginia Antonelli) ci è venuta in mente vedendo un video di una festa tradizionale giapponese: essendo tutti noi affascinati dall’aspetto etnico e antropologico della varie culture nel mondo, null’altro ci è parso così peculiare quanto assistere e fotografare una festa tipica, che non è altro che il reiterarsi di una rievocazione di qualche fatto importante per quella popolazione, un modo per mantenere in vita un qualcosa di antico che caratterizzava una certa cultura, anche ora che quella cultura si sta annacquando, inevitabilmente “corrotta” dalla cultura tecnologica occidentale dominante. Dunque si è deciso di creare dei viaggi fotografici appoggiandoci a tour del luogo che fossero orientati alle culture minoritarie e alle differenze etniche ma sempre in occasione di festival tradizionali.

Con quale criterio sceglie le mete dei suoi viaggi, oltre alla presenza di Festival, naturalmente?
Cerchiamo di scegliere dei paesi (o regioni) piuttosto tipizzati etnicamente, che racchiudano al proprio interno perlomeno delle nicchie di vita e cultura tradizionali. Ad esempio nel 2018 ho organizzato un viaggio in Uzbekistan. Normalmente un viaggio in Uzbekistan si focalizza sulla visita delle tre città storiche – Samarcanda, Bukhara e Khiva – includendo al massimo due forti a Nord di Khiva o un’escursione al Lago d’Aral. Io ho voluto fortemente inserire nell’itinerario la visita a due villaggi montani, per entrare in contatto con la gente di quei luoghi, prevalentemente contadini e pastori, con stili di vita completamente diversi da quelli cittadini.

Che tipo di riscontro ha avuto in questi anni la sua proposta? Che cosa ha scoperto sulle potenzialità e sulle caratteristiche del bacino di viaggiatori a cui è arrivata la sua proposta?
Chi ha potuto partecipare si è sempre dichiarato soddisfatto dell’esperienza. Purtroppo, è un settore di nicchia e senza un cospicuo investimento si rimane ancorati alla propria cerchia di amici, conoscenti e appassionati. D’altronde, Festival nel Mondo è un’associazione e pertanto la sua finalità non è il guadagno ma una mission. Ci sono realtà più strutturate che investono molto nella sponsorizzazione delle loro proposte, fisiologicamente più costose delle nostre, e stanno allargando velocemente il proprio bacino di utenza, anche grazie al conseguente ottimo posizionamento nei motori di ricerca.

Sulla base della sua esperienza, come definirebbe gli italiani? Turisti o viaggiatori, o ancora vacanzieri occasionali? Secondo lei, questo è destinato a restare un turismo di nicchia?
È difficile fare una distinzione netta tra queste categorie. Sicuramente troviamo italiani ovunque, nelle grandi città d’arte europee come nei paesi più sperduti del pianeta. Credo che la percentuale di italiani “turisti”, nell’accezione peggiore dal mio punto di vista, ossia coloro che viaggiano esclusivamente per visitare i luoghi più iconici e pubblicizzati di una città o di un paese, magari semplicemente per collezionare dei selfie da pubblicare sui Social o far vedere a parenti e amici di ritorno a casa, sia superiore a quello dei nostri vicini paesi occidentali. Tra l’altro questo tipo di turismo superficiale “mordi e fuggi” è anche facilitato dall’abbassamento dei prezzi dei voli con l’avvento delle compagnie low cost e con la diffusione incontrollata di strutture ricettive, che porta ad un abbassamento complessivo dei prezzi. Tuttavia, conosco anche un gran numero di veri viaggiatori, anche solitari, soprattutto donne, che ho potuto appurare, anche nel campo della fotografia, essere più interessate e curiose degli uomini.

Nel panorama dei viaggi “alternativi”, nel nostro Paese le sembra ci sia un’offerta ricca o limitata?
Non ho il polso della situazione all’estero ma ho la sensazione che in Italia l’offerta di varie tipologie di viaggio sia piuttosto ricca, ma la platea di viaggiatori viri sempre sulle stesse proposte: coppie in città d’arte con viaggi low cost o singoli che si aggregano a viaggi di gruppo con tour di chiara fama ma sempre low-budget. In generale, non mi pare abbiano la curiosità di provare esperienze diverse. C’è anche da dire che stiamo vivendo un momento poco esaltante dal punto di vista economico: il lavoro è diventato precario ma si lavora di più, il costo della vita è aumentato ma il salario è sostanzialmente invariato da anni. Ho tantissimi amici che vorrebbero partecipare ai nostri viaggi, ma o non hanno soldi o non hanno ferie.

Che cosa servirebbe in Italia per diffondere e promuovere efficacemente una meno scontata concezione del viaggio? Ha accennato precedentemente al “turismo esperienziale”. Di cosa si tratta?
Il problema principale, secondo me, è la conoscenza: non si può pensare di partecipare ad un viaggio “alternativo” non solo se non lo si conosce, ma anche se non si ha la minima idea che possa esistere “qualcosa del genere”. L’ideale sarebbe un portale di viaggio, che contenga tutte le tipologie di viaggio e che dia pari visibilità a tutte queste proposte, così da posizionare tutte le realtà allo stesso punto di partenza, dando la possibilità a chi vi accede di valutarle in base a destinazione, programma, costo, tipologia, autorevolezza e skill di guide e accompagnatori, recensioni, ecc. Il turismo esperienziale nasce proprio dall’esigenza, da parte del viaggiatore, di sperimentare esperienze diverse dal classico viaggio turistico; ecco che sono nati così viaggi orientati al food&wine, allo yoga, al biking, percorsi tematici, insomma, che rendano il viaggio più focalizzato su aspetti specifici rispetto a tour generalisti e nei quali il turista ricopra un ruolo maggiormente attivo all’interno della proposta.

Sta per integrare l’attività di viaggi proprio con l’organizzazione di tour esperienziali a Roma destinati ai turisti stranieri, immagino in àmbito fotografico.
Sono fotografo e quindi opererò nell’ambito della fotografia. Insegnerò ai turisti, non necessariamente stranieri ma anche italiani, a fotografare (o ad approfondire conoscenze e tecniche fotografiche a chi già ha acquisito nozioni di fotografia) con una fotocamera reflex, portandoli in luoghi di Roma non turistici, come angoli nascosti del centro ma anche le periferie della città, e che abbiano un legame con la creatività come l’artigianato o la street art. È un modo innovativo di scoprire una città raffinando anche, attraverso la fotografia, il proprio sguardo; e che cosa ci può essere di meglio che sperimentarlo a Roma, uno scrigno magico e pieno di bellezze nascoste e sorprendenti che non ha rivali al mondo?

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