Il fatturato del comparto agrifood in Italia si aggira sui 132 miliardi di euro (produzione e trasformazione); gli occupati superano i 3,2 milioni; l’export si attesta sui 41,2 miliardi di euro. Tuttavia, a fronte di questi numeri e di una tangibile centralità dei temi legati al cibo ed all’alimentazione, a livello istituzionale, l’agricoltura continua a non ricevere un adeguato supporto.
Nel dibattito politico, occuparsi di alimentazione, ambiente, territorio, agricoltura sembra in molti casi un impegno accessorio, piuttosto che dovuto ad uno dei più grandi tesori del nostro Paese. Eppure, la gestione delle questioni riguardanti l’agricoltura si riverbera sul territorio, sul turismo, sulla salute, sull’ecologia, sull’economia in generale. Tutti àmbiti connessi più o meno direttamente con cibo ed agricoltura.
Nonostante il sistema agro-alimentare italiano ricopra un ruolo rilevante a livello europeo, la nostra agricoltura stenta a raggiungere livelli di organizzazione tali da elaborare visioni strategiche e di lungo periodo funzionali ad una sua più efficace valorizzazione in uno scenario competitivo sempre più aggressivo.
Continua, infatti, ad evidenziarsi una certa fragilità dell’intero sistema, che si presenta polverizzato in un eccessivo numero di unità produttive e con una modesta presenza di aziende professionali. A questo si aggiungono anche le condizioni orografiche del territorio che, per la sua stessa conformazione, rende onerosi e difficili i trasporti, specie per alcune regioni lontane dai grandi centri di consumo nazionali.
L’agricoltura italiana rappresenta un insieme di realtà estremamente differenziate, si caratterizza per un assetto produttivo nel quale le aziende moderne, improntate all’efficienza ed alla elevata produttività, rappresentano una realtà minoritaria, mentre più rilevanti sono le piccole aziende che vanno dall’agricoltura marginale a quella ecosostenibile.
Risultano in crescita i consumi di alimenti salubri, equi e solidali, biologici, sostenibili. Gli italiani si confermano un popolo attento all’alimentazione e convinto che i prodotti italiani siano preferibili in termini di qualità e sicurezza. Ne è conferma l’attenzione ad etichetta e provenienza, alla stagionalità, alla scelta delle eccellenze nazionali – propensione evidenziata con chiarezza dalle nostre indagini annuali, che si confronta necessariamente con i limiti posti dalle possibilità economiche delle famiglie. Continua comunque a crescere la quota di consumatori che privilegiano i prodotti Made in Italy, come pure di coloro che acquistano spesso prodotti con marchio Dop, Igp, Doc e prodotti biologici.
L’Italia vanta il maggior numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall’Unione europea: essi rappresentano veri e propri elementi di traino del Made in Italy, un fattore di competitività delle realtà agricole locali e contribuiscono al mantenimento degli insediamenti umani e allo sviluppo delle aree montane e collinari. Sono 299 i prodotti italiani Dop, Igp e Stg, 37 per le bevande spiritose e 523 per il comparto vini (di cui 73 Docg, 332 Doc e 118 Igt). I prodotti che ottengono la certificazione sono sottoposti a dei controlli ancora più stringenti che offrono un’ulteriore garanzia di sicurezza, di tracciabilità e di qualità.
La ricchezza del patrimonio alimentare italiano si conferma anche nel numero dei prodotti regionali tradizionali censiti che hanno superato le 5.000 varietà. I prodotti tipici regionali rappresentano un patrimonio culturale per l’intera collettività ed una grande opportunità per l’economia italiana, visto che il turismo enogastronomico sta diventando una realtà importante per il nostro Paese; non solo, questi prodotti rappresentano anche l’impegno degli agricoltori italiani nel difendere le tradizioni alimentari e salvaguardare la biodiversità.
Anche l’agricoltura biologica italiana è considerata, a livello globale, espressione avanzata della migliore produzione agricola Made in Italy, ecologicamente sostenibile, di alto valore sociale. Nel mondo del bio, infatti, hanno storicamente trovato spazio piccoli contadini autonomi e cooperative di lavoratori, in alcuni casi anche ex braccianti, oltre ad aziende familiari che hanno tutti saputo investire nella qualità della loro filiera produttiva e del prodotto finale, a volte anche riscoprendo e rivalutando quegli antichi sapèri contadini, produzioni e prodotti, che sembravano oramai perduti.
Da una produzione originariamente di nicchia l’agricoltura biologica sta conquistando, in Italia e nel mondo, uno spazio sempre maggiore. I terreni destinati all’agricoltura biologica nel nostro Paese raggiungono i 2 milioni di ettari, pari al 15,5% della superficie agricola utilizzata. Anche i consumi bio continuano a crescere: il fatturato degli acquisti domestici si attesta sui 3,5 miliardi, quello degli acquisti bio fuori casa sui 500 milioni, con una crescita del 5,3% rispetto al 2017. Nel 2018 21,4 milioni di famiglie hanno acquistato ameno una volta prodotti biologici – l’86% del totale; nel 2012 la percentuale si fermava al 53%.
Con quasi 58.000 specie animali (circa il 30% di quelle europee) e più di 7.000 specie vegetali, l’Italia vanta il primato della biodiversità in Europa. A contribuire a questo record è anche il sistema produttivo agricolo nazionale, che risulta il più green d’Europa, con emissioni di gas serra notevolmente inferiori alla media europea e la maggior produzione biologica di tutto il continente.
La sfida della competitività impone oggi all’agricoltura italiana di rispondere alle richieste dei consumatori puntando sulla qualità e, allo stesso tempo, di individuare nuove strategie di sviluppo all’interno del contesto globale.
Divengono così punti di forza la presenza di un’ampia gamma di produzioni, la eterogeneità del paesaggio agricolo, che contribuisce ad alimentare l’immaginario di tradizione e tipicità che caratterizza alcuni prodotti, nonché la presenza di una industria della trasformazione fatta di piccole e medie imprese, la quale consente una flessibilità strategica al settore.
Tutti questi elementi, se ben gestiti, possono trasformarsi in fattori di sviluppo locale da cui discende un sistema agro-alimentare articolato ed efficiente in grado di posizionarsi sul mercato in maniera competitiva.
L’agricoltura italiana dovrà passare necessariamente attraverso la strada della “qualità” e della continuità (piuttosto che puntare ad una sfida sul prezzo e sui costi di produzione).
L’agricoltura deve rappresentare un settore strategico della politica economica italiana, in grado di conciliare prospettive occupazionali, sviluppo economico e tutela ambientale, innovazione e rispetto delle tradizioni territoriali, secondo un modello orientato all’innovazione tecnologica e alla ricerca applicata.
Occorre sensibilizzare le nuove generazioni circa la necessità di un ritorno al settore primario, coniugato con le vaste opportunità fornite sia dallo sviluppo tecnico-scientifico, sia dalle nuove conoscenze in ambito biologico e chimico.
In questo senso i dati sono incoraggianti: l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di giovani in agricoltura, con 57.621 imprese nel 2018 guidate da under 35, in aumento del 4,1% rispetto all’anno precedente. In un momento di crisi del mercato del lavoro, i più giovani, infatti, hanno maturato la consapevolezza che il settore industriale non possa più garantire, come un tempo, uno sbocco occupazionale sicuro; di qui la necessità di guardare con rinnovato interesse all’agricoltura come nuova opportunità per esprimere le proprie competenze professionali. La “corsa alla terra”, non a caso, risulta molto più diffusa nelle regioni in cui è più elevata la disoccupazione giovanile.
In questa prospettiva, è importante considerare la capacità innovativa dei giovani, attuatori di una vera e propria rivoluzione tecnologica, oltre che di processo e di servizio, dell’agricoltura. Si pensi ai nuovi strumenti di comunicazione, primi tra tutti i social network, all’e-commerce come alternativa ai canali distributivi tradizionali e all’impiego delle nuove tecnologie per la gestione di una azienda agricola. A queste, si accompagna la multifunzionalità che, consentendo di coniugare la tradizione con l’innovazione, esprime la capacità dell’agricoltura di svolgere una molteplicità di funzioni, che si aggiungono a quella tradizionale di produzione e trasformazione delle materie prime.
Anche l’offerta didattica italiana si è adeguata alla tendenza in atto: nel 2018 i ragazzi che hanno scelto un percorso didattico superiore legato all’ambito agricolo hanno raggiunto il numero eccezionale di oltre 45.000. Nel frattempo sono nati nuovi licei nel settore, e sono 213 le facoltà italiane tra agraria e veterinaria.
Le imprese agricole condotte dagli imprenditori under 35 rappresentano la componente più dinamica del settore in Italia, contribuendo a migliorarne la competitività. Sempre più spesso, infatti, a capo delle imprese innovatrici, ci sono giovani ad alta scolarità, che hanno conseguito diplomi di laurea, conoscono molto bene le lingue e, grazie all’apertura mentale che li caratterizza, si fanno promotori di un cambiamento finalizzato al superamento dell’inerzia che per lungo tempo ha costituito per le imprese del settore una barriera all’innovazione.
L’Italia è la nazione Ue con il maggior numero di startup innovative nel settore agricolo e si colloca al quarto posto nel mondo. Anche in Italia, infatti, il comparto agricolo sta vivendo la rivoluzione della digitalizzazione dell’agricoltura, ormai definita agricoltura 4.0. L’industria agritech, che utilizza le nuove tecnologie per agricoltura e comparto agroalimentare, comincia a svilupparsi e diffondersi ed ha come obiettivi la razionalizzazione delle attività, la riduzione degli sprechi, il controllo della filiera.
Il rilancio dell’agricoltura nel nostro Paese deve passare attraverso lo sviluppo di adeguate politiche di sostegno ai comportamenti “virtuosi”, secondo un modello che non tenga conto esclusivamente delle quantità prodotte ma privilegi soprattutto parametri qualitativi.
Intervento del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, al convegno “Radici forti per l’innovazione”, organizzato dall’AIC – Associazione Italiana Coltivatori, del 3 dicembre 2019