Arte contemporanea: CARIE, la mostra di Stefano Canto alla galleria Materia di Roma

Iniziamo un percorso per conoscere gli artisti contemporanei che trovano spazio all’interno delle gallerie italiane. Cercheremo di capire lo stato dell’arte, gli investimenti ed il futuro di un settore che, a livello internazionale, partendo da una posizione marginale negli anni Novanta, rappresenta oggi il 15% del fatturato d’asta mondiale, ed è diventato la leva principale di sviluppo del mercato dell’arte, con una crescita del 2100% negli ultimi 20 anni. Incontriamo Stefano Canto, artista romano e Niccolò Fano, direttore e fondatore della galleria “Materia” in Roma.

Stefano Canto è un architetto ed artista romano, classe 1974, che esprime la sua declinazione rendendo esplicito lo stretto rapporto fra uomo ed architettura. Descrivendosi, racconta che la sua ricerca artistica ha avuto inizio dall’osservazione dell’ambiente circostante, costituita da molteplici elementi, in continuo dialogo gli uni con gli altri, dotati di una propria identità e di proprie valenze simboliche, evolutive e comunicative. Vanta, nel suo curriculum, personali sin dal 2005, oltre a collettive, workshop e residenze. Artista interessante e poliedrico, riesce ad unire elementi all’apparenza totalmente in disaccordo, ma che riescono ad esprimere alla perfezione il suo pensiero concettuale.

La sua personale “Carie”, presso la nuova sede di Matéria, è in realtà il risultato di un lungo percorso, avviato già dal 2009; quindi, riflette in parte il suo intero processo artistico?

“Carie” è una ricerca che porto avanti da più di tredici anni, attualmente conta più di trenta sculture ed altre sono in fase di realizzazione.

Con il mio gallerista, Niccolò Fano e la curatrice della mostra, Giuliana Benassi, abbiamo deciso che fosse arrivato il momento di esporre una parte dei lavori prodotti e di ultimarne alcuni appositamente per l’inaugurazione della nuova sede della galleria.

La mostra appare come un’unica installazione ma essenzialmente si articola in tre grandi gruppi scultorei e una piccola raccolta di disegni. Questi ultimi risalgono al 2008-2009, l’anno che inaugurava un’altra mia mostra personale “Stato Vegetale”, nella quale già si evidenziava chiaramente quale fosse il mio àmbito di interesse lavorativo e di indagine.

Nei disegni esposti le forme di alcuni alberi tagliati assumevano linee antropomorfe ad indicare e sottolineare il legame imprescindibile tra natura e uomo.

Un legame che nella mostra “Carie”, acquisisce un aspetto radicalmente diverso, non più di monito e denuncia ma di comunione e ricostruzione possibile.

Le “Carie” in botanica sono cavità midollari create da funghi patogeni che aggrediscono l’interno dell’albero rendendo la struttura della pianta fragile e instabile. Questa tipologia di funghi si sviluppa principalmente negli alberi che si trovano in aree fortemente urbanizzate, essendo questi luoghi inquinati e soggetti a continue azioni di potatura da parte dell’uomo.

Gli alberi una volta abbattuti, per comprensibili questioni di sicurezza, vengono successivamente da me recuperati e portati in studio: da qui inizia un lungo processo di lavorazione che ne restituirà nuova forma e nuova unità.

Visitando la sua esposizione, da restauratrice, e dopo averla vista lavorare in Calabria in occasione di una residenza presso le Officine del Carmine di Corigliano Calabro, ho avuto la sensazione che volesse riempire le lacune, risanare ciò che ormai il tempo aveva di fatto deteriorato definitivamente…

Sì, questa sua impressione è esatta e parte dalla mia convinzione che l’archeologo del futuro sarà l’artista. Marc Augé sosteneva che la società contemporanea «non mira all’eternità, ma al presente: un presente, tuttavia, insuperabile». E aggiunge: «Essa non anela all’eternità di un sogno di pietra, ma a un presente “sostituibile” all’infinito».

Nel contesto di una società che nega l’esistenza di un passato e di un futuro, per restare intrappolata in un eterno presente, le figure dell’archeologo (colui che riporta in vita l’oggetto artistico) e dell’artista (colui che lo crea) si sovrappongono. Ne deriva l’immagine di un artista-archeologo che assume un ruolo chiave racchiudendo in sé due aspetti importanti: quello dell’interprete dei segni di una civiltà sospesa nel tempo e quello del promotore di processi progettuali e creativi, garante quindi di una continuità ciclica della creazione artistica.

In quale figura si ritrova maggiormente, in quella di architetto o di artista? E quanto l’una ha influenzato l’altra?

Mi è difficile rispondere a questa domanda perché fondamentalmente non ho mai smesso di fare architettura; ho semplicemente spostato il contesto dove farla, slittamento che mi ha permesso di liberare la mia espressività da una infinità di vincoli che avrebbero reso sterile la mia ricerca.

Come è cambiato il suo modo di realizzare arte durante questa pandemia?

A parte le innumerevoli difficoltà tecniche di reperimento dei materiali per via delle attività commerciali chiuse, non è cambiato molto il mio modus operandi di produzione, eccetto però per il mio stato emotivo che non è stato certamente dei migliori per creare.

Quanto la pandemia ha influito a livello commerciale/economico?

Escludendo alcune importanti vendite che si sono bloccate e le fiere d’arte che non si sono potute svolgere, ho riscontrato che le persone hanno molta più voglia di prima di conoscere e di sentirsi coinvolte; probabilmente, quello che consideravano superfluo hanno capito essere di fondamentale importanza. 

Cosa si aspetta dal prossimo futuro, considerata questa situazione imprevista, in relazione al suo lavoro?

La pandemia ci ha costretto in qualche modo a guardare più al nostro territorio e a far emergere un senso di appartenenza e unione che prima non c’era.  

È sicuramente, quello che stiamo vivendo, un momento di profondi cambiamenti che, secondo me, porteranno alla costruzione di nuove dinamiche e sinergie in grado di sostituire l’inefficienza e la debolezza del vecchio sistema dell’arte.

Niccolò Fano (direttore e fondatore della galleria Materia in Roma, n.d.a), com’è cambiato il vostro mercato dall’inizio della pandemia?

La differenza più rilevante si è manifestata nell’impossibilità di partecipare a fiere nazionali ed internazionali. Le fiere da anni sono il luogo privilegiato per confrontarsi con il mercato, ma allo stesso tempo – specialmente per le gallerie giovani ‒ possono rappresentare un costo fisso enorme, forse il più sostanzioso all’interno di un budget annuale. Pertanto, in un anno complicato, non abbiamo dovuto sostenere le spese che di solito dedichiamo alle fiere, ma, allo stesso tempo, non abbiamo beneficiato della possibilità di interagire con colleghi, collezionisti e Istituzioni. Ciononostante, il bilancio è positivo, abbiamo riscontrato risultati migliori del solito sul mercato online e abbiamo avuto il tempo di consolidare i rapporti intrapresi con molti dei nostri collezionisti. Con l’occasione abbiamo concentrato, in parte, gli sforzi sull’editoria – pubblicando Misurazioni di Mario Cresci in collaborazione con Yard Press – e ci apprestiamo a stampare la nuova pubblicazione, curata da Fiorenza Pinna, dedicata alla mostra in corso, che speriamo di presentare in occasione del finissage della mostra in programma per il 30 aprile 2020.

 

Avete, in assoluta controtendenza, aperto una nuova sede a Roma, che cosa vi aspettate dal prossimo futuro?

In realtà, per noi sarebbe stato in controtendenza rimanere fermi. In periodi di grande caos, molto spesso emergono opportunità e coincidenze che possono rivelarsi vantaggiose se si ha una proiezione sul futuro. Ci siamo spostati in uno spazio molto più grande, a pochi passi dalla sede aperta nel 2015. Finalmente, abbiamo un “contenitore” adeguato ad affrontare quella che sembrerebbe una riconfigurazione marcata del ruolo della galleria alla luce dei cambiamenti strutturali imposti dal presente. La scelta di ampliare uno spazio fisico arriva in un momento in cui il digitale sembrerebbe aver preso il sopravvento e spalancato le porte al futuro. Ribadendo l’importanza di uno spazio reale di sperimentazione per i nostri artisti, ci prepariamo ad affrontare un futuro dove la sfida più grande per le gallerie sarà quella di trovare il giusto equilibrio tra fruizione digitale e fruizione fisica, tra mercato locale e mercato internazionale.

A tal proposito, l’ampliamento fisico ha accompagnato l’espansione dell’identità digitale della galleria; un’evoluzione esemplificata dal progetto Pillow Talk Platform (pillowtalkplatform.com), piattaforma online nata nel 2020, dedicata alla divulgazione live e in podcast di contenuti culturali e artistici legati al contemporaneo. In parallelo, stiamo sviluppando progetti dedicati alle nuove tecnologie, ponendo un accento particolare sulle possibilità offerte dal dialogo tra mercato tradizionale e la frontiera delle criptovalute decentralizzate.

 

É possibile visitare la personale di Stefano Canto presso Matèria, a Roma, fino al 30 aprile.
E-MAIL INFO: [email protected]
SITO UFFICIALE: http://www.materiagallery.com 
INSTAGRAM: materia_gallery_rome

*Alessandra Argentino, restauratrice d’arte.

 

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