Costituzione: le donne che hanno fatto la Repubblica

Sono trascorsi 75 anni da quel famoso 2 giugno del 1946 quando cambiò radicalmente non solo la storia istituzionale dell’Italia ma anche quella sociale e politica di un Paese ancora vincolato a diffusi stereotipi e pregiudizi nei confronti delle donne.

Nasce la Repubblica italiana

L’Italia intera venne, infatti, chiamata al voto, il primo dopo il ventennio fascista e l’occupazione nazifascista. E per la prima volta le donne italiane con almeno 21 anni di età poterono votare ed essere elette, manifestando pienamente il loro diritto di cittadinanza e diventando protagoniste, come già la Resistenza aveva riconosciuto, della costruzione di un’Italia libera, repubblicana e democratica. Esse fondarono e rappresentarono un’istanza di uguaglianza tra donne e uomini – ancora oggi non tradotta in modo completo e uniforme nel Paese – che, senza il loro impegno, competenza e determinazione, avrebbe mancato di costituirsi come orizzonte possibile per le generazioni future, in particolare per le donne dell’Italia contemporanea.

Le donne che hanno fatto l’Italia repubblicana

Il risultato del Referendum, proclamato dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946, vide vincere i voti a favore della Repubblica con il 54,3% delle preferenze. Il 25 giugno 1946 si riunì per la prima volta l’Assemblea Costituente. La componevano 556 deputati, le donne erano appena 21, meno del 4%, eppure hanno segnato una svolta, “pioniere” di un cammino che evidenziava una cesura netta con un passato oscuro: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici Agamben, Nadia Spano Gallico, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Verzotto, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.

Donne di tutti i partiti unite per scrivere una la storia italiana

Militavano in vari partiti: nove nella Dc, nove nel Pci due nel Psiup e una nel Fronte Liberale Democratico dell’Uomo qualunque. Cinque tra queste entrarono nella Commissione dei 75, incaricata di scrivere la Carta Costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Tina Merlin, Teresa Noce e Nilde Iotti che, trent’anni dopo, diverrà la prima Presidente della Camera donna. Erano state partigiane, alcune avevano scontato anni di carcere fascista, vissuto in clandestinità e combattuto, al pari degli uomini, per un’idea di democrazia e libertà che sino ad allora avevano potuto solo immaginare.

Teresa Mattei, in rappresentanza di tutte

Una storia, in rappresentanza di tutte, merita di essere ricordata ed è quella di Teresa Mattei, nata nel 1912 e deceduta nel 2013, che sin da giovanissima si oppose al regime fascista, fu una partigiana che seppe superare arresti, discriminazioni, vessazioni e persino uno stupro di gruppo ad opera di cinque poliziotti tedeschi. Fu nominata Comandante di Compagnia nel Fronte della Gioventù e nonostante la perdita del compagno, anch’egli partigiano, ebbe la forza di continuare la sua resistenza fondando, insieme ad altre partigiane, i Gruppi di Difesa della Donna, in sostegno della Resistenza, delle famiglie dei partigiani e della lotta contro il regime dittatoriale. A soli 25 anni, dopo tante traversie ed esperienze dolorose, venne eletta nell’Assemblea Costituente. Un esempio per l’Italia di oggi e la migliore risposta ad istanze e tesi che ripresentano stereotipi di genere e pregiudizi discriminatori di natura anche sessuale. La loro elezione presso la Costituente italiana rappresentava certamente una minoranza esigua ma non marginale. Pur essendo infatti solo il 3,7% del totale degli eletti, seppero costruire un’alleanza di fatto sui temi cruciali della democrazia e sulla relativa società, così da ottenere risultati di merito e di spessore politico ancora vigenti. Lottarono, ad esempio, per la parità di ruolo all’interno della famiglia e nel lavoro, per la tutela dei figli anche quando nati fuori dal matrimonio, sul diritto d’asilo dei profughi o sull’accesso delle donne in Magistratura, fino ad allora negato.

Le madri della Costituzione rischiano l’oblio

L’Italia non può più pensare alle sue madri costituenti come esperienze collaterali o di pura rappresentanza, sarebbe una grave sottovalutazione e un esercizio di falsificazione della storia del Paese. Nilde Iotti, tra le 21 donne costituenti, ad esempio, ancora troppo spesso viene ricordata solo come la presidente della Camera e compagna di Palmiro Togliatti; Rita Montagnana, viene menzionata solo come la moglie di Togliatti lasciata per la Iotti, mentre Lina Merlin è nota solo per via della legge che chiuse le case di tolleranza e non per il suo ruolo costituente. L’oblio al quale si rischia di consegnare la loro memoria e il loro impegno politico non è questione solo degli ultimi anni. Gli stessi partiti antifascisti e costituenti, come ricorda il bel libro di Eliana Di Caro, Le madri della Costituzione (edito da Il Sole 24Ore), non riconobbero loro da subito il diritto di essere elette a rappresentare il popolo. Una mancanza che indicava la persistenza di un maschilismo diffuso anche in quella fase storica. Il diritto di elezione sarà riconosciuto loro solo il 10 marzo del 1946 con il decreto luogotenenziale che stabiliva le procedure per l’elezione all’Assemblea Costituente grazie alle vibranti proteste delle stesse donne che così colmarono una grave lacuna precedente al referendum istituzionale e all’elezione dell’Assemblea Costituente.

Protagoniste della storia italiana

In quel momento è come se si fosse aperta una diga, liberando una forza inarrestabile. La capacità di essere protagoniste nel dibattito costituente le donne l’hanno infatti ribadita e ampliata in tutta l’azione e la vita politica successiva, a cominciare dalle elezioni amministrative che si tennero a marzo e aprile del 1946, smentendo il diffuso pregiudizio secondo il quale il voto a loro riconosciuto avrebbe alzato i livelli di astensionismo in ragione della tesi secondo cui non avrebbero compreso il significato e l’importanza di quell’evento e sarebbero, dunque, state portate a disertare le urne. La realtà smentì quel pregiudizio. Nella primavera del 1946, infatti, su 19.802.581 votanti, le donne furono un milione e duecento mila in più degli uomini. Nelle elezioni del 2 giugno, inoltre, non solo quasi il 90% degli aventi diritto andò a votare, ma nel meridione d’Italia le votanti furono più numerose dei votanti uomini. Inoltre, oltre duemila furono quelle elette nelle amministrazioni locali, inaugurando un fondamentale impegno nella politica territoriale, nel contrasto a sedimentati stereotipi di genere e costruendo un’Italia democratica anche a livello locale. Il ruolo delle donne della Costituzione italiana va dunque adeguatamente conosciuto e riconosciuto, nonché trasmesso alle giovani generazioni di italiani e italiane perché possano seguire l’esempio e l’impegno di chi combatté da protagonista non solo durante la resistenza italiana contro il regime fascista ma anche nell’Italia repubblicana, per una democrazia paritaria tra i generi. Il loro impegno, ruolo e protagonismo merita, proprio a ridosso della ricorrenza del 2 giugno, di essere ricordato con grande riconoscenza e rispetto.

 

*Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore dell’Eurispes.

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