C’è una porzione di territorio cinese che da anni è al centro di un acceso dibattito tra Stati: si tratta dello Xinjiang, la Regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese. La Regione è un autentico crocevia geografico, dove avverrebbero delle pesanti violazioni umanitarie, da anni al centro di una controversa questione internazionale.
Con il Rapporto “Xinjiang”, un gruppo di ricercatori dell’Eurispes – Laboratorio BRICS, Istituto Diplomatico Internazionale (IDI), Centro Studi Eurasia-Mediterraneo (CeSEM), ha voluto fornire un quadro quanto più “oggettivo, indipendente ed affidabile” della reale situazione nella Regione cinese.
L’area geografica di riferimento
La complessità della questione iugura (gli Iuguri sono l’etnia turcofona di religione islamica che vive prevalentemente nella regione dello Xinjiang) è legata alla delicatissima posizione geografica.
Nel territorio cinese, la regione confina a Sud con il Tibet e a Sud-Est con le province cinesi di Qinghai e di Gansu. Lo Xinjiang confina poi con molti Stati esteri: la Mongolia, la Russia, il Kazakistan, il Kirghizistan, il Tagikistan, l’Afghanistan, il Pakistan e la parte del Kashmir controllata dall’India a Ovest.
All’interno della regione sono presenti 14 prefetture, 99 contee e 1.005 villaggi. Le aree antropizzate, tuttavia, nell’ambito delle quali risiedono circa 25 milioni di abitanti, corrispondono soltanto al 9,7% del territorio regionale. Il restante 90,3%, spiega il Rapporto “Xinjiang”, resta di fatto incontaminato tra imponenti alture, deserti e bacini idrografici.
La questione etnica e religiosa nello Xinjiang
La posizione geografica della regione, autonoma dal 1955, ha inciso notevolmente sulla pluralità di etnie e comunità religiose presenti nell’area. Il rapporto menziona ben 47 gruppi etnici (di cui 13 principali), con molteplici comunità religiose: islamiche, buddhiste, taoiste, cristiane ed altre di minore entità.
Questa complessa situazione geografica, etnica e religiosa, fa dello Xinjiang – come spiega il Segretario generale dell’Eurispes Marco Ricceri – la regione “culturalmente e socialmente più diversificata della Cina”. Allo stato attuale, gli Uiguri costituiscono il 51,14% della popolazione locale, in crescita rispetto al dato del 2010 (45,84%).
Le accuse al governo cinese e il presunto genocidio degli uiguri
Sul governo di Pechino, da anni, pendono gravissime accuse da parte dei media europei e internazionali, riguardo una serie di repressioni sulla comunità uigura, il gruppo etnico di lingua uralo-altaica (turcofona), di religione islamica. La Cina avrebbe imposto nella regione delle politiche di controllo sulle nascite, con l’intento di reprimere la comunità degli uiguri.
Secondo diverse fonti europee, gli uiguri sarebbero accusati di essere il popolo del terrorismo. La risposta anti-terrorista di Pechino, sarebbe costituita da un programma di sicurezza nazionale, che ha previsto anche la creazione dei cosiddetti campi di rieducazione. Questi “gulag etnici” costituiscono il motivo principale delle accuse di genocidio culturale degli uiguri nella regione di Xinjiang.
La controffensiva europea si è tradotta in alcuni provvedimenti da parte dei ministri degli Esteri dei Paesi membri dell’Unione europea, i quali hanno approvato sanzioni contro i funzionari cinesi ritenuti maggiormente esposti nelle politiche repressive anti-uiguri.
Il Rapporto “Xinjiang”: alla ricerca di chiarezza
L’intento del Rapporto “Xinjiang” è di fare chiarezza sulla vicenda. Gli esiti offrono uno scenario molto diverso dalle attese dei media europei. Il Rapporto, infatti, spiega che “giornalisti, diplomatici, esperti, studenti o professionisti stranieri che hanno avuto o
hanno tuttora modo di frequentare lo Xinjiang e le sue città e contee, giungono tesi e testimonianze completamente diverse, che smentiscono sostanzialmente le accuse occidentali”.
I “Gulag etnici”, a quanto pare, sarebbero soltanto “luoghi di reclusione e deradicalizzazione per uomini e donne affiliati a gruppi terroristici”. La questione dello Xinjiang, dunque, sarebbe molto diversa da quella dipinta da gran parte della narrativa occidentale. Molte delle suggestioni sensazionaliste presenti sui social sarebbero del tutto infondate.
Il rischio, dunque, è che una serie di informazioni non correttamente verificate continuino ad alimentare tensioni internazionali che pregiudicano i rapporti diplomatici tra Paesi. Il rapporto è consultabile integralmente accedendo a questo link: “Rapporto “Xinjiang”.