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Eurozona, l’Italia lanci tavolo globale per conciliare pro e contro

di
Corrado Giustiniani

L’Unione monetaria europea è nata senza una trattativa che affrontasse tutti i vantaggi e gli svantaggi che ricadono su ciascun Paese, nei vari settori di intervento, consentendo così di ripartire equamente i rischi. «Non abbiamo mai fatto un vero contratto globale, l’Italia si muova adesso con questa prospettiva». A Maurizio Franzini, ordinario di Politica economica alla Sapienza è toccato il compito di provocare il dibattito, al seminario di lavoro organizzato ieri dall’Eurispes presso il Cnel su “I limiti dell’Eurozona e le proposte per superarla”. Coordinati da Carmelo Cedrone, che guida il Laboratorio Europa dell’Istituto di ricerca, e che ha invitato tutti alla massima unità possibile, una trentina fra economisti, diplomatici ed esperti, coadiuvati da esponenti politici, come Pier Paolo Baretta, già sottosegretario all’Economia del governo Gentiloni, e la senatrice del Pd Laura Garavini, hanno discusso per quasi quattro ore attorno al tema.

L’idea di Franzini ha suscitato alcune riflessioni. Quella, ad esempio, dell’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, che per molti anni ha rappresentato l’Italia presso l’Unione europea. «Negli altri Paesi approccio e temi sono altri – ha osservato –. Non dimentichiamoci poi che l’Italia ha goduto dal 2012 di iniezioni di liquidità apportate dalla Bce. Occorre completare la governance economica e monetaria». Raffaele Morese, una vita nella contrattazione come sindacalista della Cisl, oggi presidente dell’Associazione Nuovi Lavori, ha definito prioritaria una lotta ai paradisi fiscali che si annidano in Europa, e, quanto al contratto, ha osservato. «Non possiamo presentarci però battendo i pugni sul tavolo, senza un impegno a ridurre il nostro debito».

Nella replica finale, il professor Franzini ha insistito. Ci sono regole che l’Europa si è data, ma che alcuni Paesi non rispettano, come quella del surplus tra esportazioni e Prodotto interno lordo, che non dovrebbe superare il 6 per cento. Germania, Danimarca, Svezia sono invece all’8 per cento, l’Olanda addirittura al 9. Queste infrazioni non consentono ad altri Paesi, come il nostro, di esportare di più, migliorando i conti economici. Non si può essere intransigenti soltanto verso la spesa pubblica. «Per questo – ha concluso l’economista – è preferibile una prospettiva contrattuale ampia, che metta insieme le singole questioni, e non il metodo di affrontarle una alla volta. Solo così si uscirà da una posizione di stallo. Non siamo credibili? Nemmeno la Germania lo è».

I temi del confronto sono stati estesi al cosiddetto “Pilastro dei diritti sociali”, da Luciano Monti, docente alla Luiss di Politiche dell’Unione europea e condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini. Monti ha ricordato l’iniziativa in questa direzione del Presidente Junker, presa nel settembre del 2015. È importante riconoscere reciprocamente qualifiche e titoli di studio, per favorire un’equa mobilità, o affermare il principio della solidarietà con meccanismi di redistribuzione a favore dei disoccupati, causati dalla crisi. Il docente ha elogiato la proposta del governo italiano di introdurre un sussidio europeo di disoccupazione. Ne ha suggerito però alcune modifiche tecniche, come quella di riferirsi non al tasso di disoccupazione ma a quello di occupazione.

L’accenno alla proposta italiana ha dato a Pier Paolo Baretta l’occasione di ricordarla e riproporla, accogliendo senz’altro le modifiche migliorative: il lancio avvenne nel semestre italiano, resistendo all’opposizione di alcuni Paesi del Nord. «Abbiamo anche costruito un fondo per le vittime da reato bancario – ha ricordato l’ex sottosegretario all’Economia –. Ne abbiamo affidato l’arbitraggio all’Anac, perché la nostra Giustizia è troppo lenta». Baretta si è chiesto se l’attuale Governo abbia intenzione di raccogliere il testimone. «Ma è importante incalzare la discussione, con un gruppo autonomo come il Laboratorio Europa che l’Eurispes ha costruito».

Una relazione ricca di dati e di spunti è stata presentata da Umberto Triulzi, che insegna Politica Economica a Roma Uno. «In Europa sono in calo gli investimenti in infrastrutture, il 20 per cento più bassi rispetto al periodo pre crisi. Ancora peggiore il quadro italiano: tra il 2005 e il 2015, gli investimenti fissi lordi in Italia sono crollati del 26,3 per cento, per un importo pari a oltre 90 miliardi di euro. Gravissimo anche il nostro tasso di disoccupazione: conta poco che oggi sia calato al 10,9 per cento rispetto all’11,5 del 2017, se pensiamo che nel 2007 era del 6,1 per cento. Solo Grecia e Spagna ci battono».

«Ma non c’è solo la quantità degli investimenti, che è bassa: pesano anche qualità e ritardi. È necessario un grande sforzo di risorse umane, per migliorare tecnicamente la progettazione e bisogna intervenire sulle diverse strozzature temporali. Occorre poi abbandonare il modello di crescita basato sull’indebitamento e raccogliere invece capitali sul mercato interno e internazionale: circa il 15 per cento degli investimenti australiani e canadesi sono realizzati così. In Italia la Cassa depositi e prestiti si è dichiarata d’accordo a coinvestire con la Banca europea degli investimenti».

Enzo Cannizzaro, che insegna Diritto dell’Unione europea alla Sapienza, è stato lapidario: «C’è una sola strada per legittimare l’Eurozona: rivitalizzare il tanto bistrattato Parlamento europeo». Il docente ha parlato del diverso approccio tra Macron e la Merkel sui vari temi dell’Unione, e si è detto preoccupato per il feroce contrasto tra la Cancelliera e il suo Ministro dell’Interno, Seehofer, per esempio sui temi dell’immigrazione (il ministro vuole che la Germania respinga tutti quelli che giungono da altri Paesi dell’Unione). Se il contrasto degenererà in crisi del governo di Berlino, addio Europa. Un brivido, questo, che ha percorso i partecipanti al seminario dell’Eurispes, conclusosi, però, con l’impegno di rivedersi ancora.

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