Fake news, molestie, furto di dati: la percezione del rischio su scala mondiale

Nel 1950 Eduardo De Filippo mise in scena una commedia dal titolo La paura numero uno: vi si narrava l’uomo del suo tempo, un uomo che era sopravvissuto a una guerra terribile, dunque la sua “paura numero uno” non poteva che essere lo scoppio della Terza Guerra Mondiale. Forse, oggi, il protagonista della commedia avrebbe paura del contagio, di perdere il lavoro, o soffrirebbe di ansia da lockdown. Ma se la paura è un’emozione primaria alla base della sopravvivenza, che da millenni ci tiene alla larga dai pericoli, la sua percezione cambia a seconda delle latitudini. Per questo è interessante provare a tracciare un profilo unico della percezione del rischio a livello mondiale.

Uno studio globale, pubblicato nella prima metà di ottobre, mostra come diversi gruppi di persone in tutto il mondo sperimentino il rischio in modi molto diversi. Lo studio è stato condotto nel 2019 dalla Lloyd’s Register Foundation, e si basa su interviste a più di 150mila persone di 142 paesi diversi e copre, per la prima volta, il 98% della popolazione adulta mondiale. Si ha così uno strumento per conoscere meglio realtà in cui sono reperibili pochi o nessun dato ufficiale, ma dove i rischi segnalati sono spesso più elevati rispetto ai paesi industrializzati.

Lo studio dalla Lloyd’s Register Foundation ha evidenziato, prima di tutto, alcune caratteristiche comuni tra gli intervistati: ovvero che la percezione dei rischi delle persone era molto diversa dalla possibilità di sperimentarli; che i fattori demografici incidevano sul senso del rischio più dell’esperienza diretta. Soprattutto, si è osservato che gli intervistati generalmente non si sentivano protetti dal proprio governo e dalle organizzazioni istituzionali: ad esempio, solo il 15% delle persone in tutto il mondo ha fiducia nelle autorità governative come fonte di informazioni e tutela sulla sicurezza alimentare.

Osserviamo nello specifico le categorie e i riscontri salienti di questo interessante sondaggio su scala mondiale. Al momento dello studio, il 27% delle donne interpellate in tutto il mondo ha dichiarato di sentirsi meno sicura rispetto a 5 anni fa, vale a dire che più di una donna su quattro nel mondo si sente in pericolo. Un numero significativo di donne ha poi affermato di temere violenze e molestie sul posto di lavoro, e non parliamo solo di paesi in via di sviluppo: molestie e violenza sul lavoro preoccupano il 42% delle donne in Finlandia, il 38% in Francia, il 32% in Svezia e il 32% in Australia.

Per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, il 19% degli intervistati su scala mondiale dichiara di aver subìto un grave infortunio mentre stava svolgendo il proprio lavoro, e le vittime sono soprattutto uomini e giovani uomini. La percentuale sale al 50% in paesi dove l’agricoltura è la prima economia, ovvero in Africa centrale e in Asia meridionale, e il dato è ancora più drammatico se associato ai disturbi mentali documentati conseguenti a infortuni, violenze e maltrattamenti sul posto di lavoro.

Sulla sicurezza alimentare, il 17% del campione (equivalente a 1 miliardo di persone in tutto il mondo) dichiara di aver subìto gravi danni negli ultimi due anni a causa del cibo ingerito, e il 14% (circa 823 milioni di persone) riferisce di aver subìto gravi danni dall’acqua bevuta. Significativo anche il dato sugli Ogm: il 48% delle persone in tutto il mondo considera gli alimenti geneticamente modificati più dannosi che vantaggiosi per il futuro.

Dati molto interessanti emergono anche per il web. Il 71% delle persone che utilizzano Internet individua dei rischi, e in cima alla lista ci sono le fake news, insieme alle frodi e al cyberbullismo. Il 57% degli utenti di tutto il mondo ha dichiarato di preoccuparsi di ricevere informazioni false, mentre il 45% è preoccupato per le frodi online. Gli europei sono i più propensi a preoccuparsi delle frodi, considerando i dati di Portogallo (78%), Francia (74%), Spagna (71%), Regno Unito (69%) e Italia (67%).

Il rischio ambientale è oramai percepito a livello globale, dato che il 70% circa delle persone in tutto il mondo riconosce la minaccia del cambiamento climatico per il proprio paese, dimostrando progressi epocali nella sensibilizzazione sui temi ambientali.

Nel corso delle interviste, chi aveva subìto gravi danni a causa di condizioni meteorologiche avverse e scarsa qualità dell’aria e dell’acqua era più propenso a preoccuparsi degli effetti del cambiamento climatico, mentre in Cina (il più grande produttore mondiale di carbonio) le persone erano meno preoccupate per il cambiamento climatico: solo il 23% lo vede come una minaccia “molto grave”. Gli Stati Uniti, ovvero il secondo produttore di carbonio al mondo, hanno la più alta percentuale di scettici sui cambiamenti climatici tra i paesi ad alto reddito; Il 21% degli statunitensi non li considera una minaccia. In linea di massima, la percezione del rischio accomuna situazioni economiche e politiche molto diverse nel mondo per quanto concerne la disuguaglianza di genere e il cambiamento climatico, mentre il rischio di infortuni sul lavoro è percepito soprattutto dove le norme sono deboli in materia di salute e sicurezza. La sicurezza alimentare e le infrastrutture di base, mentre in Europa rappresentano un diritto garantito e consolidato, quasi scontato, restano ancora oggi un miraggio per molti territori.

Sempre nello stesso anno (2019), un altro report realizzato dal World Economic Forum, il Regional Risks for Doing Business, ha analizzato la percezione del rischio, concentrandosi stavolta sulle imprese, declinando dunque l’indagine sotto forma di rischio aziendale. Il sondaggio classifica 30 rischi, tra cui attacchi terroristici, eventi meteorologici estremi e collasso o crisi dello stato.

Anche stavolta le differenze relative alle aree geografiche ed economiche si sono fatte sentire, ma è stato comunque possibile tracciare una vera e propria top ten su scala mondiale della percezione del rischio. In cima al podio c’è la crisi finanziaria come primo rischio per gli affari delle imprese; seguono gli attacchi informatici al secondo posto, la disoccupazione e la sottoccupazione al terzo. La classifica dei rischi continua con l’aumento del prezzo dell’energia, la bancarotta dello Stato, e l’instabilità sociale. Il furto di dati e la frode (settimo posto) riportano l’attenzione delle imprese sul rischio informatico, mentre in coda ai rischi percepiti ci sono, nell’ordine, i conflitti tra Stati, il fallimento di infrastrutture strategiche e la bolla immobiliare. È interessante osservare come le aziende, a seconda delle aree economiche, siano influenzate soprattutto da una storia già nota e che temano possa ripetersi. In Spagna la bolla immobiliare, al decimo posto nella classifica mondiale, è tra i primi fattore di rischio percepito dalle aziende, memori della crisi immobiliare del 2012. Invece, nell’area che comprende il Sud America e i Caraibi, al primo posto tra i rischi percepiti c’è la bancarotta dello Stato, e al secondo posto una grave instabilità sociale: è evidente che il default dell’Argentina del 2001 e la situazione politica venezuelana rappresentino ancora dei fattori di rischio per le aziende.

Per quanto riguarda le imprese italiane invece, nella classifica di rischio percepito, al primo posto figurano gli attacchi informatici; seguono il collasso delle infrastrutture informatizzate, le catastrofi ambientali ad opera dell’uomo, la crisi alimentare e furto o frode di dati. Dai dati si evince che la sicurezza informatica aziendale è un settore in crescita ma non ancora consolidato, mentre la gestione ambientale è stata fallimentare da parte dei governi fin qui succedutisi, e di conseguenza da parte delle aziende.

Lo stesso studio del World Economic Forum, nell’edizione 2020, non poteva che illustrare scenari che fino allo scorso anno sarebbero sembrati impossibili da realizzarsi. Se nel 2019 gli executive temevano la crisi finanziaria, nel 2020 è la disoccupazione in cima alla classifica del rischio percepito, mentre le malattie infettive sono risalite di 28 posizioni fino a diventare il secondo rischio più ricorrente, comparso nella top ten di tutte le regioni a esclusione dell’Asia meridionale, l’Asia orientale e il Pacifico. Anche i temi ambientali preoccupano sensibilmente i business leader mondiali, tanto che le catastrofi naturali sono risalite di sette posizioni nella classifica globale, e in generale guadagnano posizioni i rischi legati agli eventi meteorologici estremi, la perdita della biodiversità, il collasso degli ecosistemi, il mancato adattamento ai cambiamenti climatici.

In Europa, la diffusione di malattie infettive diventa il primo fattore di rischio per le imprese, seguita dal pericolo degli attacchi informatici, della sottoccupazione e disoccupazione, delle crisi finanziare e infine della possibile bolla dei prezzi. Nessun business leader europeo, nel 2019, si sarebbe mai sognato di indicare, nell’indagine, una pandemia mondiale come primo fattore di rischio per gli affari: segno che la realtà del rischio ne supera le proiezioni.

Sebbene la percezione del rischio sia del tutto contestualizzata, come abbiamo visto, sia per il singolo individuo che per il tessuto economico formato dalle aziende, rappresenta in ogni caso una fotografia dei tempi, che si forma sulla base dell’esperienza e del timore che la storia, quella peggiore, si ripeta.

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