Si è tenuto a Pechino ad inizio settembre il “Forum of China Africa Cooperation” (FOCAC) con la partecipazione di 53 capi di stato e di governo di tutti i Paesi africani e della dirigenza cinese. Fondato nel 2000, il FOCAC è alla sua terza grande conferenza internazionale dedicata alla cooperazione tra Africa e Cina verso un destino condiviso. Oltre mille rappresentanti di seicento imprese e istituti di ricerca hanno partecipato alla Conferenza degli imprenditori cinesi e africani per promuovere i rapporti nei campi dell’industrializzazione, del commercio e delle infrastrutture.
Gli investimenti cinesi nel continente africano sono stati massicci: 110 miliardi di dollari nei passati 10 anni. Adesso la Cina s’impegna con altri 60 miliardi nei prossimi tre anni, di cui 15 in crediti a tasso zero, 20 in crediti privilegiati, 10 per un fondo speciale di sviluppo, 5 per finanziare importazioni dall’Africa e 10 miliardi per sostenere investimenti da parte delle imprese cinesi in Africa. Gli scambi tra Africa e Cina hanno già raggiunto i 116 miliardi di dollari nel periodo gennaio-luglio 2018, con un aumento del 19% rispetto allo stesso periodo del 2017, e con la bilancia commerciale quasi in parità.
La grande novità sta nell’intenzione cinese di estendere il progetto infrastrutturale della “Nuova via della seta”, la cosiddetta Belt and Road Initiative, verso il continente africano. E’ stato, infatti, firmato un nuovo piano d’azione per integrare la Belt and Road, al suo quinto anniversario, con l’Agenda 2030 dell’ONU, con l’Agenda 2063 dell’Unione Africana e con i vari piani nazionali di sviluppo dei Paesi africani.
L’Occidente, e in particolare l’Europa, ha fallito miseramente nei rapporti con l’Africa, ancora troppo influenzati da logiche neocoloniali. La Cina, a suo modo, si è impegnata invece per lo sviluppo del continente africano. Certo non lo fa a titolo gratuito e molti aspetti della cooperazione potrebbero essere modificati e migliorati. Non di meno, essa è capace di coniugare gli investimenti con lo sviluppo. Non si tratta di mero accaparramento di terre e di materie prime.
Infatti, le infrastrutture e l’industria manifatturiera sono considerate i percorsi principali della crescita economica del continente. La Cina ha dato un grande contributo in tale direzione: dal 2000 ha costruito in Africa oltre 5mila chilometri di ferrovie e di strade.
Molti africani sostengono che, nell’ambito dell’ampliamento della “Nuova via della seta”, la cooperazione cinese-africana potrebbe affrontare e risolvere alcune sfide fondamentali a favore dello sviluppo e del benessere dei popoli. In Africa, dove 600 milioni di persone non hanno ancora accesso all’energia elettrica, il 40% dei prestiti cinesi già va nel settore della produzione di energia e il 30% nella modernizzazione delle infrastrutture.
L’Occidente, però, accusa la Cina di sfruttare le risorse del continente per attirare i leader africani nella “trappola del debito”, cioè di renderli dipendenti e sottomessi facendoli indebitare con le banche cinesi. In realtà l’UN Economic and Social Council ha recentemente documentato che, in media, i paesi africani hanno un tasso del 32% tra debito pubblico e Pil. Sarebbe del 40% per alcuni paesi produttori di petrolio; un tasso superiore a quello del 25% voluto dal FMI, ma ben al di sotto dei livelli dei paesi occidentali.
Il successo del summit del FOCAC dimostra che questi attacchi non hanno fatto presa. Al contrario.
Nel suo discorso, il presidente Xi ha affermato l’importanza di operare insieme per un mondo multipolare e ha anche affermato che la Cina intende cancellare i debiti di alcuni Stati poveri dell’Africa. Xu Jinghu, inviata speciale per gli affari africani, ha aggiunto che “la Cina non ha aumentato il fardello del debito africano”. Ci sono ragioni complesse dietro la crescita del debito africano, tra cui la caduta dei prezzi delle materie prima che ha ridotto le entrate degli Stati.
La Cina pone molta attenzione alle problematiche del debito dei paesi poveri e di quelli in via di sviluppo. L’autore ne è stato testimone, quando l’anno scorso a Shangai ha rappresentato l’Istituto Eurispes al Forum dei think tank dei paesi BRICS. In particolare, il documento presentato dal Laboratorio di Eurispes, che faceva riferimento alla proposta vaticana per un’iniziativa presso le Nazioni Unite sulla legittimità del debito dei paesi poveri, aveva trovato grande interesse e sostegno soprattutto da parte della rappresentanza cinese.
Molti africani si pongono la domanda: dove sono, invece, l’Europa e gli Stati Uniti quando si parla di investimenti nel continente e del suo futuro di sviluppo, libero dal fardello del debito?
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