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Giustizia, la riforma necessaria ma ancora incompiuta

di
Susanna Fara

Le riforme infinite

Venticinque anni fa si votava il referendum del 15 giugno 1997. Tra i quesiti proposti: l’abolizione del sistema di progressione delle carriere dei magistrati e l’abolizione della possibilità di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie. Nonostante la preponderanza dei “sì” per questi quesiti, non venne raggiunto il quorum degli elettori.

Una situazione simile a quanto avvenuto con il referendum del 21 maggio del 2000: il quorum non viene raggiunto, ma il “sì” raccoglie la maggioranza nei referendum per l’elezione del Csm, gli incarichi extragiudiziali dei magistrati, la separazione delle carriere, i rimborsi elettorali, le trattenute sindacali e l’abolizione della quota proporzionale.

Ancora, il più recente referendum del 12 giugno, che si è svolto quest’anno, ha riproposto questioni legate alla giustizia: abrogazione della legge Severino su sospensione, incandidabilità e decadenza per alcune condanne; limitazione della custodia cautelare; separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri; modalità di valutazione dei magistrati; candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura. Il risultato è stato sempre sotto quota di validità in merito al numero dei cittadini che si sono recati alle urne.

Ora, senza soffermarsi sui meccanismi referendari e sulla necessità, espressa da più parti, di riformare le modalità di voto e abbassare il quorum dei votanti, resta, per così dire nell’aria, un sentore del bisogno espresso dai cittadini verso un cambiamento di alcuni elementi che contraddistinguono il sistema della giustizia.

In questa direzione, anche se da più parti criticata, è sembrata andare la cosiddetta legge Cartabia, la cui entrata in vigore, prevista per il 1° novembre 2022, è stata successivamente prorogata dal nuovo governo con il decreto legge del 31 ottobre 2022, n. 162, e rinviata a fine dicembre. Come segnalato da diversi studiosi, il rinvio apre alla possibilità di emendamenti sul testo dell’intero decreto legislativo. Una sorta di cantiere aperto sulla più profonda riforma del sistema giudiziario che il nostro Paese abbia conosciuto. Al di là della bontà della riforma, questa è divenuta necessaria per l’Italia per poter raggiungere gli obiettivi fissati dal Pnrr in tema di giustizia. Sarà importante dunque rientrare nei tempi e nei termini previsti.

Giustizia, l’indagine dell’Eurispes

L’indagine condotta dall’Eurispes (2022) ha tentato di fare il punto su alcuni aspetti legati alla giustizia sondando l’opinione dei cittadini. In prima istanza è stato misurato il livello di fiducia che gli italiani ripongono nei confronti del nostro sistema di giustizia. Due cittadini su tre (65,9%) dichiarano di non avere fiducia nel nostro sistema giudiziario (il 45,3% afferma di nutrire poca fiducia e il 20,6% di non averne affatto), mentre il 34,1% esprime il proprio consenso (il 28,2% si dice abbastanza e solo il 5,9% molto fiducioso). Ad essere maggiormente delusi sono soprattutto i ragazzi, di età compresa tra 18 e 24 anni (73,3%), seguiti dal 72,3% dei 25-34enni.

Malagiustizia in Italia: le cause principali secondo i cittadini

Il 23% dei cittadini indica come motivazione principale del malfunzionamento della giustizia l’eccessiva lentezza dei processi, il 19,8% risponde che i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge, il 13,6% sostiene che le cause vadano ricercate nell’assenza di certezza della pena, il 12,1% si appella a cause non ricomprese tra quelle proposte, l’11,9% afferma che le motivazioni siano da ricercare all’interno delle scelte sbagliate operate dai magistrati, l’11,6% che le leggi sono inadeguate. Solo l’8% asserisce che la giustizia in Italia funziona bene.

Come si comportano gli italiani di fronte ad un torto subìto configurabile come reato o illecito?

Oltre la metà dei cittadini, il 52,4%, non si è mai trovato nella condizione di difendersi da un reato o da un illecito; il 20,3% ha deciso di sporgere denuncia, mentre la restante parte, il 27,3%, ha preferito non farlo per una serie di ragioni: l’11% confessa che i fastidi di un procedimento legale erano superiori ai vantaggi che avrebbe ottenuto denunciando, il 10,1% dichiara di aver desistito dall’intento per non dover sostenere spese legali e il 6,2% perché sfiduciato nei confronti della giustizia, dalla quale pensava non avrebbe avuto una riparazione a quanto subìto.

La responsabilità dei giudici e i compiti della Giustizia

L’80,2% dei cittadini intervistati nell’indagine sostiene che i giudici debbano essere giudicati con lo stesso sistema applicato a tutti i cittadini (contro il 19,8% che afferma il contrario), il 78,2% che il primo compito della giustizia è garantire una pena adeguata per chi ha sbagliato (contro il 21,8% di quanti non sono d’accordo o lo sono in minima parte), il 60,5% che il compito principe della giustizia è favorire il recupero ed il reinserimento sociale di coloro che sono stati condannati per gli errori commessi (contro il 39,5% di quanti sostengono l’opposto) e il 57,8% che perora la causa secondo cui l’azione dei giudici sarebbe condizionata dall’appartenenza politica (è poco d’accordo con questa posizione il 31,1% e non lo è affatto l’11,1%).

Un’alternativa alle sanzioni e misure detentive 

I cittadini sono stati messi di fronte ad una serie di conseguenze previste dal nostro e da altri ordinamenti giuridici per coloro che commettono reati e i dati possono essere letti come segue: l’84,2% degli italiani non è favorevole al reinserimento della pena capitale nel nostro ordinamento giuridico, il 75,3% non è favorevole all’abolizione della detenzione a vita, il 72,7% non è favorevole alla liberazione anticipata e il 70,5% non è favorevole alla detenzione domiciliare, all’affidamento in prova ai servizi sociali e alla detenzione domiciliare.

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