Chi inquina deve pagare. Questo principio giuridico, già compreso nei Trattati comunitari, va applicato anche in Italia, dove i danni ambientali e sanitari provocati dall’inquinamento ammontano a quasi 50 miliardi di euro all’anno. Di qui la proposta di una “green tax”, una nuova imposta che colpisca direttamente quei contribuenti (e solo quelli) che, producendo e/o vendendo prodotti altamente inquinanti, scaricano sulla collettività diseconomie e costi alla cui riparazione debbono assolutamente contribuire.
La fiscalità ambientale è del resto indispensabile per trasformare l’economia in una direzione più efficiente e competitiva. E’ una misura chiave per la crescita sostenibile dell’Italia, dal momento che la “green economy” vale già circa il 10% del Pil, e rispetta pienamente l’articolo 53 della Costituzione.
Ma vediamo in concreto la proposta. In base ad indicatori scientifici, le attività economiche italiane generano mediamente 24 euro di danni ambientali e sanitari ogni 1000 euro di valore aggiunto prodotto. Basterebbe dunque imporre un’aliquota addizionale che per ogni mille Euro comporti un pagamento (mediamente) di 24 Euro per coprire tali danni e disincentivare le attività che generano tali impatti negativi, distinguendo comunque l’aliquota di tassazione a seconda del settore economico e del grado di danno generato dallo stesso settore a discapito della collettività.
Esistono del resto già oggi degli indicatori che rapportano alla ricchezza creata da un’attività economica in un dato anno quella distrutta esternamente dalla stessa attività. Peraltro, circa il 50 per cento dei danni è dovuto a settori che concorrono per solo il 10 per cento alla creazione del valore aggiunto nazionale. Grandi ricchezze per pochi generano dunque grandi impatti negativi per molti, di cui i pochi beneficiari neppure rendono conto in sede impositiva, sotto questo profilo.
Sarebbe, questa, una manovra redistributiva. Basti pensare infatti che il settore delle famiglie paga imposte ambientali per 24,8 miliardi a fronte di (soli) 15,1 miliardi di danni prodotti, in misura dunque significativamente maggiore rispetto alle conseguenze che l’ambiente subisce. E sarebbe manovra “importante”: economicamente importante. L’estensione della tassa sulle emissioni di SO2 e NOx, che esiste già per alcuni soggetti (molto pochi), a tutti i settori contribuenti a tali emissioni, potrebbe portare un incremento del gettito dagli attuali 14 milioni di euro, corrisposti fino ad oggi dalle sole centrali termoelettriche, a circa 10 miliardi di euro. Il gettito per il solo settore dell’energia elettrica e gas potrebbe salire dagli attuali 14 a 645 milioni di euro. Una tassa ambientale sulle famigerate polveri sottili, applicando il principio “chi inquina paga”, potrebbe determinare un gettito complessivo, da tutti i settori, di ben 17 miliardi per coprire i relativi costi esterni.
L’alternativa a tale sistema impositivo, di copertura dei costi creati da fattori inquinanti, potrebbe essere, altrimenti, una tassazione basata su parametri di riferimento, già adottati a livello Ue, di misurazione dell’intensità carbonica per unità di prodotto (un po’ quello che è anche il senso di una recente proposta avanzata da Macron e come appena fatto anche in Cina, a partire dal 2018, con la environmental tax). Alle società cioè che producono o vendono prodotti che presentano un livello di intensità carbonica superiore ai “benchmark” di riferimento potrebbe essere quindi applicata, sulla quota di profitti derivanti dalla produzione e/o vendita di tali prodotti, un’aliquota Ires addizionale rispetto a quella ordinaria (un po’ come succedeva con la vecchia Robin tax per le società petrolifere). Anche questa imposta colpirebbe direttamente le società che, tramite la produzione e/o la vendita di prodotti che creano emissioni inquinanti, scaricano sulla collettività diseconomie e costi.
Cambia il parametro di riferimento, ma il criterio e la finalità restano i medesimi: sulla base del principio “chi inquina paga” l’imposta ambientale deve andare a colpire il soggetto che inquina, mettendolo di fronte alla decisione di migliorare le proprie prestazioni ambientali, o pagare la tassa, con una base imponibile dell’imposta basata su un provato e ben determinato impatto ambientale. Con tre grandi vantaggi per la collettività: un’economia più efficiente, una sostanziale giustizia redistributiva e un chiaro incentivo alle buone pratiche di salute pubblica.