HomeOpinioni e commentiIl matrimonio di Bezos: quattro rivelazioni e una speranza

Il matrimonio di Bezos: quattro rivelazioni e una speranza

di
Alberto Mattiacci*

C’è qualcosa di profondamente rivelatore nel clamore suscitato dal matrimonio di Jeff Bezos a Venezia. Vediamo. Sintomi: sfarzo, privatizzazione, vigilanza, tutti e tre portati all’estremo, non sono solo i toni dominanti di un evento mondano. Sono sintomi. Sintomi di un’epoca in cui il confine tra il potere finanziario e la sua rappresentazione pubblica si fa sempre più labile. Sintomi di una estremizzazione del lusso che diventa dispositivo simbolico di legittimazione sociale. Sintomi di una subalternità al denaro che i detentori pro-tempore della cosa pubblica non consapevolizzano, legittimando il mercimonio con il falso argomento del contributo alla collettività. Tensioni. Le polemiche che hanno accompagnato l’evento rivelano tensioni più profonde, radicate e irrisolte: (i) tra élite globali e comunità locali; (ii) tra uso del patrimonio personale e consumo d’identità collettiva; (iii) tra spettacolo privato e spazio pubblico. In fondo, ciò che si è celebrato sullo sfondo di quei palazzi non è (solo) un matrimonio, ma una forma di rituale laico: un’espressione senza limiti del desiderio da parte di una classe agiata nuova, per numerosità dei suoi individui e livello di ricchezza posseduto da ciascuno.

L’antica pratica della ricchezza

La cronaca racconta di un evento che avrebbe generato una spesa complessiva superiore ai venti milioni di euro – mettendo nel conto jet privati, yacht, il noleggio di intere strutture, una donazione al Comune, eccetera. Per alcuni giorni, di fatto, una parte della città è stata “privatizzata”, con accessi limitati, spostamenti deviati e presidi di sicurezza straordinari. Niente di davvero nuovo: Thorstein Veblen nel classico trattato La teoria della classe agiata già a fine Ottocento parlava di “consumo vistoso” come pratica attraverso cui le élite manifestano e consolidano la propria posizione sociale. Distinzione. Il matrimonio di Bezos a Venezia può anche essere letto come un preciso investimento simbolico, volto a marcare la distanza tra un’élite cosmopolita senza popolo e un popolo di massa senza élite, generico, planetario e perdente. Il luogo scelto è parte stessa del disegno simbolico: città-museo oggi fragile e spopolata, preda sconfortata e arrendevole ai più svariati appetiti privati.

Il livello della ricchezza Bezos ha frantumato il legame del denaro con il bisogno ma anche con quello del desiderio

C’è un ultimo punto, rivelatore di qualcos’altro, di segno e verso opposto: è la speranza. La speranza che il matrimonio di Jeff Bezos a Venezia non divenga un precedente utile al ripetersi di altri analoghi, ma “solo” un inciampo che, mettendoci a disagio, alla fine porrà le condizioni affinché non si ripeta più. Ne siamo consapevoli: è una bella professione di ottimismo, questa, ma proviamoci. Il ragionamento parte dall’osservare che questa storia vede la presenza di due parti: (i) un signore che desidera una location per celebrare un evento privato; (ii) chi esercita pro tempore i diritti di proprietà della location medesima. Il signore è uno degli uomini più ricchi del mondo – terzo, quinto, o ventesimo, fa poca differenza, perché parliamo di una ricchezza tanto elevata che ha perso di senso. Il suo livello, infatti, eccede ampiamente lo spazio delle necessità individuali e familiari, attuali e future e perciò ha svuotato di ogni significato – che non sia un metro sportivo – il denaro posseduto. Il livello della ricchezza Bezos, in altre parole, ha frantumato il legame del denaro con il bisogno ma anche con quello del desiderio, ribaltando la logica d’uso dei soldi: non faccio e uso i soldi per soddisfare i miei desideri, ma cerco oggetti di desiderio sempre più inusuali, esagerati e assurdi per i quali spendere, affinché avere tanti soldi riacquisti un senso. È il mondo, poco gradevole, del super/extra lusso. Fin qui, tutto sommato, sono solo fatti suoi. Si potrebbe giusto ragionare se (e in tal caso come) sia doveroso porre un limite all’arricchimento individuale (secondo noi, sì), ma non è questa la sede né lo scopo di questa riflessione.

Bezos, Venezia, e la domanda di uso esclusivo

Il punto dolente non è chi voglia spendere per avere l’assurdo, ma è il comportamento della controparte di fronte a tale domanda, di chi, cioè, detiene il diritto/dovere di esercitare i diritti di proprietà dei luoghi pubblici desiderati dal Bezos di turno – nel caso di specie, il Sindaco di Venezia. Questi, sebbene immaginiamo abbia agito nella convinzione di fare il bene della città, ha invece fatto l’esatto contrario: mercificando ciò che non può essere oggetto di mercato con chiunque; vendendo ciò che non può essere disponibile per qualsiasi intenzione d’uso da parte del compratore; separando ciò che deve essere usato per funzioni collettive non privatizzabili, dalla propria legittima collettività. Ecco allora la speranza: che questa (sconfortante) vicenda stimoli il legislatore della Repubblica a regolamentare, a livello nazionale, una fattispecie che potrà ripetersi più volte: la domanda d’uso esclusivo, individuale e privato di beni pubblici. Se ciò avverrà, tutto questo non sarà stato inutile.

*Alberto Mattiacci, Presidente del Comitato Scientifico dell’Eurispes.

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