Dire che viviamo un’epoca di cambiamento ha ormai, in sé, qualche cosa di rancido. L’abbiamo capito tutti che il mondo sta cambiando. È l’esperienza quotidiana a mostrarlo, e in particolare sempre più quella che passa attraverso i reel e le story, i post e le chat dei Social – l’unica, vera, agorà della contemporaneità. Ma davvero la vita, quella “normale”, è diventata quella rappresentata dai e sui Social? Forse sì. Oppure … oppure un’altra lettura è possibile, anzi due.
Lettura numero 1, cambiano ampiezza e ritmo degli eventi
Ad essere cambiata non è la realtà – o, perlomeno, non solo – bensì soprattutto l’ampiezza con cui la vediamo e il ritmo del suo manifestarsi (e non ce la facciamo più a starle dietro). Qui sarebbe tutta “colpa” della tecnologia e della globalizzazione, che hanno: (i) smontato le barriere alle relazioni e scambi fra gli umani e (ii) li hanno potenziati offrendo strumenti digitali, accessibili e suadenti. Quante volte si è sentito dire che la velocità del cambiamento è eccessivamente sostenuta e comunque superiore alla capacità degli umani di assorbirne gli effetti? Quante volte si è pensato di non riuscire più a star dietro all’incalzare degli eventi? Insomma, sì, l’ampiezza e il ritmo degli accadimenti sono una possibilità per spiegare l’apparente stranezza del mondo nuovo, del mondo cambiato, ma non ci sembra la più convincente.
Lettura numero 2, non c’è più un solo “copione”
Ci pare più significativo, invece, considerarne un’altra di possibilità – non necessariamente del tutto alternativa, peraltro – e cioè il fatto che se la realtà è una rappresentazione, come insegnano i filosofi da secoli, la domanda rilevante diventa: “allora chi lo scrive il copione?”. E qui vediamo il punto interessante: si risponde a questa domanda fissando un prima e un ora. Nel prima la carta e le penne erano nelle mani di pochi soggetti, oltretutto simili fra di loro e frequentatori dei medesimi ambienti – politici, giornalisti, eccetera. Questi concentravano nelle loro mani la possibilità di scrivere il copione: narravano la realtà, selezionando prima i fatti, costruendovi sopra dei costrutti di senso, e definendo poi delle gerarchie in cui collocarli. Insomma, parliamo del flusso di informazioni con cui la gente si faceva un’idea della realtà attraverso i media classici. Ora, invece, non sarà che quella stessa realtà appare così profondamente mutata proprio a ragione del fatto che la possibilità di pensarla e raccontarla è stato distribuita fra tutti? Insomma, quanto pesa nella nostra idea che tutto stia cambiando il fatto che la possibilità di comunicare non sia più concentrata e che ciò produca ogni minuto una mole di messaggi e contenuti del tutto fuori scala, e dove, per la natura stessa del linguaggio dei social, la “messa in scena” e i “simulacri” – per dirla alla Baudrillard – sono la norma rispetto alla rappresentazione autentica del reale? Ripetiamola così, perché è il punto:
- non sarà che tutto ci sembra cambiato perché si è ampliata moltissimo la base di quelli che raccontano la realtà?
- e non sarà che ciascuno di loro (il sottoscritto compreso) la racconta attraverso fatti piccoli e grandi, attraverso racconti che sono espressione di tutte le culture e subculture del mondo, sette giorni su sette, sia al lavoro che in vacanza, da soli o in compagnia?
L’attitudine naturale dell’uomo a rendere sé stesso una fonte non ha più barriere né confini
Non è “non ci sono più i copioni di una volta”, insomma, ma “non c’è più un copione”. Si è distribuita quella possibilità di comunicare prima concentrata, rendendola più semplice, desiderabile e pervasiva. Quell’attitudine naturale dell’Uomo a rendere sé stesso una fonte, insomma, non ha più barriere né confini ma, al contrario, è incoraggiata e accolta da nuovi strumenti di connessione e relazione.
Dalla stampa ai Social, la tempesta comunicativa che caratterizza la contemporaneità
Passare dalla concentrazione alla distribuzione comunicativa non è un gesto privo di conseguenze, né senza precedenti storici: uno su tutti, per esempio, fu l’introduzione e diffusione della stampa. La chiara consapevolezza che la stampa avrebbe modificato strutturalmente i percorsi di diffusione della conoscenza, e di lì la qualità delle relazioni di potere, fece sì che non per caso Gutenberg operasse in Germania e non nello Stato Pontificio – e perciò fu da quest’ultimo osteggiato. Distribuire l’accesso all’informazione mediante la stampa fu infatti un primo passo verso una ristrutturazione delle relazioni sociali e politiche vigenti, non meramente un passaggio tecnico, e di questo, chi concentrava in sé questo potere, ne fu da subito consapevole. Non sarà nemmeno un caso, dunque, che l’esistenza di quel megafono universale e olistico che sono i social media stia esercitando oggi un ruolo strutturante sulla rappresentazione dei fatti e dunque del reale, e di qui sulla struttura delle relazioni sociali. Considerando che le popolazioni delle più popolari piattaforme Social si misurano in miliardi di persone – spesso sovrapposte, vero, ma pur sempre col metro dei miliardi vanno contate – considerando che l’uso delle piattaforme è quotidiano e intensivo, e che il tempo di attività delle piattaforme è perenne, 24 ore al giorno di ogni giorno, è semplice farsi un’idea della tempesta comunicativa che caratterizza la contemporaneità.
Siamo in un vortice informativo che ciascuno di noi alimenta da protagonista, agendo in quelle micro-piazze personali che sono i profili Social
Dunque, l’aver rotto la concentrazione dell’atto comunicativo in pochi soggetti e averlo distribuito fra tutti, ha generato un poderoso flusso continuo di contenuti, una sorta di vortice informativo che ciascuno di noi vede, assorbe e allo stesso tempo alimenta da protagonista, agendo in quelle micro-piazze personali che sono i profili Social, le proprie echo-chamber, con le rispettive audience. La conseguente mancanza di un impianto narrativo condiviso, di un copione definito a monte, fa sì che si veda tutto (e di tutto) senza una trama, che i piccoli fatti sembrino godere del medesimo rango comunicativo dei grandi, che le barriere del privato sembrino inconsistenti di fronte al diritto di vedere tutto di tutti, che il consumo veloce dei pezzi di realtà segua la ritmica scrosciante delle dita sullo schermo e non uno schema narrativo, che a un fatto ne seguano dieci (simili ma diversi) e che il senso di ogni cosa resti incompiuto perché non vi è né spazio né tempo per assorbirlo.
Certo, il mondo è cambiato – almeno rispetto a venti anni fa, ci pare evidenza incontrovertibile – ma siamo certi che lo asseriamo osservando le cose giuste? Avere una gioventù tatuata, vedere tanta gente con il naso sullo smartphone, non stupirsi di due uomini che si danno la mano camminando, la Russia che fa la guerra pur stando nel G8: davvero è questo che ci consente di dire che il mondo è cambiato? Oppure c’è qualche difetto visivo che si è impadronito della nostra mente?
Qui, cara lettrice o lettore, suggeriamo di fermarti un minuto a riflettere, prima di passare a considerare come funziona questo Vortice dell’Illusione – tema del prossimo articolo.
*Alberto Mattiacci, Presidente del Comitato Scientifico dell’Eurispes.