Sintesi di Myrianne Coen*
«Quando combino un guaio mi chiamano arabo. Quando mi comporto bene allora sono belga». Queste parole, pronunciate da un ragazzo adolescente durante il processo per terrorismo celebrato nei confronti del padre, ben traducono il senso dei lavori dell’Advanced Research Workshop promosso dal programma NATO Science for Peace and Security che ha avuto luogo a Skopje, capitale della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, dal 11 al 14 aprile 2018, con una relazione introduttiva a cura di Vincenzo Macrì, ex aggiunto Procuratore nazionale Antimafia. Un tema di grande attualità, al centro anche del convegno sul tema “Terrorismo e anti-terrorismo in Italia”, in piazza della Minerva a Roma .
La minaccia è rappresentata da organizzazioni criminali che ricorrono a metodi terroristici per raggiungere o mantenere i propri interessi economici e/o politici, spesso usando i secondi per ottenere i primi. Parlare di “organizzazioni terroristiche” non è dunque il modo migliore per descriverla. Per arginare il terrorismo, e questa è stata la conclusione unanime, dobbiamo potenziare la democrazia e lo Stato di diritto. La cosa più importante è, dunque, il buon governo e il buon funzionamento delle Istituzioni democratiche, con la consapevolezza che, possiamo limitare il terrorismo, ma non eliminarlo.
La crescita esponenziale di reti criminali internazionali, che alimentano la sfera di influenza del terrorismo, espone al rischio non solo i paesi NATO ma anche i paesi vicini. Il crimine organizzato non ha un unico referente. Obbedisce alle convenienze, “cambia casacca” nel tempo, anche molte volte, se ciò corrisponde ai suoi interessi.
Attualmente tutti gli Stati, persino quelli più potenti, sono sul punto di perdere il controllo. Un miscuglio di verità e false notizie impediscono a tutte le parti interessate di individuare in tempo le minacce. Impediscono anche di bloccare la possibilità degli attori non statuali dall’agire come in loro nome con la capacità di condurre gli Stati stessi sull’orlo della guerra.
Fratture sociali, economiche, religiose, etniche, linguistiche e nazionali sono alla base dell’aumentato rischio di attacchi terroristici, più di frequente quando questi fattori di rischio si combinano tra di loro. Le organizzazioni criminali terroristiche autoctone, in crescita in alcuni degli stati NATO, minacciano nel lungo periodo di sfilacciare il “tessuto sociale” di un paese.
L’obiettivo della lotta al terrorismo è limitare il terrorismo, non alimentarlo. Di conseguenza, l’avere cura di ridurre queste fratture attraverso lo sviluppo del capitale umano non è solo una questione di scelte, ma una necessità, per il mantenimento di uno Stato democratico funzionante che, con istituzioni più efficienti, sia in grado di applicare la legge. Il capitale sociale produce fiducia nelle istituzioni, ed è uno strumento fondamentale per la prevenzione e/o la riduzione dei danni.
I diritti di incolumità, sicurezza, libertà di pensiero e di espressione, libertà di movimento e di comunicazione, e inviolabilità del domicilio, nel quadro della separazione dei poteri, rischiano di venire ulteriormente danneggiati dalla reazione del potere pubblico sfidato. Si tratta di beni comuni a tutti i cittadini, indeboliti oggi da associazioni criminali che non esitano ad usare azioni terroristiche quando ciò corrisponde ai propri interessi economici o ai propri obiettivi politici.
Intanto, occorre nominare come criminali queste organizzazioni, e ciò contribuirà ad abbattere i miti dietro i quali esse si nascondono. Il terrorismo può essere dunque definito come un metodo adottato da organizzazioni criminali che l’hanno elevato a loro programma.
Il crimine organizzato, quello stanziale nell’Europa dello scorso millennio come quello importato dagli ambienti islamici oggi, condivide lo stesso terreno, ricorrendo al metodo terroristico quando ciò serve ai suoi interessi. Combatterlo, nel quadro di una normativa comune e mediante l’utilizzo delle ordinarie Forze di Polizia e giudiziarie, consente di incrementare l’efficienza del contrasto.
Più elevata è la violenza, più essa costituisce una sfida per lo Stato e la sua credibilità, ed è comprensibile come questo tenda a reagire violando le procedure ordinarie e le proprie regole democratiche per ristabilire l’autorità. Ma, in questo modo, le istituzioni si espongono al rischio non solo di distruggere, nel lungo termine, il proprio Stato di diritto, ma anche di indebolire la fiducia dei cittadini.
Le organizzazioni criminali che ricorrono al terrore per sovvertire i cittadini e le istituzioni, devono essere perseguite e condannate nella massima trasparenza, in base al grado di violenza impiegato, qualunque siano le loro origini e i loro obiettivi, e il tutto secondo le regole di legge, applicate dalle corti esistenti, al fine di riguadagnare la fiducia della società nella capacità del potere legale di uno Stato democratico di offrire sicurezza ai cittadini e alle loro famiglie e di proteggere i diritti delle persone.
La corruzione è una componente della “mafia silente”. Lo hanno riconosciuto unanimemente i partecipanti all’incontro di Skopje, che considerano la corruzione un problema centrale non solo per lo sviluppo e/o la sostenibilità della democrazia, ma anche per la sicurezza degli Stati NATO, essendo questa il brodo di coltura per la penetrazione del crimine organizzato nelle strutture pubbliche più critiche (energia e trasporti), fino ai più alti livelli delle istituzioni transnazionali, nazionali, regionali e locali. In assenza di misure più rigorose che ristabiliscano l’integrità in tutti i pubblici servizi, nel lungo termine e attraverso le normali vie di assunzioni e promozioni, i sistemi di difesa dello Stato saranno penetrati.
Nascondendo queste pratiche irregolari, i poteri pubblici finiscono con l’accentuare i comportamenti autoritari al punto di prevenire ed opporsi ad ogni forma di critica, sopraffacendo il potere giudiziario e la stampa che sono le pietre miliari della democrazia. Per il pericolo che rappresenta, la corruzione deve essere inclusa tra i crimini più gravi quale strumento usato dalle organizzazioni criminali.
Gli Stati NATO devono prestare attenzione al fatto che, ogni protezione delle organizzazioni criminali, non solo quelle che fanno ricorso al terrore, venga offerta dalle autorità di qualsiasi suo Stato membro, e per qualsiasi proposito, costituisce una diretta minaccia all’Alleanza stessa e a tutti i suoi cittadini.
In questa particolare fase di sviluppo dell’umanità e della tecnologia, la sicurezza per le persone e per gli Stati richiede la partecipazione di cittadini più informati e maggiormente educati. Quando i rischi aumentano, rafforzare la società civile, congiuntamente alla trasparenza, alla corretta informazione e al senso di responsabilità dei leader, è della massima importanza, sebbene ciò sia poco praticato nelle democrazie occidentali.
Significativi atti criminali, soprattutto quelli caratterizzati da estrema violenza finalizzata a soggiogare le società, non nascono dal nulla. Ricostruire la storia delle reti criminali attraverso lo spazio e il tempo consente una più veloce identificazione degli autori dei delitti.
L’indipendenza della Magistratura deve essere garantita attraverso adeguate pratiche nelle nomine e nell’organizzazione. Il coordinamento delle indagini transnazionali e dell’esercizio dell’azione penale dovrebbe essere principalmente orizzontale, non verticale.
La globalizzazione dell’economia ha facilitato la globalizzazione del crimine. La limitata competenza territoriale della Magistratura limita la sua efficienza, offrendo ai criminali la possibilità di evitare le incriminazioni. Il criterio della competenza territoriale per il perseguimento penale dovrebbe essere rivisto per meglio corrispondere alle caratteristiche di un crimine globale, capace di corrompere e paralizzare le istituzioni infiltrandosi fino al cuore dello Stato, anche di alcuni con la migliore e nota reputazione.
Dovrebbero essere evitate le hyper regolamentazioni, le super specializzazioni tecniche nel contrasto contro il terrore, che possono provocare conseguenze negative. Il contrasto alle organizzazioni criminali tramite il controllo del cyberspazio e dei loro canali di finanziamento, rimarranno di marginale utilità considerando le possibilità di accesso del mondo criminale globale ad un’infinità di attori. Comunque, rimangono strumenti capaci di creare luoghi sicuri per operazioni sicure all’interno delle democrazie liberali.
Un capitale sociale povero costituisce una diretta minaccia agli Stati NATO. Lo sviluppo del capitale sociale costituisce una difesa centrale contro le organizzazioni terroristiche criminali, efficace soprattutto per contenere i danni.
L’Alleanza Atlantica, al pari di ogni società umana, conta su una comunanza di valori accettati, condivisi, riconosciuti ed effettivamente praticati, come pietra angolare per perpetuare l’alleanza nel tempo. Questi valori hanno bisogno di essere esplicitati e diffusi.
Di conseguenza nella “Difesa contro il Terrorismo”, la NATO ha un ruolo marginale come potere militare, un ruolo limitato nel raccogliere informazioni, ma ha un ruolo importante nel “Rafforzare la Resilienza delle Istituzioni Democratiche nel quadro dello Stato di Diritto”, costruendo e mantenendo il consenso sociale sui valori, facendosi garante della loro applicazione all’interno degli Stati Membri tramite la propria dimensione politica.
Lo scopo principale e perdurante della NATO è salvaguardare la libertà e la sicurezza di tutti i suoi membri attraverso strumenti politici e militari, costruendo uno spirito di solidarietà e di coesione tra tutti gli Stati Membri. Il Ministro degli Affari Esteri macedone Dimitrov ha illustrato così il percorso da seguire: «Sto passando metà del giorno pensando a cosa è più importante per la Grecia, e l’altra metà pensando a cosa è più importante per noi qui nella Repubblica di Macedonia».
*Myrianne COEN, Dottore alla Sorbonne (Francia), Consigliere di Ambasciata (in aspettativa, Belgio), Membro del Comitato Scientifico del CSSII, Università degli Studi di Firenze (Italia), ha diretto l’Advanced Research Workshop (ARW) del NATO Science for Peace and Security Programme di Skopje assieme a Ljubomir KEKENOVSKI, Professore della Facoltà di Economia, Università di Skopje.