«Uscire dall’euro? L’ ideale sarebbe che a farlo fosse la Germania». Scherza, ma non troppo, Maurizio Franzini, ordinario di Politica Economica all’Università La Sapienza, seduto alla stessa scrivania che fu del suo grande maestro Federico Caffè. Autore di quasi duecento saggi in italiano e in inglese, in particolare sulla crescente ed inaccettabile disuguaglianza fra ricchi e poveri, direttore della scuola di Dottorato in Economia della Sapienza, Presidente dell’Associazione “Etica ed Economia”, Franzini presenterà la relazione base al Seminario su “I limiti dell’Eurozona” organizzato dall’Eurispes per lunedì prossimo al Cnel, sotto la guida di Carmelo Cedrone, coordinatore del Laboratorio Europa del nostro Istituto di ricerca.
Prendiamola da lontano, professore. Fu equo il tasso di conversione di 1.936 lire per un euro, entrato in vigore il 1 gennaio del 1999?
“Equo non direi, anche se non è facile dire cosa sarebbe stato equo: se la lira fosse stata valutata diciamo un 10-15 per cento in meno (quindi circa 2.100 lire per un euro), il cambio sarebbe stato non meno equo ma molto più favorevole per la nostra competitività. La conversione rispecchiava, con qualche aggiustamento, le quotazioni della lira nei confronti del marco nei giorni immediatamente precedenti. Chi si avvantaggiò, e di molto, fu la Germania”.
Ed è equa la distribuzione dei vantaggi e dei costi nell’Eurozona?
“Anche qui la risposta è negativa. Mentre il debito pubblico italiano non ha scampo, si preferisce lasciar correre sul fatto che la Germania e altri Paesi del Nord Europa non rispettano le regole sul surplus commerciale, la cosiddetta Mip, “Macroeconomic Imbalance Procedure”, introdotta nel novembre 2011 e che dovrebbe impedire ai Paesi membri di avere un rapporto tra esportazioni nette e Prodotto interno lordo superiore al 6 per cento. La Germania lo supera ampiamente, perché è al di sopra dell’8 per cento”.
Questo è un danno per gli altri Paesi?
“Certamente. Se i tedeschi esportassero di meno ed importassero di più, un vantaggio diretto lo avrebbe proprio l’Italia, che possiede un buon mercato in Germania. In tutti i grandi accordi monetari precedenti, dal Gold Standard a Bretton Woods, è stato sempre previsto un limite al surplus commerciale, perché l’eccesso di esportazioni danneggia gli altri Paesi dell’accordo. Stare insieme serve, a patto che vantaggi e svantaggi siano distribuiti in modo equanime. Esistono studi che provano che dall’appartenenza all’Euro la Germania trae grandi vantaggi, che resterebbero comunque, anche se non dovessero essere onorati i prestiti che essa stessa ha concesso ai Paesi ad alto debito”.
Il Governo Conte lo ha escluso, ma sarebbe stata una brutta idea uscire dall’Euro?
“Il vantaggio competitivo a cui molti pensano per le merci, tornate a buon mercato, sarebbe non immediato né permanente e si presenterebbero molti altri problemi, tra cui soprattutto quello del debito, che in buona parte dovremmo continuare a pagare non in lire ma in Euro. Ed avrebbe luogo una fuga di capitali all’estero, da parte dei possessori di titoli del debito pubblico, praticamente impossibile da fronteggiare”.
Dunque, che dovrebbe fare il Governo?
“Aprire una trattativa a tutto campo che porti ad una rifondazione dell’Eurozona. Conte non deve fermarsi alla richiesta minimalista di maggiore flessibilità. Abbiamo la contraddizione di una politica monetaria, rigorosamente europea, ed una politica fiscale, di spesa e di imposte, che invece dipende dai singoli Stati. Va messo sul tavolo e preteso, come ho già spiegato, il rispetto rigoroso del surplus commerciale. Un’altra conquista deve essere l’aumento considerevole del budget europeo, che oggi è pari a poco più dell’1 per cento del Pil dei singoli Stati. Un importo ridicolo…”
A quanto dovrebbe salire, invece?
“Il budget degli Stati Uniti è trenta volte superiore a quello dell’Unione, e quando un singolo Stato americano manifesta delle difficoltà, lo si aiuta, per evitare eccessive disparità di crescita. Da noi, in Europa, c’è stata solo l’iniziativa della Banca Centrale Europea, che ha introdotto il “Quantitative Easing”, ovvero l’acquisto di titoli pubblici dei Paesi in difficoltà, immettendo così liquidità sul mercato. L’acquisto però può riguardare solo i titoli del mercato secondario, non quelli di nuova emissione. Fortunatamente l’Italia nel 2013 ha allungato le scadenze a 3-4-5 anni e quindi ritardato i tempi dei rinnovi, cosa che dovrebbe permetterci di contenere in circa 35 miliardi di euro le emissioni da collocare sul mercato in seguito alla riduzione del “Quantitative Easing”.
Nel 2019, scadrà anche il mandato di Mario Draghi
“Già, ed a succedergli potrebbe essere un tedesco. Ecco perché questa grande trattativa va avviata e conclusa in fretta”.
Del surplus commerciale si è detto. Il budget europeo di quanto, invece, dovrebbe aumentare?
“Dovrebbe arrivare entro breve termine ad almeno il 3 per cento del Pil dei Paesi dell’Unione, triplicato. In una recente intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, la Merkel ha mostrato una cauta apertura nei confronti dell’aumento, e si è anche mostrata a favore riguardo all’ipotesi di una difesa comune, ma non rispetto ad altre proposte di Macron che vanno nella direzione di una maggiore unione fiscale. La verità è che il bilancio europeo è largamente impiegato nelle politiche agricole, che hanno un impatto limitato sullo sviluppo. Bisogna invece alzare il budget ed utilizzare meglio i fondi, potenziare fortemente ad esempio la ricerca, e fornire supporto tecnico a chi deve portare avanti i progetti. Vi è poi l’idea di tenere gli investimenti infrastrutturali fuori dal computo del deficit pubblico, proposta anche da Macron e compatibile con il troppo modesto piano Junker!.
Da soli non ce la faremo mai…
“E chi ha detto che dobbiamo essere soli? Macron può essere la guida, a Madrid il nuovo premier Sanchez potrebbe essere diverso da Rajoy che, recentemente, era molto vicino alla Merkel. Francia, Italia e Spagna devono aprire subito questo confronto a tutto campo per rifondare l’Eurozona, distribuendo meglio i vantaggi tra i vari Paesi, e dire alla Germania: o si cambia, o facciamo saltare tutto”.