Pensare la pandemia attraverso la filosofia
Tra le tante definizioni di filosofia ormai diventate classiche ce n’è una, attribuibile a Hegel, che la rappresenta come il “proprio tempo appreso con il pensiero”. La filosofia, stando perciò a questa canonica definizione, sarebbe la coscienza del presente e il suo compito principale consisterebbe nel comprendere l’attualità. Intendendola in questo modo, Hegel le attribuiva una responsabilità non da poco, esponendola al rischio di clamorosi fallimenti. Tanto più probabili, verrebbe spontaneo pensare, quanto più il presente da indagare e comprendere fosse andato a toccare livelli di sempre più alta complessità.
Qualcosa di simile è accaduto in questi ultimi anni, segnati, come sappiamo, dalla circolazione planetaria del Covid-19 e dagli effetti provocati dalla sua diffusione e dalle misure messe in atto – in primis, le pratiche di isolamento e distanziamento sociale – per contrastarla e contenerla. L’emergenza sanitaria ha messo alle strette un mondo intero, producendo divisioni e alimentando paure e sospetti. Ai filosofi è toccato provare a comprendere ciò che stava accadendo, con l’intento non sempre chiaramente formulato di non usurpare gli spazi, di più diretta competenza, di scienziati e politici. Lo hanno fatto, quando in ciò si sono realmente cimentati, non sempre riuscendovi. Spesso, l’eccezionalità del momento è stata evocata per giustificare atteggiamenti e posizioni che a molti possono essere parsi, se non fuori luogo, esuberanti e difficilmente condivisibili. Anche se non sempre chiamati direttamente in causa, hanno fatto sentire la loro voce. Chomsky, Rovatti, Agamben, Di Cesare, Sini, Morin, Cacciari, Caffo, Ferraris, Žižek, Cimatti, sono fra i tanti che hanno, per così dire, risposto all’appello. Oggi, finalmente autorizzati a compiere un’analisi retrospettiva degli eventi recenti e una valutazione degli effetti in corso, è possibile valutarne meglio le rispettive posizioni e chiedersi quanto queste ci abbiano realmente aiutati a comprendere ciò che è stato.
Due letture filosofiche della pandemia
In generale, le letture filosofiche che sono state prodotte durante i mesi dell’emergenza sanitaria che ha colpito il pianeta possono essere inscritte in due tipologie: quelle tendenzialmente depressionistiche, da una parte, e, dall’altra, quelle moderatamente ottimistiche, che, pur non giustificando versioni surrettiziamente confortanti, hanno trasformato la catastrofe in un evento quasi istruttivo per le future sorti del mondo e dell’umanità. Ciò che accomuna posizioni così apparentemente contrastanti è l’apocalitticismo di cui si nutrono, perché è chiaro – e, di sicuro, non solo ai filosofi di professione – che niente potrà più essere come prima. Il disorientamento sarebbe, allora, palpabile, e nuove categorie interpretative potrebbero essere necessarie. «Senza nessuna nuova bussola, frutto di un lungo processo di autoanalisi individuale e collettiva in grado di guidarci attraverso il confine che stiamo attraversando, rischiamo – secondo Caffo – una potenziale deriva superiore a quella reale del Covid-19: anche la filosofia, se vuole sopravvivere, dovrà tornare alle origini classiche smettendola di distinguere teoria e pratica»1. Un invito, quello di Caffo, già lanciato da diversi pensatori del passato, a fare della filosofia un sapere non sterilmente speculativo. Cosa che si è in effetti verificata, come dimostrano i casi di insigni accademici del pensiero che si sono interrogati sulla insufficiente produzione e disponibilità di ventilatori (Chomsky, ad esempio) o, per mettersi sulle tracce delle riflessioni di Zyzek, sull’accaparramento della carta igienica assurta in poco tempo e inaspettatamente al rango di bene di consumo tra i più richiesti.
Vivere e/o sopravvivere alla pandemia. Gli orientamenti della filosofia
Un atteggiamento diverso rispetto alla vita è sempre ciò che si attende da chi è riuscito a scampare a un pericolo mortale. Perciò, potrebbe non essere così inopportuno o sconveniente chiedersi se, dopo il Covid-19, vivere sia diventato un’impresa più interessante che sopravvivere2. La pandemia avrebbe addirittura insegnato che sopravvivere si può, ma solo se non saremo soli e sapremo fare ciò che è giusto e necessario per tutti. Ne è convinto Pier Aldo Rovatti, filosofo che nella crisi pandemica ha ritenuto di cogliere indizi di una positività ad altri sfuggiti o non considerati così edificanti. «Sta capitando, in una dimensione più ampia di quanto può sembrare, di pensare che ci troviamo tutti sulla stessa barca e che, per una volta, le differenze di prospettiva e di collocazione sociale abbiano un peso non preponderante, cosicché ciascuno di noi può parlare il medesimo linguaggio di chi vive accanto o lontano dal luogo in cui ci troviamo. Parliamo la stessa lingua perché abbiamo i medesimi problemi»3. Parole – ahinoi – che sembrano distanti dalla realtà, se è vero che, rientrato l’allarme generale e prese, per così dire, le misure al virus, la qualità etica della vita non si è affatto elevata e la grande “lezione” del Covid sarebbe rimasta lettera morta. Tanto da spingere uno dei meno indulgenti pensatori del nostro tempo, Slavoj Žižek, a produrre un singolare vaticinio: «la solidarietà e la collaborazione globale sono nell’interesse di tutti e di ciascuno di noi, e sono l’unica cosa razionale ed egoista da fare»4. Se non fossero quelle di un acerrimo e dichiarato antagonista del sistema globale, sembrerebbero le parole di un utilitarista dei nostri giorni.
La “nuda vita” di Agamben
Tra le letture più “dure” della pandemia – letture, sarà opportuno precisare, prodotte contestualmente al manifestarsi e diffondersi del virus – c’è quella proposta da Giorgio Agamben. Da più parti contestata, la posizione di Agamben fa leva sulle responsabilità politiche e di sistema della gestione delle conseguenze del virus5. La “nuova peste” rappresentata dal Covid avrebbe riprodotto vecchi meccanismi di controllo e gestione del potere, mortificando le libertà delle persone, a quel punto non più inalienabili. Effetti del contagio sarebbero così state l’abolizione del prossimo6 e la paura di perdere quella che il filosofo ha definito, con parole che fanno pensare allo stato di natura di Hobbes, la “nuda vita”, perché «la nuda vita – e la paura di perderla – non è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e separa»7. Per Agamben, la lezione che si dovrebbe trarre sarebbe la conferma dell’essenza biopolitica della sovranità e della pervasività del potere. Una triste lezione, dunque, alla quale sarebbe sempre più difficile rimediare.
…e le “salutari” lezioni di Morin
Si è invece dichiarato disposto a far più fruttuosamente tesoro delle tragiche vicissitudini del Covid Edgar Morin che, giusto per essere schematici quel tanto che basta, ha sintetizzato in quindici lezioni gli insegnamenti che si possono trarre dalla crisi sanitaria globale. Il presupposto di Morin, ribadito anche in questa circostanza, è la considerazione che «il degrado della biosfera produce il degrado dell’antroposfera, colpendo i prodotti alimentari, le risorse, la salute e la sfera psichica degli esseri umani»8. La minaccia principale lasciataci in eredità dalla pandemia potrebbe essere il pericolo di un processo regressivo che annulli conquiste fatte e attenui la consapevolezza dell’uomo di essere il vero protagonista di un futuro planetario tutta da scrivere. Questo “Homo complexus” sarà l’artefice di un umanesimo rigenerato, capace di comprendere «che l’affettività umana può condurre all’amore o all’odio, al coraggio o alla paura; che la ragione sola e glaciale è inumana; che la tecnica può portare il meglio e il peggio; che la mente umana non cesserà di produrre miti di cui diventa schiava; che la gratuità, il gioco, le passioni fanno sì che l’interesse economico, per quanto ipertrofico nella nostra civiltà, non la fa mai del tutto da padrone. Questo vuol dire che qualsiasi arte politica, così come qualsiasi speranza umanistica, deve tener conto delle ambiguità, delle instabilità e della versatilità umana»9. Un nuovo umanesimo, dunque, per un uomo tutto, o quasi, da rigenerare.
1 Leonardo Caffo, Dopo il Covid-19. Punti per una discussione (Semi).
2 «Se vivere diventasse, improvvisamente e dopo il Covid-19, più interessante che sopravvivere?» (Caffo, Dopo il Covid-19, nottetempo, Milano 2020).
3 Pier Aldo Rovatti, In virus veritas, il Saggiatore, Milano 2020, p. 22.
4 Slavoj Žižek, Virus: Catastrofe e solidarietà, Ponte alle Grazie, Milano 2020; cfr. “Internazionale”, n. 1349, 13 marzo 2020 (https://www.internazionale.it/opinione/slavoj-zizek/2020/03/21/comunismo-salvarci-coronavirus).
5 Si vedano, ad esempio, le critiche mossegli da Donatella Di Cesare. Cfr. https://espresso.repubblica.it/opinioni/2021/12/20/news/giorgio_agamben_complotto_covid-330912383/
6 Cfr. Giorgio Agamben, Contagio, in https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-contagio.
7 Cfr. G. Agamben, La nuda vita e il vaccino, in https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-la-nuda-vita-e-il-vaccino.
8 Edgar Morin, Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus, Raffaello Cortina Editore, Milano 2020, p. 13.
9 E. Morin, Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus, cit., pp. 106-107.