L’Italia è pronta a un Ministero per le politiche future?

L’Istituto di Studi Politici Economici e Sociali Eurispes ha recentemente lanciato la proposta di creare in Italia un Ministero per il Futuro. In una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Renzi ha fatto propria l’iniziativa del governo svedese che l’anno sorso ha costituito un Ministero per lo Sviluppo Strategico.

E’ un’idea interessante e forte che sollecita una visione organica dei problemi e dello sviluppo.

In Svezia opera un vero e proprio Consiglio dei Ministri, composto dal primo ministro e dai ministri per le infrastrutture, lo sviluppo economico e l’innovazione, le finanze, la pubblica amministrazione e l’ambiente, che si riunisce periodicamente per definire le scelte strategiche ed elaborare idee di sviluppo a lungo termine.

Non necessariamente diventa indispensabile fare lunghe ricerche accademiche sugli scenari futuri, ma diventa stringente la valutazione di ciò che già si sa, si conosce o si intuisce per cercare le soluzioni idonee. Ad esempio sappiamo che la tecnologia cambia le condizioni del lavoro e che la democrazia rischia meno se si coltiva una cultura civica condivisa. Di conseguenza i provvedimenti puntuali da adottare in merito possono ridurre le tensioni quotidiane, attenuando anche la polemica mediatica del momento e favorendo quindi una maggiore libertà ed efficacia dell’azione politica dei governanti.

A livello internazionale, europeo e nazionale, la politica è di fronte a scelte di grande rilievo e anche a grandi opportunità. Si deve muovere su un terreno di gioco inedito e più complesso che pone domande nuove e richiede soluzioni nuove oltre che un impegno comune. Si consideri, per esempio, la grande finanza, le migrazioni, l’ambiente, l’esplorazione dello spazio, la ricerca, anche quella sanitaria e farmaceutica per debellare i grandi mali del secolo. Si consideri inoltre gli apporti che necessariamente dovranno venire non solo dall’Unione Europea ma anche dai BRICS.

L’inevitabile passaggio dal morente mondo unipolare a quello multipolare e la creazione di una nuova architettura economica, finanziaria, monetaria e commerciale internazionale possono essere realizzati soltanto se i governi saranno in grado di progettare insieme il loro futuro.

In alcune istituzioni internazionali, per fortuna, la cultura e la pratica degli scenari sono già avviate. Le stesse Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030. L’OECD fornisce orientamenti su economia e lavoro proiettati al 2030-2050 che sono alla base delle scelte del G20.

La Cina, è noto da tempo, opera su una prospettiva di lungo periodo in base alla visione di una nuova riorganizzazione territoriale di tutta l’area euroasiatica. La Nuova Via della Seta e l’Asian Infrastructure Investment Bank sono i pilastri portanti di questa strategia.

Anche la Russia ha recentemente creato un’apposita Agenzia per le Iniziative Strategiche. Si pensi al grande Progetto Razvitie, il corridoio di sviluppo infrastrutturale eurasiatico che dovrebbe collegare il Pacifico a Mosca e poi fino all’Atlantico attraversando l’Europa.

Nel campo militare e della geopolitica sono gli Stati Uniti che da sempre operano con scenari di lungo periodo.

Oggi in Italia, invece, siamo, purtroppo, condizionati dalle continue emergenze e da scelte politiche di breve respiro. Invece i cambiamenti paradigmatici nel campo politico, economico, sociale e culturale e le grandi sfide epocali operano sul lungo periodo. L’improvvisazione, anche se farcita dalla tanto osannata creatività nostrana, non basta.

Ne può bastare la delega a qualche università, a qualche benemerito istituto privato, del compito di fare delle ricerche sul “futuribile”. Definire le strategie è compito dello Stato e del Governo.

Nel nostro Paese c’è un grande bisogno di recuperare una cultura degli scenari, una visione che aiuti ed orienti gli operatori, pubblici e privati, ad affrontare meglio la complessità del mondo contemporaneo e le sue sfide globali. Perciò ci sembra condivisibile l’idea avanzata dall’Eurispes.

(Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia, Paolo Raimondi, economista)

 

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