HomeCrescitaLa crisi dell’auto tra Cina, Green Deal e nuove...

La crisi dell’auto tra Cina, Green Deal e nuove abitudini di consumo

di
Ludovico Semerari

Il 2024 si è rivelato un anno estremamente negativo per il settore dell’automotive italiano ed europeo. Secondo quanto rivelato dall’Istat, l’indice della produzione industriale, tra gennaio e dicembre 2024, si è ridotto del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo i dati ANFIA, nel nostro Paese nel 2024 sono state prodotte circa 310mila autovetture (-42,8% rispetto al 2023) e 591mila autoveicoli (-32,3%). Il comparto dell’automotive si trova ad affrontare due diversi problemi: l’alto costo dell’energia, la scarsità di materie prime in generale e di materiali critici in particolare, l’alto costo del lavoro europeo rispetto a quello cinese o il deficit tecnologico rispetto alla concorrenza cinese o americana.

La crisi dell’automotive e il ruolo della Cina

La Cina, nel gennaio dell’anno in corso, ha annunciato che il suo surplus commerciale aveva raggiunto quasi 1.000 miliardi di dollari nel 2024, superando di gran lunga quello di qualsiasi altro paese al mondo nell’ultimo secolo. Le fabbriche cinesi stanno dominando l’industria manifatturiera globale su di una scala mai sperimentata da nessun paese, ad eccezione degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. L’Amministrazione generale delle dogane cinese ha dichiarato che il paese lo scorso anno ha esportato beni e servizi per un valore di 3.580 miliardi di dollari, mentre ne ha importati per 2.590 miliardi. Negli ultimi due decenni la Cina ha perseguito l’autosufficienza nazionale, in particolare attraverso la politica Made in China 2025, per la quale Pechino si è impegnata a stanziare 300 miliardi di dollari per promuovere l’industria manifatturiera avanzata. Questa politica di autosufficienza interna, sommata ad un numero sempre maggiore di investimenti su prodotti destinati all’export, negli ultimi anni, hanno contribuito a tenere a galla l’economia cinese.

La Cina oggi è il più grande esportatore di auto al mondo, superando Giappone, Corea del Sud, Messico e Germania

L’impatto di queste politiche sull’industria automobilistica globale è stato particolarmente rilevante. La Cina è passata dall’importare automobili a diventare il più grande esportatore di auto al mondo, superando Giappone, Corea del Sud, Messico e Germania. Questa dinamica ha inciso sull’industria europea dell’auto sostanzialmente in due modi. In primo luogo, vi è stata una netta riduzione della domanda cinese di automobili europee: la Cina, che per molti produttori occidentali sembrava uno sbocco infinito, si è indebolita per il calo nel potere d’acquisto delle famiglie, appesantito dalla crisi immobiliare interna. Il secondo aspetto riguarda un generale restringimento dell’offerta europea a livello mondiale a causa della concorrenza cinese. L’industria automobilistica cinese è diventata sempre più competitiva, soprattutto per quanto riguarda la produzione e la vendita di veicoli elettrici. I cittadini cinesi comprano più auto Made in China, e i produttori cinesi esportano di più, tanto in Europa, quanto nelle economie emergenti. Basti pensare che nel Duemila la Cina rappresentava solo il 4% della domanda globale di automobili, oggi arriva a coprire circa il 32% della domanda. Nel 2023 i modelli di auto elettriche disponibili sul mercato cinese erano 235, contro i 135 dell’Europa e i 51 degli Stati Uniti. In Cina poi su 235 modelli disponibili ben 181 avevano un prezzo di acquisto sotto i 40mila euro. Al contrario, in Europa i modelli di auto elettriche sotto i 40mila euro erano 31 mentre negli Stati Uniti solamente 9.

Il settore dell’automotive si è trasformato in un banco di prova per l’approccio europeo alla transizione energetica

Tra le cause principali che hanno portato alla crisi del settore dell’automotive in Europa e in Italia vi sono certamente le politiche legate al Green Deal e i vincoli imposti dalla Commissione Europea alle case automobilistiche sulla produzione di veicoli a combustione. In questo contesto, la scelta a livello europeo è stata quella di stabilire una serie di obiettivi che le case automobilistiche devono raggiungere in termini di emissioni totali prodotte dalle auto immesse sul mercato. Si prevede, ad esempio, che, a partire dal 2025, le case automobilistiche non possano vendere auto che mediamente emettono più di 93,6 grammi di CO2/km. È evidente come il settore dell’automotive si sia trasformato in un banco di prova fondamentale per l’approccio europeo alla transizione energetica, in quanto sta chiaramente evidenziando le difficoltà legate alla decarbonizzazione della domanda e i costi economici e sociali che questo comporta. In questo contesto, stupisce come a livello europeo si trascuri che l’acquisto di un bene dipende tanto dall’offerta dello stesso, quanto dalla domanda. Che una serie di azioni del consumatore non possano essere imputate alle case automobilistiche, dato che esse vengono effettuate sulla base delle caratteristiche del bene venduto come: prezzo, efficienza, o affidabilità, oltre alla presenza di una rete infrastrutturale che, al momento, è ancora in costruzione ‒ e non in base ai target di emissioni che ci siamo autoimposti di raggiungere.

Le nuove abitudini di consumo: per i giovani l’auto non è più uno status

L’ultima causa dell’attuale crisi dell’auto racchiude in sé sia elementi economici sia aspetti culturali. L’auto non è più vista come uno status symbol, ma come un mezzo utile per spostarsi, sommato agli attuali prezzi delle automobili, sta portando i giovani verso alternative un tempo inesistenti o meno diffuse come il car sharing o l’utilizzo dei mezzi pubblici. Il numero di auto intestate a giovani sotto i 25 anni in Italia è diminuito del 43% tra il 2011 e il 2021, passando da oltre un milione a 590mila unità. Questi elementi culturali si sommano, soprattutto per le generazioni più giovani, ad elementi ideologici legati agli effetti dei cambiamenti climatici. In questo contesto, la transizione verso l’auto elettrica potrebbe rappresentare una parziale risposta alla ritrosia dei giovani a dotarsi di automobile ma qui rientra in gioco il fattore economico. Ma in questo scenario, per chi non può permettersi di pagare decine di migliaia di euro per un’auto elettrica, l’alternativa resta l’auto a basso costo in cui il mercato resta dominato dalle auto made in China.

Automotive e decarbonizzazione: una transizione necessaria ma con dei costi 

Sarebbe opportuno evidenziare tre considerazioni che possano far da punto fermo nei futuri dibattiti in tema di decarbonizzazione. La prima riguarda il necessario bilanciamento tra le necessità della transizione energetica ed i costi economici e sociali che questa implica. Soprattutto, sarà necessario evitare di scaricare questi costi solamente su di un attore. La seconda riguarda la necessità di proseguire nel processo di decarbonizzazione senza demonizzarlo e accettando di dover pagare un costo poiché le evidenze, sia scientifiche sia empiriche, del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti. In terzo luogo, infine, soprattutto a livello europeo, sarà necessario inserire i processi di decarbonizzazione dei diversi settori all’interno di una più ampia strategia evitando di affrontare ogni argomento singolarmente.

Leggi anche

Per rimanere aggiornato sulle nostre ultime notizie iscriviti alla nostra newsletter inserendo il tuo indirizzo email: