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Dal child penalty alla daughter penalty: la maternità come causa principale del gender gap

di
Andrea Laudadio*

La disparità di genere nel mercato del lavoro rappresenta una delle sfide più pressanti delle economie contemporanee. All’interno di questo panorama complesso, il concetto di child penalty si è affermato come fattore cruciale per comprendere le dinamiche della disuguaglianza. La child penalty indica la penalizzazione economica e professionale che le donne subiscono dopo la nascita dei figli: perdite salariali, interruzioni di carriera e riduzione delle opportunità lavorative che colpiscono le madri in misura significativamente maggiore rispetto ai padri, i quali spesso non sperimentano alcun effetto negativo o addirittura beneficiano della paternità. Questo fenomeno non solo alimenta il divario retributivo di genere, ma persiste anche in paesi con elevata partecipazione femminile al lavoro, dimostrando che la semplice presenza delle donne nel mercato non garantisce l’uguaglianza.

Il quadro globale: 134 paesi a confronto

L’analisi condotta da Kleven et al. (2025) su 134 paesi rivela una variabilità significativa nella child penalty a livello mondiale. Gli effetti occupazionali del primo figlio oscillano da valori prossimi allo zero fino al 64%, evidenziando come la nascita rappresenti una vera e propria biforcazione tra il destino lavorativo delle donne e quello degli uomini.

Con la nascita di un figlio il destino professionale e retributivo dei due genitori si biforca in modo evidente. Dallo studio di Kleven et al. (2025), la distribuzione geografica mostra pattern sistematici chiari. L’America Latina presenta le penalizzazioni più severe, con una media continentale del 38%: Brasile, Cile, Colombia e Messico registrano valori compresi tra 37% e 48%. L’Asia manifesta la maggiore variabilità interna, spaziando dall’1% del Vietnam ai picchi del 62% in Bangladesh e 64% in Giordania, mentre Laos e Cambogia mostrano valori nulli. L’Europa evidenzia marcate differenze istituzionali: i paesi scandinavi mantengono penalità contenute (Danimarca 14%, Svezia 9%), mentre l’Europa centrale presenta valori elevati (Repubblica Ceca 50%, Germania 41%). L’Africa mostra una divisione regionale netta, con penalità trascurabili nell’Africa centrale e significative nel Nord e Sud (Marocco 41%, Sud Africa 28%). La ricerca conferma l’ipotesi che la trasformazione strutturale dell’economia – dal lavoro agricolo di sussistenza a quello salariato industriale – amplifichi sistematicamente la child penalty. Nei paesi a basso reddito, questo fenomeno spiega una frazione minima della disuguaglianza di genere, mentre nei paesi ad alto reddito costituisce il driver principale.

Child penalty, una disuguaglianza in evoluzione

Lo studio di Kleven et al. (2025) delinea un modello evolutivo della disuguaglianza di genere in relazione al livello di sviluppo economico. Nei paesi con basso Pil, il gender gap deriva principalmente da fattori pre-familiari: il matrimonio stesso esclude le donne dal mercato del lavoro, rendendo marginale l’impatto aggiuntivo dei figli.

Nella fascia centrale dei paesi in via di sviluppo, il gap raggiunge il picco massimo. Con l’emergere della separazione tra casa e lavoro, le madri subiscono forti penalizzazioni mentre il matrimonio mantiene un ruolo discriminatorio significativo. Nei paesi ricchi, il gap si riduce grazie alla quasi-eliminazione della discriminazione educativa e alla neutralità del matrimonio rispetto al lavoro femminile. Tuttavia, la nascita del figlio diventa il principale ostacolo all’uguaglianza di genere.

Maternità e gender gap, la situazione italiana

L’Italia presenta un quadro particolarmente severo. Secondo il recente rapporto “Le Equilibriste 2025” di Save the Children e Alessandra Minello, la maternità rappresenta una penalizzazione sistemica nel mercato del lavoro italiano. A 15 anni dalla nascita del primo figlio, le madri guadagnano il 57% in meno rispetto alle donne senza figli, a parità di caratteristiche. Questo divario si scompone in tre componenti: il 67% è attribuibile alla riduzione delle settimane lavorate, il 21% al passaggio al part-time e il 12% alla diminuzione del salario settimanale. L’effetto risulta più marcato tra le giovani madri, le donne con salari bassi e quelle residenti in aree carenti di servizi per l’infanzia. Il modello familistico italiano amplifica la child penalty attraverso l’ineguale distribuzione del lavoro di cura. I tassi di occupazione femminile decrescono all’aumentare del numero di figli, mentre per gli uomini accade l’opposto. Le madri sole affrontano un rischio di povertà o esclusione sociale superiore al 41%.

I costi di carriera del child penalty

Lo studio tedesco di Adda, Dustmann e Stevens (2017) fornisce una scomposizione dettagliata dei costi economici della maternità attraverso un modello dinamico di ciclo di vita. La loro analisi identifica tre componenti principali. Lost earnings opportunities (mancati guadagni): rappresentano circa tre quarti dei costi totali, derivando principalmente dalle interruzioni lavorative o dalla riduzione dell’offerta di lavoro per dedicarsi alla cura dei figli. Skill atrophy (perdita di capitale umano e deprezzamento delle competenze): costituisce il restante quarto dei costi, causata dalla mancata accumulazione di esperienza durante le assenze e dal potenziale deprezzamento delle competenze acquisite. L’intensità di questa perdita varia significativamente secondo il tipo di occupazione e il momento della carriera in cui avviene l’interruzione. Occupazioni child-friendly, una forma anticipata di penalizzazione: le donne si orientano verso percorsi professionali più flessibili ma meno remunerativi, internalizzando le future difficoltà di conciliazione ancora prima della nascita dei figli.

La scoperta del daughter penalty 

La ricerca di Bhalotra, Clarke e Nazarova (2025) introduce una dimensione completamente nuova: la daughter penalty, ovvero l’effetto differenziale del genere del primogenito sulle dinamiche familiari e lavorative. Lo studio utilizza dati dell’UK Household Longitudinal Study su 7.480 osservazioni genitore-anno dal 2009 al 2019. L’approccio metodologico adotta il modello event-study di Kleven et al. (2019), stimando separatamente gli effetti per genitori di figli maschi e femmine, utilizzando il tempo di nascita come variabile di trattamento. L’identificazione causale sfrutta la randomizzazione naturale del sesso del primogenito, validata attraverso test di bilanciamento su caratteristiche predeterminate.

I risultati rivelano differenze di estremo interesse:

  • Reddito: Le madri di figlie subiscono una riduzione media del 26% nei guadagni nei cinque anni successivi al parto, confrontata al modesto 3% delle madri di figli maschi. Questo differenziale di 23 punti percentuali persiste costantemente nel periodo di osservazione, indicando un effetto strutturale piuttosto che temporaneo.
  • Occupazione: Il tasso di occupazione femminile diminuisce del 20% quando il primogenito è femmina, versus una riduzione del 6% con un figlio maschio. La penalizzazione occupazionale si manifesta immediatamente dopo il parto e mantiene intensità comparabile per l’intero quinquennio analizzato.
  • Lavoro domestico: Le madri di figlie assumono responsabilità domestiche sproporzionatamente maggiori, svolgendo il 43% delle faccende domestiche in più rispetto ai padri, confrontato al 27% delle madri di figli maschi. Il 67% delle madri di figlie si identifica come main carer primario, versus il 57% delle madri di figli maschi.
  • Attitudini di genere: La nascita di una figlia induce regressione significativa nei valori di uguaglianza di genere materna. Le madri sviluppano atteggiamenti più tradizionalisti riguardo ai ruoli familiari, modificano le preferenze di consumo mediatico verso fonti conservative e mostrano spostamenti politici verso posizioni meno progressiste.
  • Benessere: Le madri di figlie manifestano deterioramento della salute mentale misurato sulla scala clinica SF-12, con una diminuzione del 3,7% superiore rispetto alle madri di figli maschi. Paradossalmente, i padri di figlie riportano maggiore soddisfazione coniugale, suggerendo benefici dalla redistribuzione tradizionale dei ruoli domestici.
  • Trasmissione intergenerazionale: Le figlie crescono sistematicamente in contesti familiari caratterizzati da divisione tradizionale del lavoro domestico, minore partecipazione materna al mercato del lavoro e atteggiamenti genitoriali meno egualitari. I maschi, inversamente, sono più frequentemente esposti a modelli di madri lavoratrici e dinamiche familiari egualitarie.
  • Comportamenti riproduttivi: I genitori di figlie mostrano probabilità significativamente superiore di concepire un secondo figlio entro cinque anni (circa 10 punti percentuali), evidenziando persistenza di preferenze per la prole maschile anche in contesti occidentali presumibilmente egualitari.

Meccanismi e paradossi della daughter penalty

L’analisi identifica molteplici fattori causali interconnessi. La nascita di una figlia innesca una specializzazione domestica maggiore, con redistribuzione tradizionale dei ruoli genitoriali. Entrambi i genitori mostrano probabilità superiori di avere un secondo figlio quando il primogenito è femmina, suggerendo persistenza di preferenze per figli maschi anche in contesti occidentali. Le madri di figlie sviluppano atteggiamenti meno progressisti in materia di uguaglianza di genere, consumo mediatico e preferenze politiche rispetto ai livelli pre-parto. Questo cambiamento attitudinale suggerisce un meccanismo di adattamento alle responsabilità domestiche accresciute. L’analisi per sottogruppi rivela paradossi significativi. I genitori con istruzione universitaria e quelli con valori inizialmente progressisti manifestano daughter penalty più marcate. Questo risultato controintuitivo indica che l’effetto non deriva da pregiudizi culturali tradizionali, ma rappresenta una risposta comportamentale sistemica alle dinamiche familiari. L’analisi rivela che questi effetti si manifestano immediatamente dopo il parto e persistono per l’intero periodo di osservazione quinquennale, suggerendo modificazioni strutturali permanenti nelle dinamiche familiari piuttosto che aggiustamenti temporanei. La daughter penalty genera conseguenze durature attraverso la trasmissione intergenerazionale di modelli di genere e la persistenza di preferenze riproduttive tradizionali, creando un ciclo che perpetua la disuguaglianza di genere attraverso le generazioni.

Un approccio olistico alla child penalty

La child penalty e la sua specificazione nella daughter penalty rappresentano manifestazioni complesse di disuguaglianze strutturali e culturali. Affrontarle richiede un approccio olistico che integri politiche economiche e sociali con un impegno profondo per la trasformazione delle norme di genere, al fine di creare una società in cui la genitorialità costituisca un’esperienza arricchente e non un ostacolo alla piena realizzazione individuale, indipendentemente dal genere del genitore o del figlio. Qualora la daughter penalty venisse confermata anche in altri contesti culturali – lo studio è limitato esclusivamente al Regno Unito – richiederebbe un ripensamento profondo delle politiche e degli interventi sul gender gap, sovvertendo le teorie consolidate sull’istruzione ed emancipazione. La ricerca potrebbe evidenziare un nesso “proiettivo” tra madre e figlia: la nascita della figlia attiverebbe, attraverso un processo di specchio identitario, dinamiche rielaborative del proprio ruolo di donna che si tradurrebbero nella trasmissione di modelli comportamentali che, paradossalmente, perpetuano le stesse limitazioni che la madre intendeva superare.

La daughter penalty illumina la natura sistemica della disuguaglianza di genere

Alternativamente, la specializzazione domestica osservata nelle famiglie con primogenite femmine non deriva esclusivamente da vincoli esterni, ma da una forma di “preparazione adattiva” inconscia. Le madri istruite e progressiste sembrano intuire che, nonostante i progressi formali verso l’uguaglianza, le loro figlie dovranno ancora navigare un mondo che penalizza la conciliazione vita-lavoro per le donne. La risposta adattiva consiste nell’acquisizione di competenze domestiche e atteggiamenti tradizionali che potrebbero risultare funzionali nel futuro. La daughter penalty illumina la natura sistemica della disuguaglianza di genere, dimostrando che la sua persistenza non dipende unicamente da discriminazioni esterne o da resistenze maschili al cambiamento. Le donne stesse, attraverso scelte apparentemente razionali e protettive nei confronti delle figlie, contribuiscono alla riproduzione dei pattern che limitano le opportunità femminili. Questa co-responsabilità non implica colpevolizzazione individuale, ma evidenzia la complessità dei meccanismi attraverso cui le strutture sociali si auto-perpetuano.

Child penalty, riconsiderare le strategie di intervento per la promozione dell’uguaglianza di genere

L’evidenza che i padri di figlie riportino maggiore soddisfazione coniugale suggerisce che la redistribuzione tradizionale dei ruoli genera benefici immediati per alcuni attori, creando incentivi perversi alla perpetuazione del sistema. La specializzazione domestica delle madri di figlie non solo riduce i conflitti familiari nel breve termine, ma consente ai padri di massimizzare l’investimento professionale senza dover rinegoziare le responsabilità domestiche. I risultati impongono una riconsiderazione delle strategie di intervento per la promozione dell’uguaglianza di genere. Le politiche tradizionali, focalizzate sulla rimozione di barriere formali e sulla creazione di opportunità strutturali, risultano insufficienti di fronte a meccanismi che operano a livello micro-sociale e psicologico. La daughter penalty dimostra che l’uguaglianza formale può coesistere con la disuguaglianza sostanziale quando i processi di socializzazione continuano a trasmettere aspettative differenziate per genere. Gli interventi più efficaci dovrebbero concentrarsi sui momenti critici di transizione, in particolare il periodo immediatamente successivo alla nascita del primo figlio. Le politiche di congedo parentale paritario, la promozione di modelli di paternità attiva e gli interventi di supporto psicologico durante la transizione alla genitorialità potrebbero interrompere la catena di trasmissione intergenerazionale dei ruoli tradizionali.

*Andrea Laudadio è a capo della Formazione e Sviluppo di TIM e dirige la TIM Academy.

Riferimenti bibliografici

Adda, J., Dustmann, C., & Stevens, K. (2017). The career costs of children. Journal of Political Economy, 125(2), 293-337. https://doi.org/10.1086/690952

Casarico, A., & Lattanzio, S. (2023). Behind the child penalty: understanding what contributes to the labour market costs of motherhood. Journal of Population Economics, 36(3), 1489-1511. https://doi.org/10.1007/s00148-023-00937-1

Bhalotra, S., Clarke, D., & Nazarova, A. (2025). The daughter penalty (IZA Discussion Paper No. 17817). Institute of Labor Economics (IZA)

Kleven, H., Landais, C., & Leite-Mariante, G. (2025). The child penalty atlas. Review of Economic Studies, 00, 1–34. https://doi.org/10.1093/restud/rdae104

Minello, A., & Save the Children. (2025). Le Equilibriste 2025: Maternità e lavoro in Italia. Save the Children Italia.

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