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Il pavimento appiccicoso, perché è il momento di guardare in basso

di
Andrea Laudadio*

Da trent’anni parliamo ossessivamente di “soffitto di cristallo”, quell’insieme di barriere invisibili che impediscono alle donne di raggiungere i vertici aziendali. Ma è necessario considerare anche un fenomeno altrettanto critico, ma meno discusso: lo “sticky floor”, il pavimento appiccicoso che intrappola milioni di donne alla base della piramide organizzativa, senza permettere loro di progredire nella carriera. Come sottolineava già nei primi anni ’90 la sociologa Catherine Berheide, «la maggior parte delle donne dovrebbe considerarsi fortunata se il loro problema fosse davvero il soffitto di cristallo; molte rimangono invischiate nel pavimento appiccicoso» (Berheide, 1992). Questa osservazione risuona ancora oggi, mentre continuiamo a concentrarci sui pochi casi di donne che sfondano il soffitto, ignorando le masse che restano bloccate nei livelli più bassi.

Che cos’è il pavimento appiccicoso?

Cosa s’intende esattamente per “pavimento appiccicoso”? Si tratta di quel fenomeno misurabile per cui le donne restano bloccate nelle posizioni entry-level o intermedie dell’organizzazione, con salari più bassi e scarse opportunità di avanzamento. In termini operativi, il fenomeno si identifica quando esiste un divario salariale significativo nel primo quartile della distribuzione dei redditi e una minore mobilità verticale femminile nei primi livelli gerarchici. A differenza del soffitto di cristallo, che riguarda l’accesso ai ruoli di vertice, lo sticky floor impedisce alle donne di progredire già nei primi gradini della carriera, creando un blocco sistematico che compromette l’intero percorso professionale. Il fenomeno del pavimento appiccicoso si manifesta in modo particolarmente evidente attraverso le statistiche salariali. Secondo l’OCSE, nei paesi dell’Europa centrale e orientale, lo sticky floor rappresenta circa il 60% del divario salariale di genere (Ciminelli et al., 2021). Interessante notare come la distribuzione geografica di questi fenomeni sia diversificata: mentre nell’Europa settentrionale e occidentale prevale il “glass ceiling” (soffitto di cristallo), nell’Europa centrale e orientale è più marcato lo “sticky floor”. Un dato che dovrebbe farci riflettere sulla necessità di interventi differenziati in base ai contesti.

Se nell’Europa settentrionale e occidentale prevale il “glass ceiling”, nell’Europa centrale e orientale è più marcato lo “sticky floor”

Quali sono le cause di questo fenomeno? L’analisi deve necessariamente abbracciare tre livelli: psicologico, sociale e organizzativo. A livello psicologico, molte donne soffrono della sindrome dell’impostore, dubitando costantemente delle proprie competenze professionali. Questo le porta a esitare nel richiedere aumenti o promozioni, contribuendo a una auto-limitazione delle ambizioni (Shambaugh, 2007). È un circolo vizioso che le mantiene incollate a posizioni inferiori rispetto alle loro reali qualifiche. Sul piano sociale, gli stereotipi di genere continuano a influenzare profondamente le aspettative professionali. Johnson e colleghi (2014) hanno dimostrato come l’ineguale distribuzione delle responsabilità familiari, ancora pesantemente sbilanciate verso le donne, generi un carico invisibile che limita drasticamente le loro opportunità di crescita professionale. Gli effetti di questa disparità sono stati amplificati durante la pandemia da Covid-19, quando il lavoro da remoto ha paradossalmente aggravato questa situazione, con molte donne costrette a gestire contemporaneamente lavoro e accresciuti carichi familiari (Fabrizio et al., 2020).

Sticky floor e politiche aziendali

A livello organizzativo, le politiche aziendali perpetuano spesso inconsapevolmente lo sticky floor attraverso meccanismi strutturali ben radicati. La mancanza di trasparenza nelle valutazioni, l’assenza di programmi di mentoring mirati e i pregiudizi inconsci nei processi decisionali contribuiscono a mantenere molte donne bloccate nei livelli inferiori (Reichman & Sterling, 2020). Un’analisi di McKinsey (2019) ha coniato l’efficace espressione “broken rung” (gradino spezzato) per descrivere la disparità di genere nella promozione al primo livello manageriale, che crea un divario destinato ad ampliarsi nelle fasi successive della carriera. Gli studi rivelano che le organizzazioni spesso riproducono questi patterns discriminatori attraverso sistemi di retribuzione opachi, pratiche di reclutamento influenzate da bias di genere e culture aziendali che premiano la presenza fisica e la disponibilità continua, penalizzando chi ha responsabilità di cura. Particolarmente dannose risultano anche le pratiche di valutazione che considerano il “potenziale futuro” piuttosto che i risultati effettivi, area in cui i pregiudizi inconsci tendono a favorire i candidati maschili.

La paura di essere percepite come “aggressive” o “difficili” deve essere superata: meglio scomode che sottovalutate

La dimensione dell’intersezionalità complica ulteriormente il quadro. Le donne appartenenti a minoranze etniche affrontano ostacoli aggiuntivi, risultando ancora più intrappolate in posizioni inferiori e sottopagata (Corbett et al., 2024). Questa complessità richiede interventi specifici che affrontino simultaneamente discriminazioni di genere, etnia e classe sociale. A livello organizzativo, l’OCSE raccomanda di implementare audit regolari su salari e promozioni, garantire trasparenza nei criteri di avanzamento e formare i manager sui bias cognitivi inconsci. Sul piano legislativo, le politiche di trasparenza salariale e i sistemi di certificazione di parità rappresentano strumenti efficaci, come dimostrato dai paesi che hanno adottato wage transparency frameworks (Ciminelli et al., 2021). Un caso interessante è quello di alcune aziende come AstraZeneca, che ha implementato programmi strutturati di sponsorship e mentoring per le dipendenti donne, ottenendo un incremento significativo della rappresentanza femminile a tutti i livelli gerarchici.

Le donne sono tre volte meno propense a negoziare la retribuzione iniziale, creando un divario che si amplifica nel tempo

Ma c’è il rischio di diventare vecchi prima che la politica e le strategie HR arrivino in soccorso delle donne intrappolate e incollate al pavimento, come mosche sulla carta moschicida. Aspettare il cambiamento dall’alto è la ricetta perfetta per restare bloccate. Serve che siano le donne stesse a spezzare questo meccanismo perverso. Farsi rispettare e dimostrare il proprio valore. Attendersi il rispetto è un diritto, ma se non arriva, bisogna conquistarlo ogni giorno. Molte donne cadono nella trappola di pensare che il duro lavoro verrà notato e premiato automaticamente. Non funziona così. Bisogna rendere visibili i propri risultati, documentarli, quantificarli e comunicarli strategicamente. La meritocrazia è un mito pericoloso: chi non si fa avanti, resta indietro. Negoziare duramente e pretendere. I dati sono impietosi: le donne negoziano meno spesso e meno efficacemente degli uomini. Uno studio di Reichman e Sterling (2020) dimostra che le donne sono tre volte meno propense a negoziare la retribuzione iniziale, creando un divario che si amplifica nel tempo. Ogni mancata negoziazione è un’opportunità persa che si ripercuote sull’intera carriera. La paura di essere percepite come “aggressive” o “difficili” deve essere superata: meglio scomode che sottovalutate. Cogliere le opportunità al volo. Le ricerche mostrano che gli uomini si candidano per una posizione quando soddisfano circa il 60% dei requisiti, mentre le donne aspettano di soddisfarne quasi il 100% (Johnson et al., 2014). Questo “gap di fiducia” ha conseguenze devastanti. Quando si presenta un’opportunità, il consiglio è semplice: lanciarsi. Il perfezionismo è un lusso che nessuna donna bloccata sul pavimento appiccicoso può permettersi. Come emerge dallo studio di Forret e Dougherty (2001), la propensione al rischio è direttamente correlata alla mobilità di carriera.

Gli uomini si candidano per una posizione quando soddisfano circa il 60% dei requisiti, mentre le donne aspettano di soddisfarne quasi il 100%

Pretendere feedback espliciti e tracciarli. Gli stereotipi si combattono con i dati alla mano. Un feedback vago o generico (“hai fatto un buon lavoro”) è totalmente inutile per la crescita professionale. Ciò che serve sono valutazioni specifiche, misurabili e tracciabili nel tempo. Corbett e colleghi (2024) evidenziano come le donne ricevano feedback meno precisi e meno orientati allo sviluppo rispetto agli uomini. Bisogna richiederli attivamente, registrarli e usarli strategicamente nei momenti di valutazione. I dati battono i pregiudizi. Investire ossessivamente nella propria formazione. Ogni opportunità di apprendimento, formale o informale, deve essere colta al volo. Gli studi di Fabrizio e colleghi (2020) dimostrano che le donne con elevate competenze specialistiche hanno maggiori probabilità di superare lo sticky floor. L’expertise riconosciuta è l’antidoto più potente contro il pregiudizio di genere. Se l’azienda non offre formazione, bisogna cercarsela fuori, investendo tempo e risorse: è il miglior investimento possibile. La concentrazione esclusiva sul soffitto di cristallo rischia di trascurare la base stessa della disparità di genere. È tempo di guardare in basso, dove milioni di donne lottano quotidianamente contro un pavimento che le trattiene, impedendo loro persino di iniziare la scalata verso quel soffitto tanto discusso.

*Andrea Laudadio è a capo della Formazione e Sviluppo di TIM e dirige la TIM Academy.

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