Esiste una macchina dello Stato diversa, da come ce l’hanno sempre raccontata, sprecona, lenta, burocratizzata. Non è vero che tutto ciò che è pubblico va considerato di “serie B”, da annoverare nell’orizzonte del parassitismo; il soggetto pubblico può, infatti, essere un importante catalizzatore di trasformazioni, in grado di imprimere un indirizzo allo sviluppo, come dimostra la storia di paesi oggi all’avanguardia nel mondo per indici di crescita e per investimenti nella ricerca.
Per comprendere questo, bisogna prima di tutto andare contro luoghi comuni e resettare convinzioni radicate nel tempo, frutto di incrostazioni e ignoranza. Mariana Mazzucato, nota al grande pubblico per Lo stato innovatore tradotto in Italia da Laterza qualche anno fa, docente di economia dell’Innovazione all’University College London, dove ha fondato un Istituto per l’Innovazione e il Valore pubblico, ha imboccato questa strada ancora poco battuta da economisti e studiosi, per approdare a una conclusione molto chiara: è lo Stato il primo motore del cambiamento, non l’impresa privata. Nel suo ultimo saggio Il Valore di tutto: chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale (ed. Laterza), la studiosa argomenta questa tesi, offrendo un’analisi attenta e originale del concetto di “valore”. Con esempi pratici il lettore può comprendere quanta ambiguità e confusione vengano fatte, anche dagli operatori dell’informazione, quando viene utilizzato questo termine-chiave per comprendere le dinamiche che regolano l’economia e la finanza.
«Molti dei cosiddetti creatori del valore dell’industria tecnologica – si legge nella prefazione – attaccano i governi considerandoli un puro impedimento alla creazione di valore. A cominciare da Eric Schimdt, amministratore delegato di Google, che ha ripetutamente dichiarato che i dati dei cittadini sono più sicuri con la sua azienda che con il governo. Tale affermazione riflette un tradizionale retaggio (consolidatosi verso la metà degli anni Ottanta quando è trionfata la visione neo-liberista fondata su una cieca fiducia nei poteri del mercato), secondo cui gli imprenditori sono buoni, mentre il governo è cattivo, quando non inetto». Affermazione palesemente errata – precisa con ricchezza di argomentazioni l’autrice – basta riflettere sulla provenienza di quelle tecnologie all’avanguardia che oggi alimentano la cosiddetta rivoluzione digitale: Internet, GPS, il touch screen, SIRI, algoritmo di Google, tutti strumenti finanziati da Istituzioni pubbliche.
Stop alle cattive favole
Altro sbaglio, quello commesso da Apple, che ha recentemente dichiarato di non voler pagare le tasse, in virtù del ruolo pionieristico svolto sul terreno dell’innovazione. Curiosa posizione se si tiene conto che sarebbero, invece, i contribuenti a dover pretendere qualcosa in cambio, quei contribuenti che, da utenti finali, sono sistematicamente tartassati (Totò nella nota pellicola del 1959 aveva capito già tutto n.d.r) da balzi e balzelli, che erodono il potere d’acquisto, deprimono la domanda, creando fatalmente i presupposti della crisi.
Troppe cattive favole, girano evidentemente attorno al ruolo e alla funzione dello Stato. La Mazzucato, ricorrendo a una citazione aulica, richiama Platone, precisamente il passo della Repubblica in cui vengono denunciati i creatori di quelle false narrazioni (fake news ante litteram, le potremmo definire n.d.r), che servono a governare il mondo. Non è cambiato nulla verrebbe da dire, rispetto alla Grecia del V secolo a.C. Anche oggi come ieri, infatti, esiste una “fabbrica” della falsificazione che crea illusioni ottiche, finendo col condizionare le classi dirigenti (almeno qui non c’è da fare distinzione tra pubblico e privato) chiamate a operare delle scelte decisive per il futuro di popoli e nazioni.
Chi crea e chi estrae valore
Per correggere il tiro, occorrerà imparare in fretta a “leggere” la differenza tra chi crea realmente valore e chi invece estrae valore, giovandosi di grandi profitti, che non hanno nessun ritorno per la collettività. Emblematico, in questo senso, è il caso della Goldman Sachs, richiamato nel libro, il cui crollo nel 2008 ha, come è noto, contribuito a generare la peggiore crisi economica della storia dagli anni Trenta. Solo un anno dopo, nel 2009, l’amministratore delegato Lloyd Blankfein, come se nulla fosse successo, si spinse a dichiarare con solennità che i suoi dipendenti erano tra i più produttivi al mondo, dimenticando un particolare: erano stati i contribuenti a pagare ben 125 miliardi di dollari per salvare l’azienda; vicenda non dissimile era toccata allo Stato americano, che fu costretto ad accontentarsi di recuperare a mala pena i quattrini investiti per rimettere in sesto un sistema bancario, ormai al collasso.
Se il mito del privato, dunque, vacilla, è venuto il momento di riconsiderare il ruolo che il pubblico può avere in un moderno ecosistema della crescita. Nessun facile ottimismo, per carità, semmai un esercizio di consapevolezza e responsabilità nel considerare la funzione strategica che rivestono attori istituzionali e soggetti privati; questo, il messaggio forte che emerge da tutta l’opera della Mazzucato, che apre con i suoi lavori, percorsi importanti per l’analisi e l’approfondimento.
La partnership pubblico privato e la svolta Green
«Non possiamo continuare a utilizzare occhiali vecchi», ma attenzione, aggiungiamo: bisogna inforcare la montatura giusta, perché lo Stato assuma i giusti contorni di stimolatore dell’innovazione, senza soffocare la libertà dell’impresa privata, né tantomeno sostituendosi ad essa. Stiamo parlando di equilibri sottili certo, su cui il dibattito economico non a caso si confronta da secoli. Guardando all’attualità, risulterà decisiva la collaborazione tra pubblico e privato che per l’Italia, ancora molto indietro su questo terreno, potrebbe già rappresentare un’occasione importante per cominciare a voltare pagina.
Altro aspetto essenziale: l’innalzamento del livello dei manager e dei tecnici che operano nel settore pubblico. Senza un investimento forte nel capitale umano sarà difficile imboccare percorsi virtuosi per la Pubblica amministrazione, chiamata a mettere ordine al sistema delle concessioni, e a impegnare risorse dirette nelle banche pubbliche, nella Cdp, e negli stessi Enti pubblici perché il volano della ripresa possa prendere linfa.
Occorre una dirigenza pubblica illuminata, abituata a gestire e non a stare alla finestra. Il recente annuncio del neo ministro, Fabiana Dadone, di una svolta green, le cui tracce sono visibili anche nella Finanziaria che andrà al vaglio delle Camere, richiederà una capacità di valutare gli impatti sociali delle politiche pubbliche, competenza tutta da costruire e affinare. Energia rinnovabile, materiali diversi, infrastrutture moderne rispettose dell’ambiente, green è una parola polisemica, vuol dire tante cose, soprattutto una profonda trasformazione di tutti i settori dell’economia, dall’industria ai servizi. Il nostro Paese, se gli intendimenti del Ministro troveranno attuazione, potrebbe fare un sensibile scatto in avanti.
In conclusione, non si tratta di “tifare” per uno Stato leggero, che deve pur sempre avere componenti e fattori di qualità al suo interno per rimuovere con prontezza gli ostacoli che a vari livelli frenano l’innovazione. Piuttosto, volendo interpretare la posizione della Mazzucato, dovremmo parlare di uno Stato e di una PA, arbitro e “imprenditore” intelligente, attento custode delle regole. Solo a queste condizioni, superando il “bagno ideologico”, impegnativa eredità di un passato neanche troppo lontano, si potranno gettare le basi per un piano strategico di ripresa dell’economia che possa presentare una forte missione pubblica, lasciandosi finalmente alle spalle l’atmosfera cupa di questi lunghi anni di crisi.