Nella rubrica “Metafore per l’Italia”, pubblichiamo un’altra riflessione del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, estratta dal libro La Repubblica delle Api.
«La società complessa è caratterizzata dalla vicinanza del lontano, da appartenenze e mobilitazioni molteplici quasi istantanee che riguardano le piccole e le grandi quotidianità; da simboli di appartenenza forti (linguaggio, estetica, ecc.), da confini indefiniti e che tendono a scomparire, da princìpi morali che una volta raggiunto il livello iperparticolaristico, si fanno sempre più globalizzanti e trascendenti. È in questa società che sta emergendo l’uomo del “post-individualismo”: il global-io. Fino ad oggi l’imprevedibilità del mondo globale ci ha reso apatici e abbiamo finito con l’affidarci al caso o a temerlo.
Il global-io nasce da un ribaltamento di prospettiva: si passa dal caso al caos e ci si rende conto del fatto che nel mondo nulla accade per caso e tutto è importante. Nelle trame dei film che narrano futuristici viaggi nel tempo non manca mai un passaggio in cui si sottolinea la regola fondamentale che deve seguire ogni navigatore del continuum spazio-temporale: non compiere azioni significative perché ogni piccolo cambiamento del passato, temutissimo, può ribaltare il futuro.
La pervasività della globalizzazione ci sta aiutando (addestrando?) a superare l’illusione di una separatezza dell’io dal resto del mondo: sono concrete soltanto le distinzioni che consentono l’emergere dell’identità individuale e che, per quanto naturalmente fondate, sono assolutamente culturali. L’io globale non è la negazione dell’io, ma l’io che prende coscienza del fatto che deve confrontarsi con mondi, fenomeni, persone, che, per quanto apparentemente lontani, lo riguardano molto da vicino. Se non lo saremo per bontà d’animo, saremo buoni per forza, per opportunismo, anche con ciò che si muove a grande distanza da noi, perché la cattiveria è un costo che alla fine grava su tutti.
Il patto sociale che l’uomo della società complessa prima o poi dovrà sottoscrivere si dovrà fondare su una solidarietà globale. «Abbiamo bisogno di una nuova etica: non altruistica e contro l’egoismo, ma attraverso la conoscenza e la presa di coscienza (in tempo) che è l’egoismo sui “tempi lunghi” che oggi ci porta necessariamente alla solidarietà» (C. Pozzoli).
Il global-io non si dissocia dalle proprie (cor)responsabilità sociali, dai propri errori e, in ultima analisi, da se stesso e non cade nel fatalismo, così come invece capita all’uomo contemporaneo che per difendersi dall’incertezza tenta di rimuoverla. Si assume le proprie responsabilità, non impreca alla sfortuna, né si rassegna alla sorte, non cerca capri espiatori. È certo che le decisioni, così come gli effetti delle nostre azioni, sono sempre in gran parte incerte, ma l’io globale è consapevole che un impatto sulla realtà c’è sempre e la responsabilità è comunque nostra o almeno dobbiamo agire e pensare come se fosse così.
Ispirato da uno spirito neo-solidale o neo-egoista di un egoismo illuminato e conscio di sé e del mondo con cui deve confrontarsi, l’io globale potrà compiere scelte coraggiose: potrà perdere, distruggere per ricostruire, confrontarsi con la diversità, con la complessità, accettare la sfida e rispondere complicando ulteriormente. Dovrà essere sempre più attento alla tutela dei suoi e degli altrui diritti, perché gli uni si confondono negli altri. Dobbiamo imparare a ragionare come se il mondo dipendesse da noi, se vogliamo liberarci del nostro fatalismo, della mancanza di coraggio e di responsabilità». (2001)