Tra poche settimane, all’inizio del 2021, l’Italia assumerà la presidenza del G20. Sarà un anno molto difficile ma anche decisivo perché il mondo dovrà congiuntamente sconfiggere la pandemia e tracciare la strada della ripresa economica, della futura sicurezza sanitaria e della riforma della finanza globale. Sono solo alcune delle sfide ineludibili da affrontare.
Per l’Italia è un’occasione unica per giocare un ruolo primario. Oltre alla necessaria azione per una fattiva e rapida realizzazione del Recovery Fund da esercitare nell’Unione europea, all’interno del G20 il nostro Paese potrebbe essere uno degli attori principali del programma di riduzione del debito, a cominciare da quello dei Paesi più poveri del Sud del mondo. Ma come fare?
L’affidabilità e l’autorità dei Grandi del G20 si confermeranno proprio rispetto al loro impegno e alla loro solidarietà verso i Paesi più deboli ed esposti alle bufere di tutte le crisi, siano esse sanitarie, economiche, alimentari o geopolitiche.
Per esempio, i Paesi a basso reddito (Ldc) stanno lottando per trovare risorse per far fronte al Covid e alla conseguente crisi economica. Tuttavia, loro pacchetti di stimolo non superano in media l’1,1% del Pil.
Dallo scorso maggio, l’emergenza Covid-economia nei Paesi più poveri aveva spinto il G20, il Fondo monetario internazionale (Fmi) e il Club di Parigi (il meccanismo formato dai membri dell’Osce e dalla Russia per la ristrutturazione del debito bilaterale) a concedere una moratoria sui pagamenti dei debiti fino a dicembre 2020, la cosiddetta Debt Service Suspension Initiative (DSSI). Ne beneficiano i 74 Paesi che sono già sostenuti dall’International Development Association (IDA) della Banca Mondiale.
Un’iniziativa indubbiamente positiva, ma l’impatto, per esempio, sui Paesi sub-sahariani dell’Africa (SSA) è solo un modesto 0,6% del loro Pil. D’altra parte il Fmi, già prima del Covid, aveva classificato 16 delle 36 nazioni a basso reddito della regione SSA in una situazione di “alto rischio e di sofferenza per il debito”.
Ciò anche perché nei passati anni, a seguito della crisi finanziaria globale del 2008, si era registrato un importante cambiamento nei rapporti finanziari dei Paesi poveri e a basso reddito. Ad esempio, mentre nel 2010 la percentuale del loro debito in mano ai privati era in media del 5%, nel 2019 era già salita al 17%.
Lo stesso è avvenuto in specifico per i Paesi sub-sahariani. Buona parte del loro debito è stata “dirottata” sempre più verso i mercati di capitale e i creditori privati. Oggi il 25% del loro debito estero, pari a 117 miliardi di dollari, è detenuto dai mercati finanziari internazionali. Ciò vale anche per il debito verso la Cina. Dopo il 2008, Pechino ha concesso 30 miliardi di crediti ai Paesi SSA, ma quelli direttamente governativi sarebbero circa il 5% del totale. Il resto proviene dalle banche e dalle grandi corporation cinesi che, come tutti i privati, applicano le regole del mercato.
È necessario, perciò, che da Roma il G20 faccia sentire la propria voce fin dal primo gennaio 2021. Prima di tutto, è opportuno che la moratoria menzionata sia protratta per tutto il prossimo anno. Non sarà gran cosa ma è indispensabile.
In secondo luogo, è urgente che il G20 si renda promotore di altre iniziative da affiancare alla riduzione e ristrutturazione del debito. È doveroso mettere in campo programmi volti a sostenere gli investimenti e il rilancio dei settori dell’economia reale. Per esempio, l’United Nations Economic Commission for Africa (Uneca) ha proposto la creazione di uno Special Purpose Vehicle, una struttura finanziaria da 44 miliardi di dollari per orientare i pagamenti del debito privato verso spese e investimenti previsti nei Sustainable Development Goals (SDB), gli Obietti di Sviluppo Sostenibile, per i prossimi due anni.
Vi sono altre valide proposte per l’Africa, ancora da rendere operative. Per esempio, obbligazioni SDB parzialmente garantite da qualche Istituzione Finanziaria Internazionale (IFI) per sostenere gli investimenti produttivi. E anche un Fondo SDG, sostenuto da varie IFI, allo scopo di assorbire parte dei debiti e così attrarre più investitori nei Paesi coinvolti. Oppure il cosiddetto debt for nature swap, cioè una ristrutturazione del debito legata agli investimenti nell’ambiente.
Non è per niente opportuno, invece, considerare uno scambio tra debiti e materie prime: è il sogno proibito delle grandi multinazionali e degli speculatori.
C’è anche la proposta di creare un’altra struttura chiamata DOVE (Debts of Vulnerable Economies) Fund con cui amici dell’Africa potrebbero acquistare parte del debito del continente diventandone un influente creditore ed essere così coinvolto come mediatore tra i debitori e i creditori.
Sulla riduzione del debito dei Paesi poveri è recentemente intervenuto anche il Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Parlando al recente seminario di Assisi su “L’economia dopo il Covid”, il Ministro ha ammonito che, a seguito della crisi e della pandemia, «la povertà globale può aumentare fino a mezzo miliardo di persone, circa l’8% della popolazione umana totale e 100 milioni di persone potrebbero essere spinti in una condizione di povertà estrema». Ha affermato che il G20 dovrebbe affrontare con decisione il tema della riduzione del debito e promuovere anche meccanismi di risoluzione e di ristrutturazione, coinvolgendo tutti i creditori, pubblici e privati, delle economie occidentali e di quelle più ricche.
Il Ministro ha, inoltre, ricordato che è fondamentale «individuare nuove modalità di finanziamento dello sviluppo che facciano leva sulle risorse pubbliche e attraggano investimenti privati responsabili per l’attuazione della Agenda di Sviluppo Sostenibile dei Paesi». In questo contesto, sarebbe anche «opportuno che il Fmi emettesse almeno 500 miliardi di nuovi Diritti Speciali di Prelievo, un asset internazionale di riserva basato su un basket di cinque valute che rafforzerebbe le riserve dei Paesi membri e quindi la stabilità finanziaria e valutaria di quelli più fragili».
Rispetto al debito dei Paesi poveri è intervenuto anche Papa Francesco con la sua Enciclica Fratelli tutti. Egli chiede che «si assicuri il fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso, che a volte risulta fortemente ostacolato dalla pressione derivante dal debito estero. Il pagamento del debito in molti casi non solo non favorisce lo sviluppo bensì lo limita e lo condiziona fortemente. Benché si mantenga il principio che ogni debito legittimamente contratto dev’essere saldato, il modo di adempiere questo dovere, che molti Paesi poveri hanno nei confronti dei Paesi ricchi, non deve portare a compromettere la loro sussistenza e la loro crescita».
«Siamo ancora lontani da una globalizzazione dei diritti umani più essenziali», lamenta il Papa, ricordando che «quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile».
In questa prospettiva, Papa Francesco afferma che «è necessaria una riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sia dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni».
Nel G20, oltre all’Europa, che dovrebbe essere molto sensibile e attenta ai problemi dei Paesi poveri, in particolare quelli dell’Africa, c’è il gruppo dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che non possono non avere a cuore i loro migliori alleati, i Paesi emergenti e quelli più poveri. La prossima presidenza dell’Italia deve tenerne conto e poggiare su quest’alleanza.
Al riguardo, si ricorda che chi scrive – in quanto rappresentante dell’Eurispes – è stato invitato al “1st BRICS Think Tanks Forum on Pragmatic Cooperation” a Shangai nel maggio 2017, dove ha presentato delle proposte per la riduzione del debito, per la lotta alla speculazione finanziaria, per una riforma della finanza globale e per nuove idee e iniziative a sostegno di una politica di investimenti nei settori dell’economia reale e delle infrastrutture. Con grande approvazione e sostegno da parte di tutti i rappresentanti dei BRICS presenti.
*Economista, membro del “BRICS Working Group” dell’Eurispes.