Per la sensibilità di molti cittadini europei potrebbe sembrare una provocazione, soprattutto per quelli che guardano in prevalenza ad Est o a Nord dell’Unione, ma per il Centro per l’Integrazione Mediterranea – CMI, emanazione della Banca Mondiale, con sede a Marsiglia, non vi sono dubbi: lo spazio Mediterraneo è un bene comune (“common good”) che appartiene a tutti gli Stati della UE ed a tutti gli Stati della sponda Sud ed Est, i cosiddetti MENA (Medio Oriente e Africa del Nord).
Il problema aperto è come tutelare e valorizzare al meglio questo bene comune, come organizzarlo e gestirlo. Nel Rapporto annuale 2018, che il CMI ha presentato a Parigi lo scorso mese di gennaio, la scelta strategica ricade su un fattore chiave: la valorizzazione del capitale umano, soprattutto di quello costituito dai giovani, il principale veicolo delle trasformazioni in atto nell’area. La presentazione del Rapporto è stata anche l’occasione nella quale il CMI ha illustrato la nuova strategia 2018-2021 definita “Ciclo economico 4.0”, nella quale gli interventi a sostegno del capitale umano del mondo giovanile di tutta la regione, al centro dell’agenda, sono fondati su tre pilastri principali: la creazione di nuove opportunità di sviluppo economico, la inclusione dei giovani nei processi economici, sociali e politici, il potenziamento delle loro capacità individuali (empowerment). Ciò comporta l’organizzazione di piani e politiche precise per trasformare le tante sfide presenti nell’area mediterranea in opportunità: ad esempio, operando su collegamenti efficaci tra istruzione, occupabilità, mobilità; favorendo quella che viene definita come la “migrazione circolare”, promuovendo nei giovani una cultura orientata all’apertura e comportamenti di partecipazione attiva alla vita delle rispettive comunità.
Nei paesi della sponda Sud ed Est del Mediterraneo, sottolinea nel Rapporto Ferid Belhaj, vice presidente per l’area MENA della Banca Mondiale, le previsioni indicano che «più di 300 milioni di giovani entreranno nel mercato del lavoro al 2050. Ancora di più se contiamo quelli dell’Africa sud sahariana.
È una sfida straordinaria che deve essere trasformata in una grande opportunità». Per poi aggiungere: «Questa grande popolazione giovanile non necessariamente pensa ad emigrare». Questi giovani possono costituire un enorme fattore di innovazione e crescita economica, solo che gli Stati si impegnino concretamente a rimuovere gli ostacoli che frenano lo sviluppo e impediscono un efficace inserimento dei giovani nel ciclo economico. Ciò di cui abbiamo bisogno, aggiunge, «è un piano dove l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente aprano ai giovani dei nuovi orizzonti». Ed è a questo fine che il centro di Marsiglia, il CMI, è impegnato nell’aiutare i governi a «reinventare i modelli economici».
Per comprendere l’importanza di questa istituzione è opportuno ricordare che i partner del CMI sono 9 Stati, tra cui l’Italia, partner dal 2015, 2 autorità locali, 2 istituzioni finanziarie internazionali, la Banca Mondiale e la Banca Europea di Investimenti BEI. Ulteriori collaborazioni sono garantite, ad esempio, dalla stessa Commissione europea e dalla Unione per il Mediterraneo UpM. Siamo cioè di fronte ad una struttura che ha già una consolidata esperienza ma soprattutto ha un potenziale davvero notevole per innovare profondamente le politiche di integrazione di tutta l’area.
Anche Eurispes, invitato come “esperto”, alla presentazione del rapporto del CMI, ha potuto dare un suo contributo incentrato essenzialmente su quattro aspetti specifici: l’adeguamento della governance dei processi di sviluppo economico dello spazio mediterraneo con un più positivo rapporto tra pubblico e privato nella definizione ed attuazione delle politiche e dei piani; il collegamento tra i servizi per l’impiego degli Stati e delle regioni mediterranee, assai distaccati tra loro; l’avvio di un confronto sulle politiche e piani di investimento dei nuovi attori extraeuropei che in questi anni sono diventati ormai protagonisti stabili dello sviluppo dell’area. Operare sulle risorse umane del mondo giovanile richiede, infine, come il CMI riconosce esplicitamente, anche la costruzione di un rapporto di collaborazione tra strutture pubbliche e organizzazioni della società civile, fuori però da ogni retorica e operazione di semplice facciata. Aderire all’idea dello spazio mediterraneo come un bene comune è davvero una grande proposta culturale e politica, prima ancora che economica. Dunque: sfide ed opportunità valutate in modo serio e con realismo. Potrebbe essere l’occasione di una vera svolta.