Finalità Disegno di legge (A.C. 2212)
L’articolo 1 stabilisce le finalità della legge, ossia la definizione ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere m) e s), della Costituzione dei princìpi in base ai quali deve essere gestito il patrimonio idrico nazionale e favorendo la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantire un uso sostenibile e solidale, nel quadro delle politiche complessive di tutela e di gestione del territorio.
L’articolo 2 definisce l’acqua come un bene naturale e un diritto umano universale, nonché il diritto all’acqua potabile di qualità nonché ai servizi igienico – sanitari come un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani. L’acqua intesa come bene comune, una risorsa rinnovabile, indispensabile per la vita dell’ecosistema e di tutti gli esseri viventi.
L’articolo 3 indica i distretti idrografici, definiti ai sensi dell’articolo 54 del Codice dell’Ambiente come dimensione ottimale di governo e di gestione dell’acqua. Si sancisce che per ogni distretto idrografico è istituita un’autorità di distretto idrografico, con compiti di coordinamento fra i vari enti territoriali, regioni, province e comuni, che definisce il piano di gestione sulla base del bilancio idrico e gli strumenti di pianificazione concernente la gestione dell’acqua e del territorio, nonché provvede a concedere il rilascio e il rinnovo delle concessioni. Inoltre si prevede che il Ministero dell’ambiente individui i criteri per la redazione dei bilanci idrici, unitamente al divieto, dalla data di entrata in vigore della legge, di rilascio di nuove concessioni per sfruttamento, imbottigliamento o utilizzazione di sorgenti, fonti, acque minerali o corpi idrici idonei all’uso potabile.
L’articolo 4, in considerazione dell’esigenza di tutelare il pubblico interesse allo svolgimento di un servizio essenziale in situazione di monopolio naturale ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, definisce il servizio idrico come privo di rilevanza economica e sottratto ai princìpi della libera concorrenza, finanziato attraverso meccanismi di fiscalità generale e specifica nonché mediante meccanismi tariffari.
L’articolo 5 affida in esclusiva al Ministero dell’ambiente la funzione regolatoria del governo del ciclo naturale dell’acqua e della sua salvaguardia come bene ambientale, cui si aggiunge la regolamentazione di tutti gli usi, produttivi o non produttivi, e del servizio idrico, nonché di determinazione delle componenti delle tariffe differenziate per uso umano e per tutti gli usi produttivi. Le competenze relative alla programmazione delle grandi opere infrastrutturali a livello di reti idrauliche di rilievo nazionale all’acqua per uso umano, comprese le bevande, e per usi produttivi ed energetici sono attribuite ad un comitato interministeriale composto dai rappresentanti dei Ministeri competenti in materia di risorse idriche, presieduto dal Ministro dell’ambiente o da un suo delegato.
Alle Regioni è attribuito in particolare il compito di redigere il piano di tutela delle acque, nonché la facoltà di normare la scelta del modello gestionale del servizio idrico integrato, esclusivamente tra quelle possibili per gli enti di diritto pubblico.
Inoltre, gli enti locali, attraverso il consiglio di bacino, svolgono le funzioni di programmazione del piano di bacino, di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione e di modulazione delle tariffe all’utenza.
In ultimo le funzioni di controllo delle disposizioni vigenti sono affidate a un’autorità nazionale di vigilanza sulle risorse idriche.
L’articolo 6, invece, prevede che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato costituiscono il capitale tecnico necessario e indispensabile per lo svolgimento di un pubblico servizio e sono di proprietà degli enti locali che non possono cederla; la medesima disposizione inoltre stabilisce che la gestione e l’erogazione del servizio idrico integrato non possono essere separate e possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico; ancora, si prevedono meccanismi per gestire la fase transitoria verso la ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico, attraverso la trasformazione di tutte le società a capitale misto pubblico privato affidatarie del servizio in società a capitale interamente a capitale pubblico, nonché la decadenza di tutte le attuali gestioni del servizio idrico integrato, con l’eventuale ricorso ai poteri sostitutivi da parte del Governo in caso di inosservanza di dette regole.
L’articolo 7, al fine di attuare i predetti processi di trasformazione societaria e aziendale, istituisce il Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, disciplinato con apposito regolamento del Ministero dell’ambiente e finanziato tramite anticipazione della Cassa Depositi e Prestiti.
L’articolo 8 stabilisce le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato, individuandole nella fiscalità generale e specifica nonché nei meccanismi tariffari.
L’articolo 9 disciplina specificamente le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato attraverso la tariffa, prevedendo, ad esempio l’erogazione gratuita di 50 litri per abitante come quantitativo minimo vitale giornaliero. Vengono definite le condizioni per la limitazione della fornitura idrica da parte del soggetto gestore del servizio idrico integrato. Vengono inoltre stabiliti i princìpi cui il metodo tariffario elaborato dal Ministero dell’ambiente dovrà conformarsi; infine, secondo la disposizione menzionata il consiglio di bacino procede, in funzione dei bilanci idrici, alla modulazione delle tariffe all’utenza sulla base del metodo definito dal Ministero dell’ambiente e del Piano di bacino.
L’articolo 10 stabilisce i princìpi del governo partecipativo del servizio idrico integrato che le normative regionali dovranno attuare.
L’articolo 11 stabilisce, al fine di favorire l’accesso all’acqua potabile da parte di tutti gli abitanti del pianeta, l’istituzione del Fondo nazionale di solidarietà internazionale, finanziato dal prelievo in tariffa di 1 centesimo di euro per metro cubo di acqua erogata e dal prelievo fiscale nazionale di 1 centesimo di euro per ogni bottiglia di acqua minerale commercializzata. Il Fondo sarà destinato a progetti di cooperazione internazionale decentrata e partecipata dalle comunità locali per il sostegno all’accesso all’acqua.
L’articolo 12, infine, indica la copertura finanziaria della legge, nel cui ambito si segnala la somma di 1 miliardo di euro derivante dalla riduzione delle spese militari (in primis, delle risorse stanziate per l’acquisto degli F35), la somma di 2 miliardi di euro derivanti dai proventi dalla lotta all’evasione, nonché proventi da tasse di scopo specificamente indicate.
Ciò premesso, tenuto conto di quanto evidenziato, pare opportuno provare a delineare il quadro dal quale non si può prescindere dallo specifico punto di vista degli interessi ambientali coinvolti. In particolare, cercherò di mettere a fuoco i principali nodi su cui oggi siamo chiamati a confrontarci, richiamando i vincoli giuridici che il legislatore italiano incontra accingendosi a riformare il settore del governo della gestione delle acque e del servizio idrico, nonché le strade che possono essere percorse. In questo contesto, dal mio punto di vista e istituzionale, non posso che richiamare con particolare enfasi le direzioni verso le quali spingono gli interessi ambientali, i quali presentano peculiarità che devono necessariamente essere coordinate con gli altri interessi e principi sottesi alla materia in questione.
Il principio “chi inquina paga” (o “chi usa paga”) e la tutela della risorsa idrica
Prima di tutto merita di essere evidenziato con la massima chiarezza possibile un aspetto: chi è interessato alla tutela dell’ambiente, con specifico riferimento al settore dell’acqua, deve concentrare la propria attenzione sull’esigenza di tutelare lo stato della risorsa idrica al meglio delle possibilità di cui oggi disponiamo. Ad oggi qualunque politica del settore che voglia dirsi ispirata a principi ambientalisti non può rinunciare a prendere il serio il principio della tutela della risorsa idrica.
Per comprendere come ciò possa avvenire, conviene prendere le mosse dal fondamentale principio stabilito in sede di diritto dell’Unione europea del c.d. “chi inquina paga” o “chi usa paga”. Tale principio, nelle sue linee generalissime, comporta che chi con il suo comportamento determini effetti pregiudizievoli per l’ambiente, sia nella forma dell’inquinamento, sia nei termini dell’uso di una risorsa naturale limitata come lo è l’acqua, sia chiamato a sopportarne i costi. Questo principio – per quel che qui specificamente interessa – è posto nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 191) e ribadito in termini puntuali dalla direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE (DQA).
Evidentemente una normativa che non fosse in linea con il menzionato principio sarebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea, e la sua adozione sarebbe pertanto preclusa al legislatore nazionale. Al di là di tale aspetto, tuttavia, deve essere evidenziata l’enorme importanza che il pieno rispetto del principio del “chi inquina paga” riveste per la tutela dell’ambiente. Se si vuol perseguire una politica ambientamente corretta volta a preservare lo stato di conservazione della risorsa idrica, il primo passo è quello di incentivare comportamenti virtuosi, evitando il suo uso “non consapevole”. In tal senso del resto, dispone espressamente la direttiva quadro sulle acque, che impone agli Stati membri di organizzare il servizio idrico in modo tale che sia garantita la copertura dei relativi costi, con le politiche dei prezzi che incentivino l’uso efficiente delle risorse, in modo tale da contribuire al perseguimento degli obiettivi ambientali della direttiva stessa. Al riguardo deve essere precisato che la politica tariffaria deve essere volta, oltre che al conseguimento di un razionale utilizzo della risorsa, anche a garantire l’equilibrio economico-finanziario, ovvero l’autosufficienza della gestione raggiungibile attraverso l’equilibrio fra i costi dei fattori produttivi ed i ricavi risultanti dalla gestione.
In quest’ottica, un’adeguata politica dei prezzi dovrebbe garantire:
- il riconoscimento, a tutti gli usi e servizi idrici, del giusto prezzo che tenga conto del loro costo economico reale;
- la compressione della domanda di risorsa idrica, con riduzione dell’impatto sui corpi idrici;
- un’allocazione efficiente delle risorse idriche, con effetti favorevoli sull’uso e l’inquinamento.
Conformemente a questo approccio, attualmente le tariffe vengono impostate in modo da risultare crescenti a scaglioni di consumo, aumentando così all’aumentare della quantità di acqua consumata. Bisogna peraltro evidenziare che, per il servizio idrico integrato, la misura di ripristino ambientale maggiormente rilevante è quella relativa alla depurazione delle acque reflue. Nella tariffa è infatti compresa una quota specifica intestata alla depurazione. In questo modo chi più consuma e più inquina, più paga.
In sintesi, da quanto detto fino ad ora deriva innanzi tutto la conseguenza secondo la quale il regime giuridico del servizio idrico deve garantire l’integrale copertura dei costi e a tale copertura deve seriamente concorrere un equo, ma congruo, esborso economico a carico del singolo utilizzatore, tenuto conto delle differenti finalizzazioni (a titolo esemplificativo una cosa è l’utilizzo ai fini industriali, altra cosa è l’utilizzo ai fini familiari o agricoli). Per finalità di tutela ambientale risulta dunque da escludere un regime di generale “gratuità” per l’uso dell’acqua.
L’accesso all’acqua come diritto fondamentale
Evidentemente l’accesso all’acqua rappresenta un presupposto irrinunciabile per una vita dignitosa, a tal punto da poter costituire l’oggetto di un diritto soggettivo fondamentale. I principi costituzionali ci impongono di tener conto anche di questo fattore nel delineare lo statuto giuridico dell’utilizzazione delle risorse idriche. Il principio “chi inquina paga” e la connessa internalizzazione dei costi ambientali, dunque, possono e debbono trovare la loro attuazione in modo tale da tener conto di tale aspetto. La stessa direttiva quadro acque (DQA), del resto, evidenzia come gli Stati membri debbano provvedere ad un adeguato contributo al recupero dei costi del servizio in funzione dell’incidenza dei vari settori di utilizzo, sulla base di una approfondita analisi economica, anche tenendo conto delle ripercussioni sociali ed economiche del recupero. Sia in base al nostro diritto costituzionale che in base al diritto comunitario è dunque necessario bilanciare il principio della tutela della risorsa idrica sotteso al principio “chi inquina paga” con il diritto fondamentale all’acqua. In tale bilanciamento è però necessario attenersi ad un principio di proporzionalità, facendo attenzione che le concrete modalità con le quali si garantisce la possibilità di accesso per tutti a questa fondamentale risorsa – eventualmente anche con il ricorso alla fiscalità generale – determinino il minore impatto possibile sul principio “chi inquina paga” e sulle finalità ambientali al medesimo sottese.
Da quanto appena esposto deriva la conclusione secondo la quale risultano senz’altro meritevoli e compatibili con le finalità di tutela ambientale della disciplina del servizio idrico, le norme volte ad assicurare la disponibilità per ciascun essere umano di un quantitativo minimo di risorsa a scopo di sostegno vitale, che si muovano secondo precise direttrici:
I. Innanzitutto è necessario che il quantitativo assicurato sia effettivamente quello indispensabile ad una vita dignitosa, e non superi significativamente tale livello, poiché altrimenti si produrrebbero effetti disincentivanti l’uso consapevole della risorsa. A questo riguardo non possiamo tacere la gravità di quei fenomeni di spreco della risorsa idrica cui troppo spesso assistiamo. L’acqua è un bene prezioso e limitato, e il suo uso dissennato è il principale nemico che tramite la riforma oggi in discussione dobbiamo combattere.
II. In secondo luogo, occorre che la fornitura a carattere sociale sia assicurata a chi ne ha davvero bisogno, ossia a quelle utenze caratterizzate da documentato disagio economico, poiché altrimenti la deroga al principio “chi inquina paga” non troverebbe adeguata giustificazione in ragioni di carattere sociale.
IV. E’ inoltre necessario che vengano valorizzati il più possibile strumenti “endotariffari”: strumenti, cioè, che si facciano carico delle esigenze a carattere sociale sopra richiamate calibrando adeguatamente lo strumento della tariffa, conformemente a quanto preved l’art. 60 del “Collegato ambientale”, entrato proprio ieri in vigore. La norma, infatti, dispone che «l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, al fine di garantire l’accesso universale all’acqua, assicura agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l’accesso, a condizioni agevolate, alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali», modulando adeguatamente la metodologia tariffaria.
V. Gli interventi a carico della fiscalità generale che, in questo contesto, si dovessero ritenere necessari, non andrebbero comunque configurati come interventi “a pioggia”, dovendo piuttosto essere calibrati sulle singole realtà socioeconomiche di ciascun distretto idrografico e di ciascun ambito ottimale, tenendo conto delle specifiche esigenze di investimento che caratterizzano i territori, nonché delle diverse ragioni che la pressione sulle risorse idriche ha in ciascun contesto.
VI. Infine, poiché la risorsa idrica può avere differenti caratteristiche qualitative, che la rendono idonea a diversi scopi o usi, la individuazione del “minimo vitale” dovrebbe tener conto di tali differenze.
La esclusione del profitto dalla gestione dell’acqua e il vincolo referendario
Una questione di grande importanza è connessa all’importantissimo e ben noto referendum popolare che si è tenuto sul servizio idrico nel 2011. A questo riguardo deve essere evidenziato che spetta alle istituzioni della rappresentanza politica nazionale assumere decisioni chiare sul punto.
Come è noto, il risultato del referendum è stato quello di escludere la possibilità di remunerare il capitale di rischio investito nell’ambito del servizio idrico integrato. Gli esiti della consultazione popolare devono essere tenuti nella massima considerazione. A questo riguardo, tuttavia, deve essere evidenziato come, ad oggi, essendosi rinnovata la rappresentanza politica, spetta senz’altro a questo Parlamento assumere decisioni circa l’individuazione degli strumenti più idonei per la gestione dell’acqua. Si tratta di una scelta di grande importanza, davvero strategica per il settore che qui consideriamo. E si tratta di una scelta che rientra pienamente nelle responsabilità del Parlamento. Non si può dunque che vedere di buon grado l’intento, manifestato con la proposta di legge in esame, di far fronte a tale responsabilità.
L’AC 2212, qui in discussione, assume sul punto una posizione chiara. Al riguardo mi preme evidenziare che si tratta di una opzione, dal punto di vista delle esigenze ambientali, del tutto percorribile. Ciò che è essenziale è che la gestione sia organizzata – pur in conformità alle indicazioni referendarie – in modo tale che vengano rispettati il principio del “chi inquina paga” e del pieno recupero dei costi, secondo quanto si è già osservato.
Gestione pubblica o gestione privata dell’acqua?
L’eventualità di adottare una scelta del genere è peraltro strettamente legata alla questione del regime pubblicistico o privatistico della gestione del servizio. A questo punto è bene precisare che il suddetto principio “chi inquina paga” e quello, connesso, dell’integrale recupero dei costi del servizio idrico ben possono essere rispettati, almeno in teoria, sia da una gestione privata che da una gestione pubblica. Resta fermo, peraltro, che una cosa è la proprietà del bene pubblico-acqua, altra è invece la gestione del servizio connesso a tale bene. Al riguardo si fa presente che, su tali aspetti, ci muoviamo nel necessario rispetto delle norme del diritto dell’Unione europea, con particolare riferimento a quelle concernenti l’affidamento dei Servizi di Interesse Economico Generale.
Nel caso in cui si scegliesse la gestione pubblica, infatti, si escluderebbe la generazione del profitto a vantaggio del gestore, ma si potrebbe – anzi si dovrebbe, alla luce di quanto sopra osservato – prevedere che, comunque, gli utenti del servizio ne sopportino integralmente il costo, anche se senza ricarico economico, e fatta salva comunque l’eventuale previsione di strumenti a finalità sociale configurati come già esposto.
Dunque, le finalità di tutela ambientale non escludono l’opzione per la gestione pubblica, purché sia sempre salvaguardato il principio del recupero dei costi secondo quanto si diceva più sopra.
Ciò nondimeno, la scelta politica sottesa alla questione, dallo specifico punto di vista della tutela dell’ambiente, impone che ci si ponga il seguente quesito: garantisce una migliore affidabilità (in termini di efficacia e di efficienza), ai fini della maggior tutela della risorsa idrica, la gestione pubblica o la gestione privata? L’obiettivo che tutti siamo chiamati a perseguire, al riguardo, è che, a seguito dell’entrata in vigore della legge di cui stiamo discutendo, non si verifichino più quei drammatici fenomeni di grande spreco della risorsa cui troppo spesso abbiamo assistito. Il peggiore e più insopportabile costo per i cittadini è quello dell’inefficienza. Dobbiamo evitare di incentivare comportamenti scorretti, come quello di preferire l’assunzione di grandi quantitativi di personale piuttosto che procedere ai necessari investimenti, di non garantire un’adeguata potabilizzazione delle acque, né la necessaria realizzazione delle infrastrutture di adduzione, fognatura e depurazione. La legge che ci apprestiamo a discutere deve dotare il nostro sistema dei migliori strumenti per farsi carico al meglio possibile di tali esigenze.
La questione della rilevanza economica del servizio idrico
Un ulteriore tema connesso è quello della qualificazione del servizio idrico integrato come servizio “a rilevanza economica”. Si tratta di una questione importante in questa sede anche perché, come si è detto, il testo in questione intende esplicitamente escludere tale qualificazione.
Al riguardo, la prima considerazione che si impone è la seguente. In base alla giurisprudenza costituzionale – conformemente, del resto, a quello che è l’approccio del diritto dell’Unione europea – la qualificazione di un servizio nel senso della sua “rilevanza economica” non è di diritto ma di fatto: nel senso che non è frutto di una qualificazione normativa ma di una circostanza di fatto. Tale circostanza, per la Corte costituzionale, consiste nel fatto che il servizio sia organizzato in modo tale da assicurare, in un determinato lasso di tempo, almeno la copertura dei costi. In questa prospettiva, in virtù di ciò che comporta il principio “chi inquina paga” come più sopra delineato, il servizio idrico non può non essere qualificato come servizio a rilevanza economica, poiché deve sempre essere organizzato in modo che sia garantito il recupero dei costi.
In particolare, con riferimento alla proposta di legge in discussione a valle di quanto osservato sin qui, mi preme svolgere qualche considerazione su alcuni aspetti della proposta di legge oggi in discussione.
Quella del riconoscimento del diritto all’acqua come diritto universale da garantire ad ogni cittadino, stabilendo una quantità minima a carico della fiscalità generale, è una finalità di buon senso, forse anche costituzionalmente necessaria. Il suo perseguimento deve tuttavia essere bilanciato con la tutela della risorsa idrica e il rispetto del principio di proporzionalità. In particolare, è necessario che le provvidenze che si adottino nel perseguire questa finalità non disincentivino i comportamenti virtuosi. In tale ottica, peraltro, risulta di grande importanza la predisposizione, fatta propria dal progetto di legge in esame, di strumenti di finanziamento finalizzati a garantire l’accesso all’acqua nelle aree più povere del pianeta attraverso progetti di cooperazione e di solidarietà.
Come ho già evidenziato, è di primaria importanza che la politica delle risorse idriche nel nostro Paese sia primariamente volta a salvaguardarle quale bene pubblico. Da questo punto di vista il progetto in esame si muove in una direzione decisamente apprezzabile. Da apprezzare è, ad esempio, l’idea di introdurre piani di gestione e di tutela delle acque, a livello di distretti idrografici, finalizzati a un governo delle relazioni tra acqua, agricoltura, alimentazione, salute ed energia, e più in generale di adottare la configurazione in distretti e bacini idrografici quale presupposto di partenza per la pianificazione e organizzazione del servizio idrico. Ciò può essere di particolare interesse soprattutto in relazione a quei bacini aventi carattere interregionale, in relazione ai quali ad oggi è tendenzialmente esclusa la organizzazione in un unico ambito. Al riguardo, tuttavia, si deve notare come la organizzazione del servizio in ambiti ottimali non deve tenere in considerazione soltanto i profili legati alle caratteristiche del bacino idrografico, ma anche quelli connessi alle caratteristiche delle reti, ai profili demografici, etc. etc. Alla luce di tutto ciò si può concludere che la considerazione della conformazione in bacini idrografici deve certamente essere tenuta presente nella determinazione degli ATO, ma che andrebbero comunque considerati altri fattori parimenti rilevanti sul punto: conformemente, del resto, a quanto previsto attualmente dall’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Interventi realizzati dal Ministero dell’ambiente e della tutela e del territorio e del mare.
In chiusura di questo intervento desidero richiamare i principali interventi realizzati dal mio Ministero negli ultimi tempi a tutela delle risorse idriche.
Riordino dell’assetto locale e nuova governance
A distanza di ben 20 anni dalla legge n. 36/1994 istitutiva del servizio idrico integrato (SII), persistono ancora criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali, che hanno comportato e comportano grave pregiudizio al Paese, in misura tale da rendere necessario un riordino dell’assetto locale del settore in modo da assicurare una governance in grado di attuare efficacemente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
L’obiettivo del Governo Italiano e del Ministero dell’ambiente è stato ed è quello di spingere verso l’attuazione a regime del servizio idrico integrato, facendo leva sulle disposizioni del c.d. decreto Sblocca Italia che hanno posto al centro delle politiche di Governo la corretta gestione del servizio in capo al gestore unico d’ambito, a cui occorre addivenire il più rapidamente possibile, superando un’ormai insostenibile frammentazione che equivale a carenze infrastrutturali, dispendio eccessivo e fuori controllo di risorse, pianificazione non aggiornata, tariffazione non coerente con la regolazione nazionale.
Nell’ambito del riordino del servizio idrico integrato (SII) disciplinato dall’art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011 e dall’art. 7, del decreto Sblocca Italia, nel quadro delle disposizioni dettate al riguardo dal Testo Unico ambientale, il legislatore ha supportato il dovere di provvedere tempestivamente alla riorganizzazione del settore tramite nuove previsioni, contenenti anche l’introduzione di casi di responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale in ragione del comportamento omissivo, nonché l’attribuzione di poteri sostitutivi, sia straordinari che ordinari, agli organi politici, statali e regionali, a fronte dell’inerzia delle amministrazioni competenti. Questo al fine di assicurare una governance del servizio idrico integrato in grado di provvedere prontamente ed efficacemente alla pianificazione, alla programmazione, alla scelta del modello gestionale e all’affidamento del servizio, nonché ad esercitare adeguatamente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
In ragione di quanto premesso, il Ministero dell’ambiente – in collaborazione con l’autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico – si è adoperato per monitorare l’iter di riorganizzazione provvedendo, ove necessario, a sollecitare le Regioni ad intervenire con l’esercizio dei poteri sostitutivi normativamente previsti nei confronti degli enti locali e degli enti di Governo che non abbiano adempiuto agli obblighi sui medesimi gravanti in base al diritto vigente.
Con DPCM del 14 maggio 2015 sono state diffidate le Regioni Calabria, Campania, Molise e Siciliana in quanto alla data del 31 dicembre 2014, come stabilito dal decreto legislativo n. 152 del 2006, non avevano ancora provveduto ad individuare l’Ente di Governo d’Ambito. Al momento, queste Regioni sono sottoposte a un monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell’ambiente e dell’autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI), stanno provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alle diffide del 14 maggio.
Con successivi DPCM del 14 dicembre 2015 sono state diffidate le Regioni Abruzzo e Basilicata in quanto i rispettivi enti di Governo, sebbene identificati, non sono effettivamente costituiti ed operativi. I termini assegnati per provvedere all’effettiva costituzione ed operatività degli enti d’ambito sono di 60 giorni dal ricevimento dei DPCM. Mentre per l’Abruzzo siamo in attesa di riscontro, la Regione Basilicata con L.R. 8 gennaio 2016, n. 1, all’esame dell’Ufficio Legislativo per eventuali rilievi di costituzionalità, ha provveduto al riordino del servizio idrico integrato e della gestione integrata dei rifiuti identificando un unico ente di governo.
Commissariamenti per depurazione
Sempre in coerenza con le disposizioni del decreto Sblocca Italia, per accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi necessari all’adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione soprattutto laddove esistono le condanne della Corte di Giustizia e procedure di infrazione in corso, il Ministero dell’ambiente ha esercitato i poteri sostitutivi di cui dispone ai sensi dell’articolo 7, comma 7, della sopra richiamata legge n. 164/2014 ed in particolare sono stati individuati commissari ad acta su gran parte degli interventi oggetto delle infrazioni per le regioni Basilicata, Calabria, Campania, Friuli, Lazio, Puglia, Siciliana e Veneto. Contestualmente sta procedendo ad altre diffide propedeutiche ad ulteriori commissariamenti in analogia ai precedenti. E’ ferma intenzione del mio Ministero, in coordinamento con la Presidenza del Consiglio, di predisporre un apposito sistema di monitoraggio e controllo per poter ottenere in tempo reale gli stati di avanzamento sulle progettazioni e i successivi lavori che verranno posti in essere dai commissari avvalendosi dei poteri di impulso e accelerazione che la legge conferisce loro, mutuando l’esperienza dei commissari per il rischio idrogeologico adesso in capo ai Presidenti di Regione.
L’esperienza dei commissariamenti è dunque da considerarsi funzionale alla messa a regime di un settore che necessita innanzitutto di disporre di pianificazioni aggiornate ed in grado di rispettare la normativa comunitaria in materia di tutela delle acque, in coerenza con la Direttiva 2000/60/CE che prevede lo stato di qualità buono per tutti i corpi idrici al 2015 e che rischia di aprire nuovi e più pesanti fronti di contenzioso con la Commissione Europea. Da qui l’importanza di una regia centralizzata che accompagni i commissari nella loro attività emergenziale ma che, al contempo, non distolga l’attenzione dalla vera “ riforma” che è quella di arrivare quanto prima ad affidamenti a regime e alla scelta del gestore unico d’ambito per il servizio idrico integrato, che vede la depurazione come segmento integrato e finale del servizio.
Ricordo, infine, che proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore della approvazione, in sede di legge di stabilità 2016, di una normativa volta a rendere più celere ed efficace l’intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva realizzazione degli impianti di depurazione è infatti necessario procedere ad una serie di atti, strettamente concatenati l’uno all’altro: ciò rende, come è evidente, particolarmente difficile l’esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo, poiché sarebbe necessario o attendere la scadenza di un termine congruo per il completamento della bonifica per procedere alla diffida, ovvero agire in relazione ad ogni singolo atto, con una eccessiva burocratizzazione di tutto il procedimento. Ebbene, l’art. 1, comma 814, della legge di stabilità 2016, consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario al fine di far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione in sede europea – di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti, che non si può non salutare con favore, e di cui è intenzione del Governo servirsi con decisione, ove necessario, al fine di garantire il più celere adempimento degli obblighi europei in tema di depurazione.