Lo sappiamo tutti: domenica 26 maggio voteremo per il rinnovo del Parlamento Europeo. Non sappiamo, ovviamente, se saranno delle elezioni “ordinarie”, di routine, oppure no. Chissà: se rivoluzione populista sarà (come sostengono alcuni), la loro data potrà diventare una sorta di “segnalibro storico”: 5/26 come il funesto 9/11.
Nel frattempo, come consuetudine da venticinque anni, i sondaggi spadroneggiano ogni giorno nello sparare percentuali, disegnare scenari, orientare dibattito e pensiero ‒ ma la verità è una sola: nessuno sa cosa succederà. Andrà come deve andare (ed è sempre andato): alcuni esulteranno, quasi tutti vinceranno e/o “terranno”, pochissimi perderanno senza possibilità di un “ma”. Forse – forse – mai come in questo 2019 di fake news e populisti, risuoneranno attuali alcune strofe di una vecchia canzone di Francesco De Gregori:
E poi la gente
perché è la gente che fa la storia
quando si tratta di scegliere e di andare
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti
che sanno benissimo cosa fare
Quelli che hanno letto un milione di libri
E quelli che non sanno nemmeno parlare
ed è per questo che la storia dà i brividi
perché nessuno la può fermare
Saranno elezioni storiche se i movimenti populisti europei prenderanno il potere – come avvenuto in Italia nel 2018; saranno elezioni “normali”, invece, se i rapporti di forza fra le fazioni saranno sostanzialmente invariati. Vada come vada, è nostro convincimento che, in ogni caso, saranno elezioni con due caratteristiche di rilevante originalità. Vediamo.
Il primo è paradossale: il 5/26 ciascuno di noi farà una croce su una scheda: come sempre, questo segno darà corpo a un pensiero, razionale o emotivo che sia. Ma, e qui sta il punto, un pensiero su che?
A nostro avviso, questa volta, il pensiero degli elettori europei sarà rivolto più all’Europa che al proprio paese – e questa è la paradossale novità che comunque caratterizzerà il 5/26, al di là di chi vincerà. Le ragioni sono chiare. Vediamone tre, sapendo che convergono, tutte, sul medesimo punto.
La prima è la vicenda britannica – la Brexit – che ha sollevato un velo: non è detto che l’unità fra i paesi europei sia scontata e per sempre. La vicenda greca – la cura da cavallo imposta dalla Troika – ne ha sollevato un altro: quando si mangia, il conto si paga – o prima o dopo – ma si paga. La vicenda italiana – il governo Monti – ne ha sollevato un terzo: i patti sono patti e chi non li rispetta deve andare a casa, indipendentemente dalla volontà espressa dal popolo nei comizi elettorali.
Il punto comune a queste tre vicende, è che in questi anni la realtà si è svelata e mostrata per quello che è: l’Europa non è una realtà gratuita. Le sue promesse (mantenute) di pace e prosperità, costano e pure parecchio. Come ogni unione l’Europa, infatti, ha regole, sacrifici, patti e sanzioni: talvolta dure – i parametri di Maastricht; talvolta apparentemente surreali – l’ora legale o il calibro delle zucchine; spesso macchinose e lentissime; sempre suscettibili di essere messe in discussione. Voteremo, dunque, per l’Europa pensando all’Europa e alla messa in discussione, più o meno profonda, dei costi della promessa europea, se non, addirittura, della promessa stessa. Non è stato sempre così.
C’è un secondo aspetto che questa volta renderà il gesto del voto un po’ più particolare del passato. Proviamo a immaginare la costruzione europea come un pullman, a bordo del quale abbiamo liberamente deciso di salire e viaggiare assieme con altri. Lì davanti, all’altezza del sedile del guidatore, è emerso però un problema: il conducente fa tutto, il capogruppo sembra distratto, da altri pensieri impegnato. Il conducente guida e decide la strada; usa gli strumenti e tiene la mappa; non parla con noi passeggeri ma si sente al telefono con qualcun altro, che sta chissà dove e sembra decidere con lui per noi. A completare il quadro, il conducente giustifica lo strapotere assunto all’interno del pullman, con la propria competenza: pretende di essere l’unico a saper guidare e quindi, titolato a decidere su tutto, come e quando ritiene.
Per un po’ nessuno è sembrato accorgersene.
Siccome però il viaggio non sta andando proprio liscio – c’è qualche frenata un po’ brusca e qualche volta si è percepito il rischio di andare fuori strada – il 5/26 molti cittadini europei chiederanno che il conducente torni a seguire le indicazioni del capogruppo; che parli con loro e, soprattutto, che li ascolti quando chiedono qualcosa. I cittadini esprimeranno la loro domanda di Politica, per troppo tempo assopita, lasciando il terreno agli appetiti e alle ambizioni dei famigerati tecnici.
La consapevolezza che il valore della promessa europea vada risintonizzato, che la sua realizzazione richieda qualcosa in cambio e una nuova domanda di Politica governante, sono gli elementi di novità di queste elezioni europee. Il nostro Istituto – il cui nome ne tradisce il credo europeista – ha registrato costantemente, negli ultimi anni, l’altalena del sentimento italiano verso l’Europa: un sentimento sempre positivo verso la promessa, crescentemente critico verso il conducente. Per questo siamo convinti che queste due novità siano una buona notizia: vi leggiamo l’alba di una nuova consapevolezza politica.
Non sempre le novità trasformano una vicenda in un fatto “storico”, ma ogni fatto “storico” si fonda su una forte carica di novità. A noi piace sperare che il 5/26 segnerà il punto di partenza di una nuova età di quell’idea di Europa che ha già dimostrato di saperla fare, eccome, la Storia.