L’Eurispes.it incontra Gianni Bottalico, dal 2013 presidente Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), un sistema che conta oggi quasi un milione di iscritti e offre servizi, in Italia, a 3,5 milioni di persone. Già presidente delle Acli provinciali di Milano, Monza e Brianza dal 2004 al 2012, ha collaborato in particolare con il cardinale Dionigi Tettamanzi per il progetto del Fondo diocesano di solidarietà per le famiglie colpite dalla crisi e della disoccupazione.
Dott. Bottalico, quali sono a suo giudizio i cambiamenti più rilevanti che nell’ultimo ventennio hanno investito la struttura e le caratteristiche delle famiglie italiane?
In sintesi, credo si possa affermare che negli ultimi vent’anni abbiamo assistito alla trasformazione della famiglia da motore dell’economia (sia per l’apporto dato alla domanda interna in termini di consumi, sia come soggetto di iniziativa d’impresa) a soggetto debole del ciclo economico, e da corpo sociale capace di integrare e di sopperire alle lacune del welfare pubblico verso i propri componenti bisognosi d’aiuto, a oggetto delle politiche sociali, peraltro fortemente insufficienti rispetto alle nuove necessità familiari. Negli ultimi due-tre decenni i quattro pilastri che garantiscono la serenità e la vivacità economica della famiglia sono divenuti traballanti ed insicuri insieme. La crisi finanziaria in atto, che si configura come una colossale operazione di trasferimento di ricchezza dai ceti medi e lavoratori al segmento più ricco della popolazione, quello che l’Eurispes definisce di “blindati”, ha colpito contemporaneamente questi quattro fattori: il reddito da lavoro (drasticamente diminuito a causa delle delocalizzazioni e della concorrenza dei Paesi emergenti); il patrimonio immobiliare, spesso costituito dalla sola casa dove si abita, (e se ci sono più immobili spesso si tratta di forme di welfare familiare per garantire l’accesso alla casa per i figli) divenuto all’improvviso sinonimo di grande ricchezza da colpire con una alta imposizione fiscale; il risparmio familiare, reso più difficile dalla diminuzione del reddito disponibile ed, infine, lo stato sociale con i consistenti tagli alle sue diverse forme di erogazione.
Quali sono secondo lei in questo momento le categorie sociali più deboli? Gli anziani soli, i genitori separati, i single, le famiglie con figli?
È difficile stilare delle classifiche del disagio. Piuttosto sembra che il Paese si ritrovi unito nel rischio di povertà. Secondo una nostra indagine, il Primo Rapporto Acli sui redditi delle famiglie, condotta su un campione di oltre un milione e duecentomila cittadini che hanno presentato la dichiarazione dei redditi ai Caf Acli, su tutto il territorio nazionale, il margine di autonomia delle famiglie, in caso di perdita di reddito, ovvero il tempo che le separa dal baratro delle povertà, si è fatto molto breve, in media non supera i quattro mesi. Ciò che fa la differenza è un evento improvviso (malattia, separazione, decesso di un congiunto, incidente, perdita del lavoro, danno per calamità naturali, ecc.). La verità l’ha detta molto bene l’Eurispes: ormai siamo in una società dei due terzi al contrario, con due terzi della popolazione che sono in affanno, chi perché è povero, chi perché ha serie probabilità di diventarlo.
Quali sono oggi a suo avviso le maggiori carenze nelle politiche di Welfare per quanto riguarda il sostegno e la tutela delle famiglie?
Sulla famiglia si riversano carenze di tipo educativo, culturale, economico e sociale, cose a cui dovrebbe provvedere la società nel suo complesso. Manca una politica a sostegno della maternità. La flessibilizzazione dei contratti di lavoro costringe spesso le lavoratrici meno tutelate a dover scegliere tra lavoro e mettere al mondo un figlio. Mancano gli asili nido. I fondi per il diritto allo studio sono stati decimati e una buona istruzione sta tornando ad essere un fatto di élite. Chi vuole metter su famiglia si trova alle prese con i prezzi degli affitti e degli appartamenti alle stelle, nonostante la crisi del settore. L’abbassamento progressivo e vistoso delle tutele sul lavoro, rende una chimera per molti genitori la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura familiare. Infine, a coloro che inizieranno ad andare in pensione con il sistema di calcolo contributivo spetterà nella maggioranza dei casi una vecchiaia di miseria e di stenti, con l’impossibilità di ricevere adeguate cure e sostegni. Si sta creando una situazione sociale esplosiva e pericolosa per la stessa tenuta dell’ordinamento democratico. Ma i politici ed i media stentano a rendersene conto, sembra che valga solo il rispetto degli indicatori economici e finanziari.
Sulla base della sua esperienza, con quali strategie negli stili di consumo e di risparmio le famiglie stanno affrontando la perdita di potere d’acquisto originata dalla crisi economica?
Notiamo innanzitutto una grandissima difficoltà ad accettare la realtà, e cioè, che a causa dell’avidità di pochi speculatori, ci sia stato rubato il futuro. Le famiglie appaiono impreparate a mettersi nell’ordine di idee di dover subire un così drastico peggioramento dei loro standard di vita, in particolare i giovani, che mediamente dispongono di una formazione migliore dei loro colleghi europei. Tutto ciò genera incertezza, si rimandano le spese più importanti, si riducono i consumi, c’è una propensione al risparmio ancora maggiore che in passato, che però spesso è vanificata da una minore disponibilità di risorse da metter da parte.
Quali potrebbero essere a suo parere le più idonee misure di incentivo per rilanciare i consumi delle famiglie in questa difficile congiuntura economica?
La prima è riportare un po’ di certezza nella fiscalità. Dobbiamo chiudere al più presto l’esperienza fallimentare del cosiddetto federalismo fiscale, che ha permesso a qualunque livello di governo una gestione irresponsabile verso le famiglie, dei tributi. Urge una contro riforma del Titolo V della Costituzione. Le famiglie devono sapere con certezza quale percentuale complessiva del loro reddito va al settore pubblico: dal consiglio di quartiere all’Europa, e nessuno deve potersi inventare balzelli che superino tale soglia. Insieme a questo servono politiche capaci di creare lavoro. Inoltre, va alleggerito il carico fiscale a cominciare dai redditi più bassi, che sono quelli più propensi al consumo per necessità.
Quali modelli di risparmio ed investimento si sono affermati nelle famiglie come risposta alla crisi?
Le famiglie anche sull’onda delle privatizzazioni degli anni Novanta, e sulle conseguenti quotazioni in borsa, con l’illusione di facili guadagni per tutti, hanno capito sulla loro pelle che non si genera ricchezza dal denaro, ma che la ricchezza viene solo dalla fatica del lavoro. E quindi diffidano da investimenti all’apparenza redditizi, ma pieni di rischio. Questo atteggiamento è stato dimostrato in modo persino clamoroso da quando è stata introdotta la scelta di destinazione del tfr. Solo una piccola minoranza di lavoratori ha optato per i fondi pensione privati, mentre la maggioranza ritiene che sia meglio l’accantonamento in azienda della propria liquidazione. Da qui anche la preferenza per i titoli di stato ed il risparmio postale e la diffidenza, se non l’avversione alle forme di investimento della finanza creativa, non a caso detta negli Stati Uniti anche “predatoria”.
C’è una richiesta che sale dal basso, dalla società, dai corpi intermedi di bilancio “sociale”, di non vedere solo più l’immediato tornaconto nelle transazioni economiche, ma di dare un respiro più ampio e più umano all’economia, come ad esempio chiede la Dottrina sociale della Chiesa e l’attuale pontefice Francesco.
Quali nuovi servizi ed iniziative dovrebbero essere offerti dalle banche per venire incontro alle esigenze delle famiglie contemporanee?
Quello degli orari di apertura degli sportelli bancari è un aspetto non trascurabile: nei giorni lavorativi potrebbe far comodo un orario più lungo. Ma la cosa fondamentale per le famiglie è che si creino dei meccanismi di incentivo agli operatori bancari che più hanno a cuore la solidità degli investimenti delle famiglie. La famiglia sarà soddisfatta e riconoscente alla banca non se questa gli prospetta alti interessi, ma se questa le garantisce la sicurezza dell’investimento.
L’incertezza e la frammentarietà dei percorsi lavorativi fa sì che sia sempre più difficile contrarre dei mutui per l’acquisto dell’abitazione da parte di giovani coppie. Sarebbe quindi, quanto mai opportuna una revisione da parte delle banche dei requisiti per la concessione dei mutui per la casa.
A quali tipologie famigliari, in particolare, le banche dovrebbero rivolgersi con nuovi servizi o agevolazioni?
Il ruolo degli istituti di credito, di concerto con il settore pubblico ed il non profit potrebbe essere di grande aiuto per molte categorie di soggetti deboli per ciò che riguarda il micro credito ed i mutui per l’avvio di piccole attività imprenditoriali, per i giovani in particolare.
Ricordando sempre, visto il crescente numero di persone povere o a basso reddito, che la cosa essenziale rimane la fiducia. Molti cittadini non chiedono altro alla banca se non una sana gestione del loro piccolo risparmio, commissioni leggere e proporzionate alla cifra depositata, e magari auspicano che la propria banca utilizzi il risparmio familiare per finanziare le imprese e lo sviluppo del territorio in cui opera e non per altri fini, contribuendo così a creare occasioni di lavoro per i giovani.
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