Le ripercussioni di un’Europa sempre più incerta e i contraccolpi di una crisi che ha lasciato segni profondi anche nel nostro Paese sembrano rimettere in discussione la fiducia di quanti fino a poco tempo fa si ritenevano euroconvinti.
Solo un anno fa, infatti, l’Eurispes segnalava come, nonostante la generalizzata sfiducia verso le Istituzioni di casa nostra, il cammino dell’euro continuava a convincere gli italiani, tanto che la maggioranza di essi, il 64,4%, si dichiarava sfavorevole ad una possibile uscita dall’Euro zona. Solo il 25,7% auspicava invece l’abbandono della moneta unica. Oggi la situazione non si è ribaltata drasticamente, ma l’aumento esponenziale di quanti non vedono più nell’introduzione dell’Euro una “benedizione”, dà il segnale che qualcosa sta cambiando. Ad inizio 2015, infatti, quattro italiani su dieci (40,1%) pensano infatti che l’Italia dovrebbe uscire dall’euro.
Non a caso, ad essere più scettici sul futuro dell’Euro sono soprattutto i giovanissimi, dai 18 ai 24 anni (44,6%). Inoltre, l’area politica di riferimento dei cittadini intervistati è un buon misuratore di quanto le dinamiche di tendenza – che si sono innescate nell’ultimo anno – siano anche legate all’azione di comunicazione di quegli schieramenti che hanno fatto dell’idea dell’Italia fuori dall’euro un vero e proprio cavallo di battaglia. Così soprattutto chi è di destra (54,8%) o appartiene al Movimento 5 Stelle (54,2%) esprime la propria delusione nei confronti dell’Euro.
Il 55,5% degli euro-delusi ritiene inoltre sia stata proprio la moneta unica una delle principali cause dell’indebolimento della nostra economia. Altri sono convinti, invece, che l’euro abbia avvantaggiato esclusivamente i paesi europei più ricchi (22,7%) e non si sia affiancata ad un’unione economica una reale unità dell’Europa (21,1%), intesa evidentemente a livello sociale e politico.
Ma quali sono le cause di questa inversione di tendenza? Certamente, esse sono numerose e complesse. Una in particolare sembra legarsi strettamente all’evoluzione della questione del debito greco e della crisi di un paese vicino, non solo geograficamente, all’Italia.
Abbiamo seguito tutti le vicende della Grecia che nell’ultimo anno hanno subìto un’escalation verso il basso quasi impensabile: dal 2007 è stato perso circa un quarto del Pil in termini reali, il debito pubblico è quasi doppio rispetto alla capacità di produrre ricchezza, la crisi del Sistema sanitario ha riportato indietro la Grecia di almeno cinquant’anni e si inizia a morire di malattie curabili; la disoccupazione si attesta su valori impressionanti, la povertà dilaga e colpisce tutte le classi sociali indistintamente. Insomma, le cronache ci restituiscono il quadro agghiacciante di un paese in ginocchio.
In un Rapporto del 18 dicembre scorso l’International Federation of Human Rights (Fidh) denuncia: «Gli obiettivi draconiani di deficit e debito imposti dalla Troika sono stati raggiunti con tagli alle spese pubbliche, inclusi i servizi essenziali come lavoro e sanità, senza alcuna considerazione dei bisogni minimi e senza il rispetto dei diritti essenziali», quasi questo fosse un semplice danno collaterale in una situazione di crisi.
Insomma, sono emersi con chiarezza i timori rispetto alle conseguenze negative che l’introduzione dell’euro e il mercato unico hanno prodotto nei diversi paesi, e dalle quali oggi non sembrano essere più esenti neppure quegli Stati a cui l’Unione ha portato inizialmente maggiori vantaggi.
Purtroppo quello della Grecia-fobia non è un fenomeno creato dai media, ma è una realtà con la quale abbiamo capito di dover fare i conti, perché siamo in Europa e nessuno dei paesi che ne fanno parte può dirsi al riparo rispetto ai meccanismi innescati dalle politiche di unione monetaria prima, e da quelle di austerità seguite alla crisi, poi. In molti ormai si chiedono: “accadrà anche a noi?”. L’assillo di questa domanda ha sicuramente influenzato anche gli orientamenti della nostra opinione pubblica, la quale inizia oggi a riflettere sull’Unione e sulle modalità con le quali l’Italia vi partecipa.