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La lezione di Rodotà: una Carta dei diritti per il mare del web

di
Alfonso Lo Sardo

Viviamo ogni giorno volontariamente ‘impigliati’ nella Rete, per informarci, per diletto, per navigare nelle infinite opportunità del web, per dialogare, litigare e confrontarci sui social media e per mille altri motivi. E la verità è che si registra una sostanziale anarchia e che le regole che dovrebbero presidiare questo sistema di comunicazione, che ha cambiato le nostre vite, sono ancora poche e spesso contraddittorie. Il saggio di Stefano Rodotà – l’insigne giurista e politico scomparso nel giugno del 2017 – dal titolo Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli (ed. Laterza) è una felicissima sintesi non solo delle potenzialità di Internet, ma di tutte le implicazioni e le conseguenze, politiche, mediatiche, giuridiche, economiche, sociali e culturali, che ha prodotto, e nei confronti delle quali non sono state predisposte adeguate misure per regolamentarne l’utilizzo, a tutela dei diritti di chi ne fa uso.

Rodotà ci ricorda che già nel 1996 John Perry Barlow apriva in questo modo la sua Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio: «Governi del mondo industriale, stanchi giganti di carne e d’acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della mente. In nome del futuro, invito voi, che venite dal passato, a lasciarci in pace. Non siete benvenuti tra noi. Non avete sovranità sui luoghi dove ci incontriamo». Perché occorre dire che il riconoscimento di regole non è condiviso da tutti. Vi sono coloro che hanno visto nel web la possibilità di un territorio che potesse prescindere da una regolamentazione. Uno spazio di libertà al riparo da norme e controlli. Rodotà riconosce che «Internet, il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, la rete che avvolge l’intero pianeta, non ha sovrano». È la natura libertaria fino all’anarchia, coerente con il progetto di dar vita a una rete di comunicazione che nessuno potesse bloccare.
Ma lo stesso Rodotà riconosce che l’universalità di Internet deve trovare una sua traduzione istituzionale, una sua costituzione, per una governance condivisa. «Non è allora un caso che la grande metafora dello stare in rete sia quella del navigare – commenta l’autore – e che proprio al diritto del mare si siano rifatti in molti quando hanno dovuto affrontare le sfide istituzionali di Internet, per poter avere un mare libero e sicuro». È quella che è stata definita ‘l’autoreferenzialità della Rete’, oggi non più ammessa, in considerazione della sua sempre maggiore rilevanza sociale e politica. Ed eminentemente politici sono i diritti della piazza virtuale, laddove i fautori della democrazia diretta hanno visto nel web la possibilità concreta di una sua realizzazione, con l’eliminazione del principio di rappresentatività, proprio delle democrazie occidentali. La possibilità che movimenti e partiti hanno considerato vicina, e oltremodo praticabile, di appellarsi al volere dei cittadini-navigatori del web per raccogliere il loro consenso e le loro volontà politiche.
È il diritto di decidere sulle leggi attraverso il voto elettronico. Uno scenario per molti inquietante per quello che concerne la privacy e la libertà effettiva di scelta e di autodeterminazione. Una nuova democrazia dei cittadini costruita sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In questo contesto, spiega Rodotà, si innesta la trasformazione dei tradizionali luoghi della politica: dalla piazza, luogo storico della comunicazione politica, si è passati alle piazze virtuali, agli spazi dei social media, luogo di confronto, di lite, di incontro e di scontro tra le parti. Ma a questa prospettiva si lega anche quella che riguarda la cittadinanza digitale, che Rodotà affronta con lucidità e che concerne il reale diritto di accesso ad Internet. Ci si riferisce in questo caso alla possibilità di ricondurre alla persona un insieme di situazioni che concorrono a definire la condizione nel cyberspazio.

Su questo tema, di importanza cruciale, Rodotà ricorda le due scuole di pensiero prevalenti: quella di Vinton Cerf e quella di Tim Berners Lee, padri di internet. Per il primo, non si può parlare di un autonomo civil or human right per l’accesso a Internet, perché i diritti riguardano solo i risultati da raggiungere – libertà di manifestazione del pensiero – e non la strumentazione tecnica utilizzabile. Per il secondo, invece, l’accesso ad Internet può essere paragonato all’accesso all’acqua, nella prospettiva del rapporto tra persone e beni, con i relativi diritti come strumenti che consentono a ogni interessato di poter utilizzare concretamente beni essenziali per la propria esistenza.
Due i riferimenti normativi richiamati dal diritto di accesso a Internet: il primo è l’art. 21 della Costituzione che garantisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ‘ogni altro mezzo di diffusione’, ma anche l’art. 19 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo dell’Onu che mette in evidenza il diritto di ‘cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere’, un principio richiamato anche dall’art. 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali della Ue. In questo suo saggio Rodotà non manca di trattare i temi della neutralità e dell’anonimato: la neutralità della Rete trova il suo fondamento nell’uguaglianza e consiste nel divieto di ogni discriminazione riguardante i dati e il traffico su Internet.
Tema connesso è quello inerente alla protezione dei dati personali, ed in questo settore sono stati raggiunti importanti risultati con provvedimenti che hanno progressivamente ampliato la sfera dei dati sensibili e le misure a loro tutela. Il diritto all’oblio e alla cancellazione dei dati personali ha rappresentato una recente conquista, seppur problematica. Altri aspetti trattati da Rodotà sono quelli della qualità della democrazia elettronica e dell’influenza dei colossi del web, ossia i grandi gruppi che controllano e occupano spazi sempre più grandi di questo immenso mare che è il web. L’autore conclude dichiarando necessario un Internet Bill of Rights: vere e proprie garanzie costituzionali della rete ed in rete. Un sistema di regole e diritti contro i governi nazionali che dovessero insidiare le libertà del web e contro i colossi del web, «i signori dell’informazione che attraverso le gigantesche raccolte di dati, governano e influenzano le nostre vite e poco importa che oggi si chiamino Facebook, Google, Amazon, Apple, Yahoo, Microsoft».

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