Se la risposta alla pandemia si misura anche in termini di risorse sanitarie, appare ancora più drammatico il costo dell’evasione fiscale per la collettività. Il primo studio sullo Stato della giustizia fiscale (State of Tax Justice 2020) ad opera del Tax Justice Network (in italiano: Rete di giustizia fiscale), pubblicato di recente, evidenzia il costo dell’evasione fiscale sia ad opera del privato che delle grandi compagnie, aiutate dall’inefficienza dei controlli e dai paradisi fiscali. In base ai dati ottenuti su scala mondiale, ogni anno vanno in fumo 427 miliardi di dollari a causa dell’evasione fiscale, di cui 245 miliardi persi per gli illeciti delle multinazionali e 182 miliardi per l’evasione fiscale del singolo cittadino. La fetta maggiore di evasione è praticata dalle multinazionali, che anziché pagare le tasse dovute al paese in cui originano e operano, trasferiscono la sede legale nei paradisi fiscali, dove le aliquote sono estremamente basse o inesistenti, scarsi i controlli e pochi gli adempimenti contabili. Anche i privati evadono facendo largo uso di società offshore, che rispondono alle leggi di uno Stato estero e allo stesso tempo conducono la propria attività al di fuori di quella giurisdizione. Tutto ciò avviene al prezzo di 34 milioni di stipendi di un infermiere all’anno, vale a dire lo stipendio medio annuale di un infermiere al secondo. In un momento in cui medici, infermieri e operatori sanitari sono in prima linea per contrastare la seconda ondata di contagi e la macchina della sanità pubblica fa fatica a garantire tracciamento e accesso alle cure, appare evidente quanto queste cifre incidano sulla tenuta di un sistema sanitario già provato da anni di tagli al bilancio.
L’Europa è prima nel mondo per paradisi fiscali
Una guerra all’evasione fiscale, reale ed efficace, sarebbe la prima fonte di guadagno per il nostro sistema sanitario e per quello di tanti paesi che affannano nella lotta contro la pandemia. Se l’Europa è stata l’epicentro della seconda ondata del virus e i sistemi sanitari dei paesi membri stanno soffrendo duramente sotto la pressione di ricoveri e terapie intensive, è sempre in Europa che si trovano i principali paesi promotori dei paradisi fiscali. Quattro delle cinque giurisdizioni maggiormente responsabili di evasione fiscale su scala mondiale risiedono in Europa: le isole Cayman (territorio inglese, responsabile del 16,5% delle perdite fiscali globali), il Regno Unito (responsabile per il 10%), i Paesi Bassi (responsabile per l’8,5% che corrisponde a 36 miliardi di dollari), Lussemburgo (6,5% dell’evasione mondiale) e Stati Uniti (5,53%, per oltre 23 miliardi di dollari di evasione). Nella blacklist dei paradisi fiscali stilata dall’Unione europea compaiono paesi che incidono per l’1,72% e 7 miliardi di dollari sulle perdite fiscali globali, mentre l’Europa causa il 36% e 154 miliardi di dollari di perdite. Il fatto che le isole Cayman siano brevemente comparse nella blacklist nel febbraio 2020 e subito rimosse nell’ottobre dello stesso anno, in quanto ritenuto un paese conforme alle norme fiscali internazionali, la dice lunga sull’affidabilità e l’efficacia delle vigenti misure anti-evasione.
L’evasione fiscale favorisce le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo
Secondo i dati raccolti dallo Stato della giustizia fiscale 2020, i paesi a reddito più elevato sono responsabili del 98% delle perdite fiscali mondiali (ovvero per 419 miliardi di dollari all’anno), mentre i paesi a basso reddito pesano solo per il 2% delle perdite con una fuoriuscita di capitali pari a 8 miliardi di dollari. I paesi a basso reddito sono anche quelli in cui pesa di più l’evasione fiscale in relazione alle risorse già scarse destinate al sistema sanitario, ovvero soffrono maggiormente la perdita fiscale su introiti più esigui. Pur “costando”, in termini meramente quantitativi, 45 miliardi di dollari all’anno rispetto ai 382 miliardi annui dei paesi ad alto reddito, nei paesi a basso reddito la perdita rappresenta il 52% del budget riservato all’assistenza sanitaria pubblica. Nei paesi ad alto reddito l’evasione fiscale incide per l’8% sul budget della sanità, e corrode il 2,5% del gettito fiscale annuo, mentre nei paesi a basso reddito questo buco si allarga al 5,8%, con conseguenze ancora più pesanti.
Lo stesso modello di disuguaglianza si replica nel confronto tra Nord e Sud del mondo. L’Europa e il Nord America perdono rispettivamente oltre 184 miliardi di dollari e oltre 95 miliardi di dollari di tasse; mentre l’America Latina e l’Africa perdono rispettivamente oltre 43 miliardi e oltre 27 miliardi di dollari. Tuttavia, le perdite fiscali dell’Europa e del Nord America sono equivalenti rispettivamente al 12,6% e al 5,7% dei bilanci della sanità pubblica, mentre le perdite fiscali dell’America Latina e dell’Africa sono equivalenti al 20,4% e al 52,5% della sanità pubblica.
Tre soluzioni fiscali per aiutare lo sforzo contro la pandemia
Lo studio condotto da Tax Justice Network, in collaborazione con il sindacato internazionale Public Services International, la Global Alliance for Tax Justice, insieme a esperti e attivisti di tutto il mondo, individua alcuni provvedimenti che potrebbero essere decisivi nella lotta contro la pandemia e l’evasione fiscale. In primo luogo, l’introduzione di una tassa sugli utili in eccesso accumulati nel corso della pandemia da parte delle multinazionali, che funzionerebbe solo se applicata su scala mondiale e senza scappatoie di sorta. In secondo luogo, lo studio suggerisce una tassa sui grandi patrimoni con lo scopo di finanziare la ricerca contro il Covid-19 e allo stesso tempo sradicare le disuguaglianze a lungo termine determinate dalla pandemia. In ultimo, lo studio auspica una convenzione fiscale all’interno dell’Onu, che garantisca standard multilaterali e coerenti per la tassazione delle grandi società: si tratterebbe di un provvedimento che, al di là dell’emergenza sanitaria in atto, porrebbe le basi per una lotta all’evasione radicale e condivisa, in grado di garantire una trasparenza fiscale senza scorciatoie.