Nel Rapporto Italia 2020 sono stati messi in evidenza gli aspetti peculiari della tecnologia digitale in àmbito sanitario, sottolineando le potenzialità evolutive della telemedicina intesa anche come soluzione di tipo organizzativo, in grado di estendere la rete di cure e assistenza sanitaria ben oltre la localizzazione nelle singole strutture ospedaliere.
Pur non potendo immaginare quel che si sarebbe verificato poche settimane dopo la presentazione del Rapporto Italia a seguito del dilagare della pandemia da Covid-19, l’Eurispes aveva già colto nelle potenzialità dello sviluppo della medicina digitale «un fondamentale ausilio per i servizi di emergenza/urgenza».
Alla luce delle esperienze vissute sarebbe fin troppo facile affermare che attraverso un sistema che potesse monitorare a distanza la diffusione del Coronavirus, limitasse ai casi gravi l’accesso nelle strutture ospedaliere e garantisse una costante assistenza presso il domicilio dei pazienti affetti da problemi respiratori di livello tale da non determinare il ricovero in terapia intensiva, senz’altro le conseguenze negative e luttuose – in primo luogo i contagi avvenuti all’interno dei nosocomi – sarebbero state di minore entità.
Tali esperienze hanno, pertanto, messo in evidenza come l’utilizzazione della tecnologia elettronica in àmbito sanitario costituisca una delle componenti fondamentali del futuro modello di governance alla cui implementazione si dovrà provvedere sollecitamente per garantire al meglio, e in modo uniforme, la tutela della salute delle persone.
Già da tempo l’utilizzazione degli strumenti digitali è praticata su larga scala ed è normativamente disciplinata: si pensi al Fascicolo Sanitario Elettronico; al Centro Unico di Prenotazione (CUP); alla progressiva dematerializzazione della documentazione sanitaria. Tuttavia, non si è ancora realizzato quel salto di qualità che nel campo dell’innovazione tecnologica in àmbito sanitario sarebbe possibile attuare con la diffusione della telemedicina.
Infatti, mentre le soluzioni tecnologiche fin qui adottate attengono ad una mera, ancorché significativa, azione di supporto della digitalizzazione rispetto alle attività cliniche e, soprattutto, amministrative, la telemedicina, una volta realizzata, segnerebbe un passaggio fondamentale nell’affermazione dell’impiego diretto delle tecnologie informatiche e telematiche nel settore sanitario.
Invero, tale processo, avviato sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, si è sviluppato con modalità estemporanee, improntate soprattutto verso sperimentazioni promosse in diverse parti del territorio nazionale.
Il Ministero della Salute ha costantemente seguito tale processo evolutivo e ha individuato modelli di governance condivisi con le Regioni, sulla base di linee di indirizzo nazionali periodicamente aggiornate, le quali hanno trovato la loro cornice nelle intese sottoscritte in sede di Conferenza Stato-Regioni a partire dal 2014.
È mancata, però, la definizione di un preciso quadro di riferimento legislativo nazionale. Ciò ha lasciato affidato alle iniziative delle singole Regioni l’impegno a imprimere impulso alla diffusione dei sistemi di telemedicina nei rispettivi àmbiti territoriali.
In considerazione di quanto sopra, appare auspicabile una sollecita attenzione, in sede legislativa, alla definizione di quel contesto normativo che permetta allo Stato di determinare nella materia della telemedicina i princìpi fondamentali.
Un’occasione propizia poteva essere offerta dalla decretazione di urgenza ma, a tal riguardo, si deve registrare che solo il Dl 19 maggio 2020, n. 34 (Decreto Rilancio) ha preso in considerazione la materia, prevedendo che «per garantire il coordinamento delle attività sanitarie e sociosanitarie territoriali, così come implementate nei piani regionali, le Regioni e le Province autonome provvedano all’attivazione di centrali operative regionali, che svolgano le funzioni in raccordo con tutti i servizi e con il sistema di emergenza-urgenza, anche mediante strumenti informativi e di telemedicina» (art.1, comma 8, Dl 34/2020).
In sede di conversione potrebbe essere valutata dal Parlamento l’opportunità di ancorare le modalità organizzative sopra indicate ad una più stringente normativa statale di riferimento, quantomeno indicandone i capisaldi.
Ciò potrebbe costituire la base su cui legiferare per definire i princìpi cui le Regioni dovranno attenersi nell’esplicazione delle proprie competenze legislative e amministrative in materia di telemedicina, tenendo presente che essa non può essere considerata una componente operativa dei diversi servizi sanitari regionali, ma un modello innovativo di erogazione delle prestazioni e di governance del Sistema sanitario da realizzare in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.
Nel caso poi il Parlamento dovesse optare per il ricorso al Mes, l’adozione di un progetto di realizzazione della telemedicina di ampio respiro potrebbe permettere di innovare radicalmente la fruibilità delle prestazioni sanitarie destinando le cospicue risorse previste in investimenti che – pur essendo ancorati alle soluzioni da attuare per fronteggiare i rischi attuali e futuri della pandemia da Covid-19 – potrebbero comportare quel rilancio della Sanità pubblica da tutti auspicato, ma che sconta almeno un decennio di restrizioni finanziarie con tagli lineari. E, di investimenti si tratterebbe, perché la telemedicina consente un utilizzo appropriato delle risorse, riducendo il ricorso alla ospedalizzazione e garantendo il perseguimento di profili uniformi nelle terapie.
Certamente una prospettiva di tale genere potrebbe mettere a rischio le rendite di posizione accresciutesi e consolidatesi nel tempo a tutti i livelli: clinico, amministrativo, politico.
Infatti, nelle strategie di sviluppo della telemedicina sono implicite una serie di modalità che favoriscono, inevitabilmente, la trasparenza e l’impostazione di respiro unitario: la messa in Rete delle informazioni clinico-scientifiche; la raccolta certificata dei dati prestazionali; il controllo, la validazione e il confronto tra i diversi protocolli operativi.
Tanto è vero ciò che, a seguito del Patto per la Sanità Digitale – sottoscritto il 7 luglio 2016 in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni, nel quale l’innovazione digitale è prevista come strumento essenziale per la riorganizzazione dei modelli assistenziali ed organizzativi del Sistema sanitario nazionale – è stata costituita un’apposita cabina di regia operante presso il Ministero della Salute, con il compito di svolgere attività di indirizzo e controllo sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi indicati nel Patto.
Ciò appare del tutto coerente con la disciplina costituzionale che, nel definire la tutela della salute materia di legislazione concorrente, attribuisce allo Stato la determinazione dei princìpi fondamentali, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, affidando ad esso anche le correlate competenze amministrative, pur in un contesto di ampliamento e rafforzamento delle reti territoriali che fanno capo all’ente Regione e nel pieno rispetto del criterio di sussidiarietà.
Tuttavia, non si può fare a meno di sottolineare come lo sviluppo di tale assetto strategico rischi di confliggere con le richieste di maggiore autonomia da parte di alcune Regioni – in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna –, che nei mesi immediatamente precedenti al diffondersi della pandemia hanno proposto al Governo bozze di riforma in grado di frammentare ulteriormente il quadro normativo, già di per sé poco uniforme.
Se si vuole, la capacità di imprimere un deciso impulso allo sviluppo della telemedicina può costituire il più valido banco di prova per una positiva inversione di tendenza che miri a privilegiare la posizione del cittadino/utente paziente in un contesto di più efficiente cooperazione tra lo Stato e le Regioni.
Francesco Giulio Cuttaia è Professore a contratto di Legislazione sanitaria – Università degli Studi di Padova