Il quarto shock. Come il virus ha cambiato il mondo: ha scelto un titolo forte Sebastiano Maffettone per un interessante scritto – con Prefazione di Giovanni lo Storto, direttore generale della LUISS Guido Carli – sulla “filosofia del presente”. Napoletano di origine – come ci tiene sempre a precisare nei tanti convegni e presentazioni che lo vedono coinvolto – filosofo della politica tra i più noti del nostro panorama accademico, docente alla LUISS Guido Carli – dove dirige il Center for Ethics and Global Politics – tra i massimi studiosi di John Rawls – di cui ha tradotto e fatto conoscere l’opera in Italia – e di Kant (nel testo viene richiamata un’opera poco nota La fine di tutte le cose, nella quale il grande autore delle tre Critiche, dimostrando un’attualità sconvolgente, colloca tra i segni della fine del mondo non solo terremoti e cataclismi, ma l’ingiustizia e l’oppressione N.d.R). Maffettone è un pensatore dialogico, come lo erano i grandi filosofi dell’antichità: sminuzza con chiarezza concetti complessi, entra a stretto contatto con l’interlocutore provocandone la riflessione con la forza degli interrogativi.
Il lavoro prende le mosse da un dato incontrovertibile: «il virus ha cambiato il nostro modo di vedere e abitare il mondo, stiamo acquisendo la consapevolezza che bisogna fare qualcosa perché il modo in cui abbiamo proceduto nell’ultimo periodo storico non ha funzionato». Per capire il divenire della storia l’autore guarda le cose da una duplice prospettiva: quella dell’individuo, e quella della società. «Dal punto di vista personale – spiega – va detto che stiamo finalmente cominciando a percepire il senso del limite, qualità che chiamo “anti-narcisistica”. L’essere umano nel passato ha saputo mettere in campo tutta la sua potenza, ha costruito la propria nicchia ecologica; questa insaziabile spinta prometeica è, però, sfociata in quella che il mito greco chiamava hybris (tracotanza N.d.R.) che sta rischiando di trascinare tutti nel baratro». Temperare gli eccessi e ritrovare la virtù della moderazione nell’esercizio di un più sano principio di ragionevolezza dovrà essere il primo passo da compiere per cercare di uscire dal buio entro cui ci siamo cacciati.
Spostando il punto di osservazione a latere societatis (dalla prospettiva della società N.d.R.), gli esiti non appaiono molto diversi: l’emergenza è stata un’ulteriore prova del fallimento del modello di sviluppo che abbiamo adottato. «La condizione di paura e incertezza che ha segnato questi lunghi anni di crisi sta facendo maturare la convinzione, a livello globale, della necessità di mettere in atto politiche più sostenibili e inclusive. Per dirla in breve: sta tornando in auge una delle parole chiave della rivoluzione francese come “fraternità”, un valore e, nello stesso tempo, un sentimento che ci può rendere più solidali». Costruire una società caratterizzata da maggiore fraternità e minore diseguaglianza, perché equità ed efficienza sono raramente conciliabili, è il primo messaggio forte che si ricava dalla lettura di questo brillante scritto. «La società capitalistica che abbiamo costruito – prosegue l’analisi dell’autore – non potrà, infatti, reggere ancora a lungo livelli di diseguaglianza e di povertà crescenti». “Evo Devo” è la definizione originale del filosofo per rappresentare il complesso dualismo che esiste tra evolution e development, due categorie che non hanno gli stessi linguaggi e, ancor meno, gli stessi tempi. «L’evoluzione ha bisogno di milioni di anni; i ritmi dello sviluppo tecno-scientifico sono rapidissimi, lo sfasamento è, perciò, inevitabile. Impossibile pareggiare questa differenza, anche se il senso del limite che dobbiamo esercitare può ancora salvarci contribuendo a rendere meno stridenti le contraddizioni».
Il compito della filosofia
La seconda questione cruciale che viene affrontata in queste pagine riguarda l’importanza dell’etica pubblica che può, se ci ricordiamo di praticarla, rivelarsi uno strumento prezioso per superare questo difficile momento. «La filosofia ha due ruoli: il primo, sostengono i pensatori tedeschi, è un “segna posto”, perché dà inizio a un nuovo sapere. Così Weber ha inaugurato la sociologia, Freud la psicanalisi, Newton ha dato corpo alla fisica teorica, da filosofi di mestiere quali erano». Oggi questo posizionamento è molto più difficile perché i saperi scientifici sono troppo tecnici per accettare un’ermeneutica filosofica che faccia da apripista. Emerge un secondo compito della filosofia, che ha un impatto molto forte sulle attuali fenomenologie del cambiamento: il suo essere una disciplina di frontiera. Si avverte, infatti, il bisogno di un sapere che metta insieme più linguaggi e la filosofia ha questa capacità. La pandemia, tra i tanti aspetti, ha fatto emergere che le singole discipline sono “piccole” rispetto alla complessità dei problemi. I saperi isolati sono destinati a naufragare, quello che serve è la dimensione dell’intelligenza collettiva. «Se Leonardo nascesse ai nostri tempi non sarebbe un individuo, ma un gruppo»: l’immagine usata dall’autore rende bene l’importanza del lavoro di squadra, imprescindibile per l’evoluzione della scienza nel mondo complesso che abitiamo, continuamente minacciato da malattie, crisi economiche, disastri ambientali.
L’etica pubblica viene in soccorso dell’umanità disorientata perché getta un ponte tra l’essere e il dover essere, tra la catena dei fenomeni delle scienze della natura che obbediscono a leggi molto precise, e la catena dell’essere morale che, come ci ha insegnato Kant, trova il suo fondamento nella dimensione impalpabile dell’io, che ha a che fare con la spiritualità. Non si stratta di argomenti astratti per gli amanti della speculazione, perché proprio la pandemia ha messo in risalto l’importanza della biologia, in quanto disciplina più completa e sfaccettata della genetica. «Non è mio interesse – ci tiene a precisare l’autore che mantiene una visione laica nella lettura degli avvenimenti della storia – cercare scusanti per costruire una filosofia della natura romantica e antiscientifica; mi sembra invece cruciale congiungere l’aspetto analitico della fisica teorica con l’aspetto finalistico che domina l’universo della biologia». Un progetto ambizioso, coltivato da grandi scienziati – basti citare Cavalli Sforza per avere idea dell’importanza di questo filone della ricerca – che indagano quel difficile terreno di congiunzione tra corpo e spirito, che si realizza – Kant lo aveva già mostrato molto bene nella Critica del giudizio – nell’universo del mondo organico.
Il dilemma del prigioniero
La recente adozione del lockdown può far capire in maniera molto netta cosa significa osservare dei princìpi di valore nella quotidianità. Vi sono due modi per ottenere la chiusura delle attività: chiudere il lucchetto, o convincere la gente a stare a casa. La seconda delle due modalità, non sarà adottata da tutti, ma risponderà a un senso delle Istituzioni e delle regole che definiamo etica pubblica. Si tratta di un particolare indice di moralità delle Istituzioni che non si sostituisce alla decisione normativa, ma è una premessa importante del diritto penale. L’intervento di polizia e la pena conseguente non sono, infatti, che rimedi estremi. Tutto il sistema industriale e delle imprese si regge sul fatto che i consumatori, tranne in piccolissima parte, intendono pagare i prodotti e i servizi di cui usufruiscono. «Dobbiamo pensare che le azioni legali servono solo nel 2-3% dei casi, se fosse il contrario verrebbe meno qualsiasi attività commerciale».
Ma l’aspetto più importante riguarda la tenuta del patto sociale, che appare oggi spesso traballante, che si regge sulla deliberata e autonoma volontà di adesione che viene prima di qualsiasi coercizione. In virtù di questa forza che ha una radice morale e culturale la società va avanti. «L’etica pubblica – prosegue Maffettone – è quella che scioglie il cosiddetto dilemma del prigioniero, quello tipico di chi tende a fare il suo interesse, non preoccupandosi di danneggiare la società. In realtà, quando si praticano comportamenti egoisti e poco virtuosi, a essere danneggiato è, prima di tutto, il soggetto stesso». Le regole non sono un superfluo – terzo importante messaggio di questo scritto –; sono, invece, necessarie per la convivenza, peccato che ce ne dimentichiamo troppo spesso. Il fenomeno veniva definito da Hegel “scambio di potenza”. Per averne un’idea concreta basta considerare quello che avviene, per esempio, in paesi come la Svezia, dove la gente notoriamente è propensa a rispettare di più le regole, perché i governi funzionano. Ma, reciprocamente, i governi funzionano proprio perché i cittadini sono ben disposti a rispettare l’ordine costituito. «In virtù di questo ragionamento appare scontato che fare il sindaco di Stoccolma sarà più facile che fare il sindaco di Roma. Anche se dovremmo fare di tutto – conclude con un sorriso ironico lo studioso – per ribaltare questa evidenza».
Mentre accogliamo il monito del filosofo, dal canto nostro vogliamo sperare che questo “scambio di potenza” possa diventare realtà anche alle nostre latitudini, realizzando quella riconquista della vita dopo la morte che è il cuore nella favola di Simba re leone (citata nel testo N.d.R) che tanto piace alla piccola nipotina dell’autore. La morale di questa “catarsi” non deve sfuggirci: non dobbiamo rinunciare ad operare per un mondo più giusto, in cui il rispetto dell’altro possa diventare il primo tassello di una società migliore e di un capitalismo dal volto finalmente umano.