Nuove rotte: gli italiani e l’attrattività dell’India

Secondo l’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero, A.I.R.E., sono 5 milioni i cittadini italiani che nel 2014 sono stati registrati come residenti all’estero o che hanno dichiarato la loro disponibilità a trasferirsi all’estero per un periodo superiore ai dodici mesi. È certamente un numero assai elevato, se confrontato con la popolazione complessiva del nostro paese; e dà un’idea di quanto sia diffusa in questo periodo la propensione di andare a vivere all’estero da parte degli italiani, sia di chi è partito realmente, sia di chi è pronto a partire. Nessun dubbio che i numeri relativi a questo fenomeno devono essere letti con particolare attenzione perché, ad esempio, non tutti i residenti all’estero sono iscritti nei registri dell’A.I.R.E.; eppure, ripeto, la sua consistenza è davvero notevole. Ed è confermata anche dai risultati di ricerche condotte da Eurispes (2015), secondo cui il 45,4% degli italiani dichiara esplicitamente che avrebbe voglia di trasferirsi all’estero (nel 2006 questa percentuale era del 37,8%); per giunta con motivazioni precise che riguardano le seguenti possibilità: trovare maggiori opportunità di lavoro, assicurare migliori prospettive per i figli, trovare maggiori garanzie sul futuro.

Nello stesso periodo, gli italiani registrati in India sono risultati 1.307 (177.322 in Asia-Oceania); un numero certamente modesto, rispetto ad altre realtà estere, ma recente, cioè che ha preso consistenza solo negli ultimi anni, e in costante crescita; tutti aspetti importanti da sottolineare. In pratica l’India sta attirando circa 400-500 italiani l’anno, in prevalenza uomini, giovani e molto qualificati. Un approfondimento di analisi delle motivazioni mette in luce il valore delle opportunità che questo paese offre nei più diversi settori professionali, la dinamicità del suo sviluppo, la possibilità di inserimento ed interscambio con qualificate realtà internazionali.

L’India è in effetti una grande paese che si sta sviluppando moltissimo, a ritmi davvero impressionati. Sul piano economico, negli ultimi tre anni il tasso di crescita medio è stato pari al 5,5% ; secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale nel corrente anno 2015 dovrebbe essere del 7,5% e nel 2016 del 10%. Se pensiamo ai ritmi medi di crescita del sistema europeo (+0,5% nel 2013, +0,8% nel 2014, +1,1% nel 2015) abbiamo subito un’idea del dinamismo del sistema indiano, un paese, va aggiunto, dove vivono circa 1,2 miliardi di abitanti. Sono ritmi che superano abbondantemente, ad esempio, quelli della Cina (previsione media di crescita del 6,5%), della Russia (-3,4% nel 2015 e +0,2% nel 2016) del Brasile (-1,5% nel 2015 e +0,6% nel 2016); ritmi di crescita che sono accompagnati e sostenuti da una formidabile attrazione di investimenti dall’estero, soprattutto nei settori della innovazione più avanzata, come le tecnologie informatiche e comunicative (ITC) e il sistema dei servizi. Le cifre parlano di un afflusso di investimenti esteri annuo pari ad un tasso di crescita medio dell’11%, che nel 2013, ad esempio, ha raggiunto la cifra di 23 miliardi di dollari.

Questo sviluppo, che ha creato e sta creando tante opportunità, non è certo nato per caso ma è il frutto di precise scelte strategiche che risalgono agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso (come puntare con determinazione sull’economia della conoscenza) e di un profondo processo di modernizzazione che ha avuto un particolare impulso proprio negli ultimi anni, con la nuova dirigenza politica. Le riforme avviate da Narendra Modri, il primo ministro eletto nel maggio 2014 con la vittoria elettorale più clamorosa degli ultimi trent’anni (partito nazionalista indu – Bjharatiya Janata Party), hanno accelerato la spinta per rendere più efficiente il sistema istituzionale, creare le condizioni per incentivare ulteriormente l’attrazione dei capitali esteri d’investimento, e , nello stesso tempo, affrontare i più drammatici problemi sociali, connessi in modo specifico alla crescita delle disuguaglianze. È un mix di proposte, politiche e provvedimenti che ha già ottenuto e conserva tuttora il sostegno di una vasto consenso popolare. Sullo sfondo, c’è una profonda evoluzione ideologica e culturale dello stesso induismo, che in pratica ha portato le classi dirigenti a cambiare il loro atteggiamento di fondo nei confronti dell’economia e del lavoro. In pratica si è passati da un atteggiamento orientato in prevalenza al rifiuto dell’impegno nelle attività economiche e produttive, ad un orientamento opposto, di impegno diretto in tali attività. In tal modo, centinaia di milioni di indiani hanno formato negli ultimi anni come una nuova classe dirigente in grado di orientare, guidare, gestire direttamente le dinamiche dello sviluppo. Certo tutto ciò non toglie che l’India sia ancor oggi un paese che mostra delle grandi contraddizioni (ad esempio, per l’influenza tuttora esistente, informale ma efficace, della divisione delle caste, abolite dalla legge costituzionale, fondativa del nuovo stato indiano, già nel 1948). Ma altrettanto chiari sono i clamorosi risultati economici conseguiti finora sulla base di questo profondo cambiamento culturale. Risultati che proiettano l’India nei prossimi due decenni al terzo posto come potenza economica mondiale, dopo USA e Cina, secondo stime diffuse.

Da rilevare, inoltre, che le politiche di sviluppo economiche perseguite dall’India sono sostenute da una azione esterna molto dinamica e aperta alla costruzione di un vasto sistema di relazioni. Il multilateralismo della politica estera indiana si esprime, da un lato, in un impegno molto attivo nei vertici e nelle istituzioni internazionali, come i summit dei G20 e dei BRICS (il coordinamento tra Brasile,Russia, India, Cina, Sudafrica) o come le Nazioni Unite dove rivendica con sempre maggior forza un riconoscimento esplicito anche istituzionale e politico del ruolo di prim’ordine che svolge nello sviluppo economico mondiale (l’India chiede, ad esempio, una riforma dell’ONU e di entrare a far parte del Consiglio di Sicurezza con un seggio permanente); dall’altro, il multilateralismo dell’India si esprime nella firma di numerosi trattati ed accordi bilaterali con i principali partner mondiali. In questa direzione operano, ad esempio, gli accordi economico-commerciali con gli USA conclusi secondo un preciso partenariato strategico, accordi che, per i benefici attesi da entrambi i due stati, hanno portato il presidente Obama a dichiarare che il rapporto con l’India sarà per gli USA “il rapporto chiave del secolo” e che il partenariato USA – India “sarà un modello per il resto del mondo”; ovvero con l’Unione Economia Euroasiatica, per creare una grande zona di libero scambio, con la Russia per le forniture di petrolio, e così via. Da rilevare, infine, che l’India si appresta a promuovere una grande riconversione ecologica di sistema produttivo con un programma settennale destinato a potenziare notevolmente le fonti di energie rinnovabili, aprendo con ciò un nuovo scenario di avanzate innovazioni.

È un fatto, ha dichiarato il ministro dell’energia Piush Goyal (maggio 2015) che l’attuale governo indiano ha rinnovato profondamente l’immagine dell’India e, in concreto, ha creato una situazione che porta il resto del mondo a parlare del nostro paese come un partner che è pari tra i pari. Questa situazione nuova e dinamica presenta, indubbiamente, molti elementi di forte attrattività; ed è proprio in questa situazione che si è innescato, soprattutto negli ultimi tempi, il processo di un crescente trasferimento di cittadini italiani in India, per cogliere il nuovo che essa sa offrire al resto del mondo.

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