L’istituto della prescrizione penale ha da sempre costituito un vero e proprio tormento per le toghe italiane, stando anche ai dati statistici degli ultimi anni.
Basti pensare che nell’ultimo decennio più di un milione di processi sono caduti nel nulla per la intervenuta causa estintiva dei reati. L’inesorabile decorso del tempo, unito alle lungaggini del processo penale italiano, ha determinato e determina ancora oggi una situazione di “empasse” se non di deciso imbarazzo nella già martoriata giustizia italiana.
Entrando nello specifico: che cosa è la prescrizione?
È, in pratica, il tempo massimo in cui un fatto di reato può essere perseguito dallo Stato. Tutti ricorderanno che già nel lontano 2005, con l’entrata in vigore della legge detta “ex Cirielli”, si accorciavano sensibilmente i tempi della prescrizione dei reati (il calcolo si effettua considerando la pena massima prevista per ciascun reato, aggiungendo a questa un quarto della stessa). Prima di tale intervento legislativo, la regola prevedeva pena massima più la metà.
Ma che cosa cambia con il Ddl, ora all’esame del Senato: restano, di fatto, inalterati gli anni di prescrizione per ogni reato; ciò che viene modificato è il percorso del processo.
La prescrizione resta “congelata” per due anni nelle more tra il giudizio di primo grado e quello di appello, e di un altro anno nella ipotesi in cui venga adita la Corte di Cassazione; tanto solo nel caso in cui vi sia stata sentenza di condanna nei confronti dell’imputato.
Di fatto, l’istituto “guadagna” tre anni che, si suppone, siano sufficienti per condurre in porto i processi senza l’incubo dell’imminente intervento della causa estintiva del reato.
L’intervento legislativo, indubbiamente innovativo sotto il profilo sostanziale, non poteva che suscitare scontri ed accese polemiche tra i vari schieramenti politici, tanto che, tra barricate e minacce, si profila uno scenario di trattative infinite (se ne discute da più di 400 giorni nelle commissioni parlamentari); segnale, questo, di una difficile e/o improbabile intesa in tempi ragionevoli.
D’altronde, quando si toccano temi “caldi” come quello della giustizia, i vari interessi contrapposti rallentano inevitabilmente qualsivoglia percorso di riforma sostanziale.
In questi casi, la eventuale opzione per soluzioni estremiste non può che rivelarsi deleteria: impensabile che un processo penale possa durare dieci o più anni, così come è altrettanto impensabile che debba risolversi a tutti i costi in poche battute, a scapito del principio di ragionevolezza che deve sempre essere posto a base di uno Stato di diritto.
Come sempre, in medio stat virtus; l’equilibrio è la soluzione migliore.