Ormai è già legge il nuovo pacchetto di riforma del processo penale, nonostante le aspre e accesissime critiche piovute su di essa da tutti gli addetti del settore.
Ci riferiamo, evidentemente, non solo all’Avvocatura italiana, ma anche alla Magistratura e agli esperti del diritto e della procedura penale, peraltro – e questo è il dato più rilevante – mai interpellati dal legislatore, nonostante svariate iniziative di protesta e, di fatto, relegati ad un ruolo di marginalità.
Eppure, il loro contributo avrebbe indirizzato questa riforma sui binari della giustizia, della equità e dell’equilibrio; ma, come spesso succede nel nostro Paese, la serietà, l’esperienza, l’impegno, non vengono adeguatamente valorizzati.
In sintesi, le modifiche più rilevanti riguardano i termini di prescrizione, di fatto allungati, seppure di tre anni; ma, considerati i tempi della giustizia italiana, la modifica introdotta non pare destinata a produrre effetti concreti sul processo penale.
Si sono, altresì, introdotte modifiche in sede di trattamento sanzionatorio di alcuni fattispecie di reato (vedi quello del cosiddetto “scambio elettorale politico mafioso”), nonché in materia di impugnazioni (ricorso per Cassazione), senza alcun intervento di rilievo nell’ambito dell’ordinamento penitenziario.
Ma le maggiori novità di questa riforma riguardano la fase delle indagini del procedimento penale: la fase, se vogliamo, più delicata, e dal cui esito dipende il rinvio a giudizio dell’indagato o l’archiviazione.
Da oggi, di fatto, le indagini del pubblico ministero hanno un termine di scadenza, per cui o si decide il rinvio a giudizio o si chiede l’archiviazione del procedimento entro tre mesi dalla scadenza del termine delle indagini preliminari, pena l’apertura di un procedimento disciplinare.
Il dato è preoccupante, anche perché risente di un intervento legislativo poco attento alla complessità della tematica, ed in concreto, insensibile a qualsiasi forma di serio approfondimento di una materia così delicata, quale quella del sistema penale italiano.
In parole povere, con il sistema attuale si attribuisce all’organo inquirente una discrezionalità incontrollata che, alla luce degli impressionanti carichi di lavoro delle Procure, impone praticamente al medesimo di scegliere quali procedimenti debbono essere attenzionati rispetto ad altri.
E allora qual è la soluzione: chiudere la fase delle indagini nei termini, ad ogni costo, anche in presenza di una superficialità delle stesse!
Sarebbe come dire, meglio rinviare tutti a giudizio, anche sulla base di capi di imputazione generici e/o approssimativi; tanto, se la vedrà il povero giudice, ove possibile, a porre rimedio a tale situazione.
Con la conseguenza, che molti processi potranno non avere una fine; e anche in questo caso, altra “brillante” idea: viene disposta l’avocazione di quei processi alla Procura Generale che, a corto com’è, di personale, non potrà che optare per la soluzione di partenza.
Ossia, tutti a giudizio!
Della seconda opzione, la richiesta di archiviazione, non se ne parla proprio; d’altronde, si impiegherebbe del tempo a motivarne la fondatezza per cui, o innocenti o colpevoli, tutti a giudizio onde evitare problemi!
Una seria riflessione sul punto, si impone.
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