Recovery plan: la rivincita delle mafie contro le Istituzioni. Intervista al Procuratore Raffaele Cantone

Mafia e corruzione, due àmbiti criminali che si sovrappongono rimanendo distinti, eppure si alimentano a vicenda. Si osservano e si riconoscono anche se reclamano vite diverse. Mentre le mafie hanno cominciato ad essere sconfitte quando c’è stato un cambio culturale, quando non si è più detto, falsamente: “tanto si ammazzano tra di loro”, la corruzione è percepita come inerme, che non ferisce intere comunità e territori, non ammazza nessuno; anzi, il corrotto, il corruttore sono furbi a sopravvivere in un mondo fatto di tasse e balzelli. Manca lo scatto che si è avuto contro le mafie, il cambio culturale necessario per percepirlo e riconoscerlo come un vero e proprio crimine che uccide il futuro di tutti, mentre arricchisce il presente di pochi. Raffaele Cantone è magistrato, saggista e accademico. Dopo anni alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, lavora all’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, dal 2014 al 2019 è stato Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nel 2020 è nominato dal CSM Procuratore della Repubblica a Perugia.

 

Corruzione e mafie, questi due concetti che gravano sulla nostra società civile e l’economia del Paese, quanto sono legati e quanto si alimentano a vicenda, ma soprattutto sono entrambi percepiti realmente nella loro gravità?

Corruzione e mafie sono due concetti che si riferiscono a due realtà criminali che sono e restano fra loro diverse, ma che hanno àmbiti comunque significativi di sovrapposizione. Le mafie, infatti, hanno bisogno per la loro esistenza di intrecciare rapporti con l’economia legale e la politica. Soprattutto le mafie attuali preferiscono utilizzare sempre più, per raggiungere i loro fini, la corruzione piuttosto che l’intimidazione. Comprare un funzionario può essere, infatti, più vantaggioso per le mafie perché in tal modo se ne assicurano la fedeltà. La presenza e la forza delle mafie quindi aumentano i rischi di corruzione e, dall’altro canto, la disponibilità alla corruzione finisce per agevolare le mafie. Sottovalutare la corruzione considerandola, tutto sommato, un sistema che fa girare l’economia rischia, indirettamente, di rafforzare quindi le mafie.

C’è un problema che viene poco affrontato, ovvero quando un mafioso ha scontato il suo periodo di detenzione, anche lungo, e ritorna sul proprio territorio. Lei ha svolto inchieste di alto profilo, soprattutto contro il clan dei Casalesi, il clan La Torre di Mondragone, ma ormai sono passati decenni. Che pericolo corrono i territori concretamente, è possibile un ritorno al passato?

Il mafioso che non si è pentito cerca, in tutti i modi, di mantenere i rapporti con il suo territorio e quando vi ritorna vuole riprendere il suo posto nelle gerarchie criminali e ricominciare a gestire affari illeciti. Le lunghe detenzioni che oggi conseguono alle condanne per mafie fanno sì, però, che il contesto esterno risulti, al momento del recupero della libertà da parte del mafioso, molto diverso ed il pericolo è, più che il ritorno con il passato, quello di contrapposizione violenta con i gruppi che comunque hanno occupato gli spazi rimasti vuoti. Bisogna anche sottolineare come molte volte, dopo aver scontato la condanna, i mafiosi tornano su territori che si sono rigenerati anche per l’azione della società civile, territori dove diventa molto più difficile agire, perché quel clima di paura e omertà non esiste più.

Abbiamo più volte argomentato in questa rubrica delle mafie in Europa e della loro influenza economica in Europa. Già le sue indagini sul finire degli anni Novanta e i primi anni del Duemila dimostravano l’esistenza di capitali mafiosi in diversi paesi europei.

Il clan La Torre di Mondragone investiva stabilmente negli anni Novanta in Scozia dove avevano una loro fitta rete di interessi, così come in Olanda. Il clan dei Casalesi investiva stabilmente in Romania, Ungheria e Germania. Stiamo parlando di solo due dei principali clan camorristici dell’area casertana, quindi è facilmente immaginabile il giro d’affari dei capitali illeciti che hanno invaso più o meno consapevolmente i paesi europei. Questo è un punto fondamentale da sottolineare continuamente, perché le mafie sono transazionali, investono senza badare ai confini geografici e non c’è nessun paese, territorio che possa dirsi immune, in Italia o nel mondo. È necessaria una continua tensione antimafia come pure una continua sensibilità che protegga l’economia sana che produce lavoro, perché la prima vittima è proprio l’economia che permette lo sviluppo e la ricchezza di un territorio.

Si parla molto di infiltrazione delle mafie nel sistema economico, anche se, a mio avviso, è una presenza stabile la loro; come si impedisce questa contaminazione? Oggetto del contendere è il Codice degli appalti che molti vedono farraginoso, altri chiedono minori controlli, come si esce da questo stallo?

Le mafie hanno nel loro DNA quello dell’infiltrarsi nell’economia legale; ne hanno bisogno per reinvestire i proventi illeciti e per moltiplicarli. Controllo dell’economia legale significa anche controllo sociale e possibilità di condizionare la politica. Per impedirlo, bisogna non abbassare la guardia dei controlli preventivi. Le mafie sono bravissime ad approfittare delle emergenze e delle deroghe alle regole. Quanto al Codice degli appalti, io credo che l’eccesso di regole e quindi di complicazioni burocratiche costituisca un fatto negativo perché non consente di realizzare le opere e perché l’eccesso di complicazione può essere, esso stesso, un incentivo alla corruzione. Bisogna trovare un giusto mezzo ma bisogna ancor di più evitare quanto è avvenuto negli ultimi anni e cioè cambiare continuamente le regole degli appalti. La burocrazia si disorienta e non è più in grado di dare risposte.

In un immediato futuro avremo a disposizione i fondi del Recovery Plan, oltre duecento miliardi di euro per la nostra economia. Si pongono due sfide: far sì che la criminalità organizzata non ne approfitti e dall’altra parte muoversi speditamente, può farcela il sistema Italia questa volta?

Quello che ci aspetta con i fondi del Recovery non ha precedenti ed è difficile fare pronostici. I rischi, però, che la criminalità possa approfittarne sono enormi perché sta passando l’idea che bisogna spendere senza porsi troppi problemi, considerando le regole un intralcio, come sempre. La deregulation è la situazione che le mafie preferiscono perché possono mettere in campo le loro capacità di “convincere” e cioè l’intimidazione e la corruzione. Bisogna avere il coraggio di dirlo con chiarezza: il Recovery Fund è una grande occasione per il Paese, ma può diventare un rischio enorme e può essere l’occasione che le mafie attendono per prendersi la loro rivincita contro le Istituzioni. E la crisi profonda della antimafia sociale (purtroppo sotto gli occhi tutti) può essere un ulteriore vantaggio per le mafie.

Lei ha visto il volto della criminalità organizzata dagli anni Novanta ad oggi, quali tratti definirebbe come i più pericolosi, quali evoluzioni considera siano le sfide future che dobbiamo affrontare già nell’immediatezza del presente?

La cosa che più mi preoccupa è la capacità delle nuove mafie di mimetizzarsi; sempre più capaci di occupare la zona grigia e di presentarsi senza coppola e lupara, ma con cravatta e grisaglia. Una mafia che preoccupa meno anche un’opinione pubblica distratta, perché evidentemente presa dai problemi che la pandemia ci sta ogni giorno ponendo.

 

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