Sfruttare il potenziale della tecnologia in aula per affrontare il divario digitale e dare ad ogni studente le conoscenze necessarie ad affrontare un mondo che richiede sempre maggiori competenze resta ancora una sfida aperta per i sistemi scolastici di molti paesi.
Secondo la prima valutazione OCSE sulle competenze digitali (“Students, Computers and Learning: Making The Connection”) anche in presenza di investimenti cospicui nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per l’istruzione non si sono registrate performance migliori nei risultati PISA per la lettura, la matematica e la scienza nelle scuole dei paesi monitorati.
Questo a dimostrazione che le opportunità di un migliore apprendimento per i ragazzi all’interno del mondo digitale non possono essere assicurate solo ampliando o sovvenzionando l’accesso ai dispositivi ad alta tecnologia e dei servizi. È necessario accompagnare gli alunni verso il raggiungimento di un più elevato livello di competenze attraverso un mix di interventi e di programmi formativi.
Nel 2012, il 96% degli studenti di 15 anni dei paesi OCSE possiede un computer a casa, ma solo il 72% ha dichiarato di utilizzarne uno a scuola. Nel complesso, i risultati dell’indagine evidenziano che gli studenti che usano il computer moderatamente a scuola tendono ad avere risultati di apprendimento lievemente migliori rispetto quelli che lo utilizzano raramente. Ma allo stesso tempo gli studenti che usano il pc molto spesso a scuola hanno ottenuto risultati peggiori.
“I sistemi scolastici devono trovare modi più efficaci per integrare la tecnologia, con l’insegnamento e l’apprendimento e fornire agli educatori ambienti di apprendimento che supportino pedagogie del 21 ° secolo e offrano quindi ai bambini le competenze del 21 ° secolo di cui hanno bisogno per avere successo nel mondo di domani”, ha sottolineato Andreas Schleicher, OCSE Direttore for Education and Skills. “La tecnologia è l’unico modo per espandere l’accesso alla conoscenza. Per mantenere le promesse della tecnologia offre, i paesi devono investire in modo più efficace e fare in modo che gli insegnanti siano in prima linea nella progettazione e implementazione di questo cambiamento”.
Il report ha evidenziato inoltre che il divario tra studenti avvantaggiati e svantaggiati in lettura digitale era molto simile alle differenze di prestazioni rilevate nel tradizionale test di lettura PISA, nonostante la stragrande maggioranza degli studenti usino il computer, indipendentemente dal loro background. Questo suggerisce che per ridurre le disuguaglianze in termini di competenze digitali, i paesi devono migliorare l’equità nell’istruzione prima.
Nella valutazione delle competenze digitali, i paesi che hanno prodotto le migliori performance sono stati Singapore, Corea, Hong Kong, Cina, Giappone, Canada e Cina (Shanghai) riflettendo i risultati dei test tradizionali, ciò indica che molte delle competenze essenziali per la navigazione on-line può anche essere insegnato e imparato utilizzando tecniche standard di apprendimento, non necessariamente digitali.
Per quanto riguarda l’Italia, nel 2012, nelle scuole il rapporto computer/studenti è di 4,1 a 1, ossia è presente un pc ogni 4 ragazzi. Solo due studenti su 3 hanno dichiarato che nella propria scuola sono presenti strumenti informatici (66,8%) e questa percentuale non è particolarmente aumentata negli ultimi anni: solo 3 punti percentuali dal 2009. Nonostante questo, risulta che gli insegnanti di matematica in Italia usino maggiormente il pc come risorsa nello svolgimento delle lezioni rispetto agli altri paesi. Il 40,4% degli studenti in Italia indica l’uso del computer nelle lezioni di matematica in misura maggiore rispetto alla media del 31,6% degli studenti dei paesi dell’OCSE.
Insomma il futuro dell’insegnamento e dell’apprendimento digitale è tutto legato ad una questione di qualità piuttosto che di mezzi.
L’Italia dovrebbe comunque accelerare gli interventi in questo ambito e investire più risorse nella diffusione delle tecnologie digitali nelle scuole. Senza una correzione, sul fronte della intensificazione degli sforzi e dei finanziamenti, l’Italia non riuscirà a recuperare i ritardi accumulati nei confronti di altri paesi europei, soprattutto del Nord Europa, come Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, ma anche extra-europei come la Turchia. Nelle condizioni attuali, ad esempio, all’Italia occorreranno altri 15 anni per raggiungere il livello della Gran Bretagna dove l’80% delle classi può già contare su strumenti didattici ed informatici. Da qui anche alcune raccomandazioni specifiche dell’OCSE come quelle relative all’opportunità di ricorrere all’utilizzo di tecnologie meno costose di quelle attualmente impiegate, di costruire delle piattaforme virtuali di scambio delle risorse digitali tra gli insegnanti, di organizzare in modo flessibile la formazione dei docenti, di assicurare un efficace monitoraggio dei risultati concreti conseguiti con tali iniziative.
Nel 2013, per richiamare un scenario che si sta concretamente costruendo in un altro paese del Nord Europa, l’Olanda, 12 scuole hanno proceduto a realizzare un progetto di radicale eliminazione di libri, quaderni e lavagne, tutti sostituiti da tablet, per sviluppare meglio nei giovani “il talento e le abilità del 21° secolo”. Il progetto, promosso dalla organizzazione olandese Education for New Era Foundation applica in queste scuole, chiamate Steve Jobs Schools, un metodo di studio che è disponibile “24 ore al giorno, sette giorni su sette, per 365 giorni l’anno”; di conseguenza ha implicato l’avvio di un’azione di coordinamento con il Ministero olandese dell’istruzione per rendere il più flessibile possibile la presenza degli alunni nella scuola, coinvolgendo anche i genitori nella decisione degli orari scolastici dei figli, offrendo un parallelo con la flessibilità richiesta e promossa sui posti di lavoro.
Nel valutare le principali tendenze evolutive che emergono in tutta l’Europa dalla crescente integrazione tra tecnologie informatiche e didattica, le autorità comunitarie (Eu Digital Agenda, marzo 2010, 2020 Vision. Report of the Teaching and Learning in 2020 Review Group) hanno sottolineato la necessità di intensificare gli interventi su alcuni punti chiave tra cui si trovano: a) il ruolo e le competenze dell’insegnante (per i quali occorrono nuovi modelli formativi, come suggerito anche dall’Oecd – Education at a glance); b) la produzione, destinata ad essere sempre più diffusa, di contenuti autoprodotti dagli utenti (per la quale occorre individuare degli standard descrittivi adeguati); c) l’apprendimento informale che studenti e insegnanti sviluppano autonomamente al di fuori delle strutture scolastiche (un valore da promuovere ma anche da ricollegare all’esperienza di apprendimento condotta dentro la scuola); d) la qualificazione del patrimonio di conoscenze ed esperienze di Ict dei genitori, per evitare il rischio di un crescente distacco, gap, tra genitori e figli in questo àmbito essenziale per la educazione e la formazione di questi ultimi.
Con ciò si entra in pieno in quelli che sono i principali problemi aperti della Media Education ed in quelli relativi al più generale àmbito d’intervento che è la Media Literacy, un termine nato nel mondo anglosassone che in italiano viene tradotto con l’espressione “alfabetizzazione” ai media.
La maggior parte delle analisi di mercato concordano nel ritenere che la richiesta di figure professionali specializzate in media education sia in aumento perché sempre di più si avverte l’importanza, sia nella scuola sia nelle iniziative formative extrascolastiche, di una adeguata educazione ai nuovi media. Quanto ai principali contenuti ed àmbiti di azione dell’attività lavorativa dell’educatore mediale essi sono individuati: nella progettazione e conduzione di laboratori specializzati, nella formazione di educatori e insegnanti in àmbito scolastico ed extrascolastico, nella consulenza ai produttori dei nuovi apparati tecnologici, nelle iniziative di animazione culturale degli Enti pubblici (ad esempio, ludoteche comunali, musei, biblioteche, ecc.) e delle organizzazioni impegnate nei processi di integrazione sociale (categorie disagiate, disabili, immigrati, ecc.), nei cosiddetti progetti di ricerca-azione. Un particolare non trascurabile sta nel fatto che all’educatore mediale è in genere richiesta, questa è una sottolineatura diffusa, una propensione e disponibilità personale a lavorare in gruppo, ad esprimere un atteggiamento aperto alla collaborazione con gli altri, elemento che corrisponde bene allo spirito di interconnettività delle reti e in genere del sistema dei media. È sufficiente anche una breve visita ai principali server di Internet per avere un’idea delle notevoli possibilità lavorative che sono aperte oggi sul mercato del lavoro agli educatori mediali; ma anche, va aggiunto, delle difficoltà di un incontro fluido e positivo tra domanda ed offerta.