Scuola, la chiusura forzata ha modificato profondamente le abitudini degli studenti e il lockdown potrebbe avere come effetto negativo l’aumento repentino degli abbandoni scolastici. Le numerose limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria agli istituti scolastici, e l’aumento di situazioni di disagio economico e familiare, impediranno il ritorno a scuola a numerosi studenti, soprattutto a quelli che hanno vissuto il lockdown non come un momento di didattica a distanza ma, di fatto, come abbandono della scuola prima del tempo.
A parecchi giorni dalla ripresa, l’incertezza su come la scuola riaprirà, e in quali modalità, è un dato di fatto. Le linee guida varate dal Ministero dell’Istruzione con le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico, hanno lasciato largo margine di decisione alle singole istituzioni scolastiche e ampi dubbi. Il 10% di alunni che non troverà fisicamente posto nelle aule non sembra turbare il Ministero, che continua a rassicurare che il 14 settembre la scuola riaprirà sicuramente.
Il Miur, nonostante permetterà ai vari istituti di gestire l’avvio del nuovo anno scolastico in piena autonomia, ha divulgato una serie di linee guida, prevedendo, ad esempio, una diversa modulazione settimanale del tempo scolastico (con l’estensione della didattica al sabato) e una frequenza scolastica in turni differenziati (alternanza di didattica a distanza e in presenza). Per evitare i classici assembramenti fuori dai cancelli, le classi entreranno scaglionate con intervalli che possono variare dai 10 ai 30 minuti; la distanza “da bocca a bocca” dovrà essere di un metro (in questo senso le scuole si stanno attrezzando con banchi monouso); gli istituti possono allestire nuovi spazi scolastici, magari utilizzando cortili o palestre. Le scuole potranno, inoltre, disporre del termoscanner per la misurazione della temperatura sia per gli studenti sia per gli insegnanti, impedendo l’accesso a chi dovesse avere una temperatura superiore ai 37,5°; e saranno predisposti test sierologici gratuiti e volontari. L’accesso alla mensa è considerato come uno dei momenti potenzialmente più pericolosi per il contagio. Ecco perché molti dirigenti scolastici stanno pensando di non riaprire le sale mensa e di permettere agli studenti di consumare il pasto in classe.
Gli esperti ritengono che il ritorno a scuola potrebbe causare una risalita dell’indice di trasmissione Rt anche di 0,3. Nel caso di una nuova ondata di Covid-19 si tornerà nuovamente a forme di didattica a distanza. L’anno scolastico appena concluso ha dovuto far ampio ricorso a questo nuovo tipo di insegnamento, con 8 milioni e mezzo di studenti e 800.000 insegnanti chiamati ad affrontare, per la prima volta, modalità di studio ed insegnamento interamente basate su sistemi informatici. La chiusura forzata ha modificato profondamente le abitudini degli studenti e il lockdown potrebbe avere come effetto negativo l’aumento repentino degli abbandoni scolastici. Le numerose limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria agli istituti scolastici, e l’aumento di situazioni di disagio economico e familiare, impediranno il ritorno a scuola a numerosi studenti, soprattutto a quelli che hanno vissuto il lockdown non come un momento di didattica a distanza ma, di fatto, come abbandono della scuola prima del tempo.
Il sistema dell’istruzione italiano continua ad essere caratterizzato da un trend negativo. Assicurare un’istruzione inclusiva e di qualità, promuovendo opportunità di apprendimento per tutti, rientra negli obiettivi dell’Onu, da conseguire entro il 2030. Tuttavia, osservando i dati forniti da Eurostat, la strada da percorrere per il nostro Paese è ancora molto lunga. Nel 2007 – come segnalava la scheda del Rapporto Italia 2018 dal titolo La dispersione scolastica: fotografia di una sfida aperta e possibile – il dato italiano relativo alla quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che avevano prematuramente abbandonato gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione, era pari al 19,5% (segnando un ritardo del nostro Paese rispetto alla media Ue). Nel corso degli anni si è registrato un lieve miglioramento, e l’incidenza del dato in Italia per il 2017 era del 14% (ancora molto alto se confrontato con il 10,6% della media Ue). Anche a livello territoriale emergevano importanti differenze: il contenimento degli abbandoni scolastici al di sotto del 10% – rispettando cioè il parametro fissato dall’Ue da conseguire entro il 2020 – era stato raggiunto con successo da Umbria, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto (il dato è relativo all’anno 2016). Il fenomeno della dispersione scolastica colpiva, infatti, più duramente il Sud del Paese, ed era diffuso soprattutto nella scuola secondaria di II grado; interessava, in misura maggiore, gli istituti tecnici e professionali. Nel 2019, nel nostro Paese, il 13,5% dei residenti tra i 18 e i 24 anni ha lasciato la scuola con la sola licenza media. Una quota che è tra le più alte in Europa, superata solo da Spagna, Malta, Romania e Bulgaria. Il fenomeno dell’abbandono scolastico interessa in Italia gli studenti stranieri (36,5%) molto di più degli italiani (11,3%), anche rispetto al resto dell’Europa. Le cause possono essere molteplici e dipendenti da fattori diversi come il contesto sociale di riferimento – soprattutto nel caso di episodi di emarginazione sociale –, la disoccupazione, le condizioni di salute o la povertà – aspetto che può incidere notevolmente in famiglie di stranieri. Ovviamente, vanno considerati anche altri fattori, più specifici e peculiari del singolo individuo, come: le difficoltà di apprendimento derivanti dalle barriere linguistiche e culturali, il rapporto con i docenti, l’impostazione del sistema educativo. È proprio la polimorfia di questo fenomeno e la molteplicità dei fattori che esso coinvolge a rendere difficile il raggiungimento di una soluzione efficace in grado di risolvere il problema.
Abbandonare la scuola prima della conclusione del percorso di studi significa incontrare maggiori difficoltà nella ricerca di un lavoro, nonché rischiare di trovarsi nelle condizioni di disagio economico e sociale che spesso sono all’origine dell’abbandono scolastico. Il mancato conseguimento di un titolo di studio di istruzione secondaria porta con sé pesanti ripercussioni, tanto a livello individuale, quanto collettivo – che si traducono in una diminuzione di competitività del sistema-Paese, con tutti i costi socio-economici che ne derivano ‒ in termini di reddito e di rischio di disoccupazione. La dispersione e l’abbandono scolastici si configurano, dunque, come fattori fondamentali che concorrono a determinare l’esclusione sociale, colpendo indistintamente giovani di entrambi i sessi con conseguenze negative ed irrimediabili sul loro futuro.
Per questo motivo tale fenomeno è spesso connesso con quello dei Neet, giovani che non si inseriscono né in un percorso di studi né di formazione. Particolarmente interessante è il fatto che ci sia stata una graduale estensione della fascia di età: da 16-18 anni si è arrivati a 15-34 anni, segno evidente del progressivo mutamento e aggravamento del problema. Come sottolineato nel Rapporto Italia 2019 – I giovani Neet in Italia –, analizzando i dati Istat si nota che la porzione dei giovani Neet in Italia è cresciuta in maniera consistente per quanto riguarda tutte le fasce d’età: anche se prima del 2007 il tasso dei Neet in Italia era già elevato (intorno al 20% nel 2010), è solo tra il 2007 e il 2014 che il numero inizia ad aumentare. Dal 2007 al 2017 si è avuto un incremento di più di 400mila giovani in questa condizione (+14,6%), passando da 2.778.995 nel 2007 a 3.184.887 nel 2017.
Secondo i dati di Eurostat nel 2018 i giovani non occupati né impegnati in corsi di formazione o istruzione erano in Italia il 28,9%. L’anno successivo, nel 2019 si è scesi al 27,8% mantenendo, comunque, una delle percentuali più alte d’Europa. Sono le donne a mostrare la percentuale più elevata in tutta Europa – fa eccezione la sola Islanda che con il 5,7% è il paese più virtuoso. In Italia si contano un 22,5% di uomini e un 33,2% di donne. Nell’Ue la quota dei Neet è passata dal 16,6% del 2008 (anno dell’inizio della crisi economico-finanziaria) al 18,7% dell’anno successivo, segno di come il fenomeno sia strettamente legato all’andamento economico globale. Successivamente, il tasso è continuato a salire, ma più lentamente, fino a raggiungere il picco del 20,5% (2013). Nel 2019 si è arrivati ad un tasso di Neet in Europa pari al 16,4%, percentuale che è tornata ai livelli pre-crisi del 2008, mostrando un evidente miglioramento. Con i numeri record che stanno caratterizzando oggi, a seguito della pandemia da Covid-19, l’economia e i mercati mondiali, si rischia di tornare ai numeri della crisi del 2008 (o anche peggio). La percentuale dei 20-24enni è rimasta sistematicamente inferiore rispetto al tasso relativo ai giovani di età compresa fra i 25 e i 29 anni o fra i 30-34 anni durante l’intero periodo 2008-2019. Questo andamento riflette, probabilmente, l’inclinazione della fascia di giovani 20-24enni a proseguire un percorso di studi o di formazione. Si può comunque dire con certezza che un’intera generazione di giovani dell’Ue è tagliata fuori dal mercato del lavoro e potrebbe rimanere in questa condizione se non vengono immediatamente adottate misure di contrasto. A livello macroeconomico tutto questo si traduce in una considerevole perdita in termini di capacità produttiva inutilizzata e, quindi, nella perdita di competitività del sistema-paese. L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha rimesso in discussione un sistema di per sé già abbastanza precario. Se, come mostrano i dati, l’Italia ha fatto dei progressi in questi ultimi anni in tema di dispersione scolastica e riduzione dei Neet, la pandemia ha gettato nuovamente nel caos il mondo del lavoro e dell’occupazione giovanile e sarà inevitabile ritrovarsi con numeri negativi in costante crescita.
A settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, bisognerà mettere in pratica in maniera concreta una politica scolastica che sia in grado di colmare quel senso di estraneità, quella perdita di stimoli che spesso investe la sfera cognitiva dei giovani studenti. Bisognerà ricreare quegli spazi di aggregazione di cui la scuola vive – e che sono venuti meno con l’emergenza sanitaria – e che spesso rappresentano per i ragazzi l’unica ragione per continuare a frequentare la scuola. Ancora oggi, tuttavia, siamo ben lungi dal raggiungimento di questi obiettivi; eppure non possiamo più rimandare.