Viaggio di uno yankee in Italia

Una delle questioni non risolte che accompagnano l’Italia sin dall’Unità nazionale, è quella della Giustizia. In un interessante pamphlet dal titolo non banale di Lettere di uno yankee sulla terza Italia, l’autore svolge una requisitoria accanita sulle «Istituzioni antiquate» e sui «cattivi ordinamenti» che oltre a deprimere la vita civile «multano qualunque forma d’energia e di lavoro». Nella rubrica “Metafore per l’Italia”, pubblichiamo un’altra riflessione del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, estratta dal libro La Repubblica delle Api.

«Una delle questioni non risolte che accompagnano l’Italia sin dall’unità nazionale, è quella della Giustizia. Nel suo pregevole saggio, L’Italia Nuova, Silvio Lanaro, ricostruendo i percorsi e lo sviluppo dell’Italia dal 1861 al 1988 riprendeva, riportandolo di fatto alla luce, un interessante e lungo pamphlet, pubblicato nel 1911, dal titolo non banale di Lettere di uno yankee sulla terza Italia. L’autore, Federico Garlanda, travestendosi da viaggiatore americano svolge una requisitoria accanita, anche se garbata nello stile, sulle «Istituzioni antiquate» e sui «cattivi ordinamenti» che oltre a deprimere la vita civile «multano qualunque forma d’energia e di lavoro». Nota il “viaggiatore” americano che «l’amministrazione della giustizia versa in uno stato deplorevole». La mancanza del «giudice di polizia», caratteristica delle giurisdizioni anglosassoni, «fa sì che venga accumulata nelle cancellerie dei tribunali una quantità enorme di incartamenti, di processi, molto spesso di nessuna importanza, per non dire puerili. Gli uffici d’istruzione devono esaurire l’opera loro in pratiche lunghissime, che non di rado si chiudono con proposte di non luogo a procedere, o per inesistenza del reato o per mancanza e insufficienza di indizi». Il viaggiatore mette sotto accusa la «mania della codificazione», la pessima abitudine di contenere le norme sul giusto e sull’ingiusto in un corpus speciale «che tutto contempla e tutto disciplina e impedisce quella nomenclatura elastica delle figure di reato – sensibile ai cambiamenti del costume, della vita quotidiana, del commercio, dell’industria – che è possibile solo nei regimi in cui la giurisprudenza ha praticamente valore di legge». «All’Italia – scrive sempre il viaggiatore – sarebbe soprattutto adatto il sistema giudiziario inglese: soppressione dei tribunali inutili, istituzione del giudice unico distrettuale, pochi giudici circondati d’altissimo prestigio, inamovibili, con lautissimi stipendi». Con tali misure si risponderebbe sicuramente agli inconvenienti di una prassi giudiziaria dove «le pene sono più gravi per i reati contro la proprietà che per quelli contro le persone» e forse anche si combatterebbe meglio quella «vasta cospirazione che è oggi la mafia» e che «vive e impera nei centri popolosi non meno che nelle campagne».

Dal 1911 ad oggi molte cose sono cambiate nel nostro Paese, ma la denuncia del “viaggiatore” americano continua a conservare una sorprendente attualità anzi, senza grande timore di essere smentiti, si potrebbe affermare che, nel frattempo, le cose siano, per certi aspetti, addirittura peggiorate. Non vi è dubbio che, essendo dal 1911 cresciuta la popolazione italiana, in proporzione siano anche aumentate le pratiche in “attesa”. Così come, passando dalla mera contabilità di fascicoli e faldoni, agli altri problemi segnalati dall’attento viaggiatore, non si può non osservare come il passare degli anni sia riuscito a mantenere inalterata l’attualità di tante questioni “urgenti”. Il corpus che spaventava lo yankee non è dimagrito: anzi, strato dopo strato, è riuscito a crescere talmente tanto da affidarci il poco invidiabile primato per produzione di leggi e leggine, la cui quantità ormai sfugge anche ai più attenti esperti di contabilità».
(1998)

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