Gli Stati Uniti hanno sempre rappresentato la propria contrarietà all’introduzione di una misura unilaterale, da parte dei vari Stati europei, sulla tassazione delle imprese digitali. La linea americana è quella di soprassedere all’applicazione di una web tax fino a quando non sia stato raggiunto un accordo globale a livello Ocse.
Nell’ambito del confronto tra esperti G7, per facilitare una sintesi tra le diverse visioni dei principali paesi europei e quella degli Usa, sono state avanzate delle proposte, poi presentate nell’ambito del BEPS Inclusive Framework: una proposta del Regno Unito, che mira a modificare le regole di allocazione dei profitti delle imprese dell’economia digitale, i cui modelli di business includono una partecipazione attiva degli utenti (per esempio, motori di ricerca, social media e online marketplace). Una proposta degli Usa, che mira a modificare le regole allocative dei profitti non solo realizzati dalle imprese digitali, ma in tutti i casi in cui gli stessi derivino dall’utilizzo di “market intangibles” (per esempio, avviamento commerciale, marchi). I profitti riconducibili a tali beni immateriali sarebbero dunque attribuiti alle giurisdizioni di sbocco, sulla base di un meccanismo di attribuzione che tenga conto dei costi e delle vendite in tali giurisdizioni, derogando alle attuali regole internazionali vigenti in materia di prezzi di trasferimento, che tengono conto delle funzioni svolte e dei rischi assunti dalle diverse entità costituenti un gruppo multinazionale. Tale proposta è del resto coerente con quanto era stato originariamente proposto dai repubblicani nel corso delle discussioni che hanno preceduto la riforma fiscale americana, ossia un sistema di tassazione destination-based (che avrebbe tassato le importazioni ed esentato le esportazioni), tuttavia non implementato nella tax reform adottata alla fine del 2017 per l’opposizione interna di parte del settore industriale americano, oltre che per le reazioni negative della comunità internazionale riconducibili alla possibile violazione delle regole sul commercio mondiale.
C’è poi una proposta franco-tedesca, non mirata specificamente all’economia digitale, ma che intende assicurare una tassazione minima effettiva dei profitti, in modo da contrastare lo spostamento di profitti in giurisdizioni a bassa tassazione. Tale proposta si compone di tre elementi:
regola di inclusione del reddito: tutti i redditi derivanti da un’impresa collegata nell’ambito di un gruppo sarebbero tassati secondo le regole (e con l’aliquota) della giurisdizione di residenza del soggetto controllante/collegato quando nella giurisdizione dell’impresa collegata vi è una tassazione inferiore ad un certo livello;
non deducibilità dei pagamenti verso giurisdizioni a bassa tassazione: non sarebbero deducibili nel paese della fonte i pagamenti effettuati in favore di soggetti correlati, localizzati in giurisdizioni che prevedono una tassazione inferiore ad una certa soglia;
rafforzamento della “subject-to-tax rule”, negando i benefici dei trattati contro le doppie imposizioni nel caso in cui i redditi esteri o i pagamenti transfrontalieri non siano assoggettati a un livello minimo di tassazione.
Di recente si è aggiunta anche un’ulteriore proposta del G24 Working Group (elaborata, a livello tecnico, da Colombia, India e Ghana), che mira ad identificare un nuovo presupposto di tassazione nella presenza economica significativa (significant economic presence) nella giurisdizione del mercato di sbocco, che si avrebbe quando un’impresa non residente, senza presenza fisica, è in grado comunque di interagire con i clienti in una giurisdizione di mercato. L’allocazione dei profitti si baserebbe su alcuni fattori quali il numero dei clienti/utilizzatori, il volume dei dati raccolti e indicatori quali i siti in lingua locale o l’utilizzo di valuta locale.
Tutte proposte che, a prescindere da quale sia migliore o peggiore, rappresentano comunque un notevole passo avanti rispetto alla situazione attuale, ormai davvero non più sostenibile.
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