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Zone Economiche Speciali (o ZES): cronaca di una misura (in)adeguata

di
Andrea Purpura

Il progresso è crescita. Ma non c’è crescita senza ordine. E, in assenza di ordine, non può esistere alcuna seria programmazione, sia questa di natura politica, economica, finanziaria o fiscale.
L’istituzione di zone economiche speciali (o ZES) rappresenta una grande occasione di progresso e di crescita per l’economia del Mezzogiorno. Tuttavia, si tratta di una opportunità nata senza tenere in debita considerazione le peculiarità territoriali – logistiche ed infrastrutturali – delle aree in cui le stesse zone speciali sorgeranno.
In questa prospettiva, possiamo dire sin da subito che le zone economiche speciali siano, senza dubbio alcuno, misure potenzialmente predisposte ad incidere significativamente sulle aree destinatarie dei provvedimenti. Tuttavia, si tratta di misure che, “in concreto”, troveranno difficoltà applicative, sortendo effetti meno incisivi rispetto a quanto si fosse sperato.
Le zone economiche speciali (o ZES) hanno trovato vita all’interno del nostro ordinamento giuridico in tempi relativamente recenti, attraverso la formulazione, e successiva introduzione, del decreto legge del 14 dicembre 2018, n. 135 (o Dl “Semplificazioni”). Nel caso in cui volessimo dare una definizione di quel complesso meccanismo che costituiscono, potrebbe dirsi che esse siano aree economiche costituite presso zone regionali a bassa crescita economica ed occupazionale al fine di facilitare l’insediamento di nuove strutture imprenditoriali attraverso il riconoscimento di significative agevolazioni di natura perlopiù finanziaria, infrastrutturale, amministrativa e fiscale.
Sotto il profilo tributario, il beneficio fiscale riconosciuto a coloro i quali intendano sfruttare le ZES infraregionali è quello del credito d’imposta. In termini più tecnici, il credito d’imposta sarà calcolato ad esito d’una commisurazione alla quota del costo complessivo dei beni acquisiti entro il 31 dicembre 2020 nel limite massimo, per ciascun progetto di investimento, di 50 milioni di euro. Inoltre, a fronte della fruibilità del beneficio di cui sopra, rimane ferma la possibilità di accedere a tutti i diversi incentivi che lo Stato e le Regioni mettono a disposizione delle imprese, come ad esempio i contratti di sviluppo o il fondo per il rilancio delle aree di crisi industriale, sempreché siano rispettati i limiti in tema di “aiuti di Stato”.
Andando al di là rispetto ai tecnicismi propri della misura, si vuole richiamare l’attenzione in merito a due profili che prescindono dai meri tecnicismi del provvedimento che ha formalizzato l’avvio delle zone economiche speciali. In primo luogo, non sono in discussione la bontà del provvedimento applicativo delle ZES e l’obiettivo che il legislatore intenderebbe conseguire con l’introduzione di dette misure agevolative. Questi interventi, infatti, traendo proprio fondamento dalla straordinaria necessità ed urgenza di introdurre nuovi strumenti volti a sostenere la crescita economica ed occupazionale delle regioni del Mezzogiorno, anche attraverso l’individuazione di misure incentivanti per i giovani imprenditori, nonché nuovi strumenti di semplificazione volti a velocizzare i procedimenti amministrativi funzionali a favorire la crescita economica nelle regioni del Mezzogiorno e la coesione territoriale, rappresentano uno strumento unico di sostegno e di crescita nelle zone più arretrate del sistema-Paese.
In questa prospettiva, l’adozione di un provvedimento volto ad agevolare l’insediamento di nuove attività d’impresa in zone, come quelle meridionali, aree afflitte da un’ormai cronicizzata crisi economica ed occupazionale, non può che essere accolta con favore. Allo stesso tempo, però, è necessario evidenziare una considerazione ulteriore e di ordine critico. L’istituzione di Zone Economiche Speciali, pur costituendo un’occasione unica, e da sfruttare, di rilancio delle “attività produttive” (latu sensu intese) del Mezzogiorno, rappresenta una misura ancora insufficiente.
Questa affermazione trova conferma nella semplice lettura del testo del decreto, ove sembra emergere un modo di concepire il “sistema economico” (nel caso delle ZES, regionale) come un insieme di scomparti frammentati e privi di connessioni. Predisporre una misura volta ad implementare, irrobustire ed attrarre nuove risorse produttive in territori, come quelli del Mezzogiorno, non può prescindere, infatti, da un rafforzamento dell’apparato logistico ed infrastrutturale di cui le stesse aziende già presenti in loco – o di nuova attrazione – dovranno servirsi.
Ad un provvedimento ad impatto economico significativo come l’istituzione delle Zone Economiche Speciali devono necessariamente affiancarsi, ad esempio, politiche di efficientamento dei trasporti infra ed extra regionali. Si pensi, per tutti, al compartimento stradale e ferroviario siciliano. O ancora, si pensi alle enormi potenzialità portuali del medesimo territorio. La crescita economica di una regione, infatti, passa necessariamente da un governo sistemico. Serie politiche di sviluppo impongono l’adozione di misure volte ad interagire e rinforzare il sistema produttivo a trecentosessanta gradi. Viceversa, qualunque altro provvedimento dovrà considerarsi soltanto un’ennesima toppa, eccessivamente minuta se vista in relazione all’ampiezza del foro da coprire.

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