America First, ma non più Alone 

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Primo appuntamento con la rubrica mensile “Briefing”, una nota a cura dell’Osservatorio sui Temi Internazionali dell’Eurispes, presieduto dall’Ambasciatore Giampiero Massolo.

Analisi

Le conseguenze delle elezioni americane si sviluppano su tre tempi: la transizione (l’immediato); le prime fasi dopo l’insediamento (breve termine); l’intero mandato (medio termine).

Nell’immediato, non è da sottovalutare l’incertezza dovuta all’annunciata battaglia legale, pur nell’improbabilità di un suo ribaltamento dell’esito elettorale. Le diverse reazioni internazionali a questa transizione senza precedenti sono già un elemento rilevante, perché impostano il tono delle relazioni con la nuova amministrazione.

Le prime fasi del mandato avranno come priorità la politica interna, sia per l’ulteriore esasperazione delle polarizzazioni dovute alla transizione, sia per la tradizionale inclinazione dei Democratici a essere più concentrati dei Repubblicani sulla sfera domestica. La politica estera sarà probabilmente relegata in secondo piano e nella sostanza non ci si aspetta grande discontinuità, eccezion fatta per l’inversione di rotta sul clima e il rientro degli USA negli Accordi di Parigi. Sin da subito, invece, è prevedibile un netto cambiamento di toni e metodi della diplomazia americana. Con uno shift dall’esplicito transazionismo trumpiano, a uno stile più tradizionale e più attento (almeno nella forma) a questioni valoriali: democrazia e diritti umani in primis. Con conseguenti atteggiamenti più distesi nei confronti degli alleati storici, a partire dall’Europa. In particolare, con Bruxelles potrebbe essere alle viste una de-escalation delle tensioni commerciali; più difficile che le cause strutturali scompaiano: il caso Boeing v. Airbus, i dazi nel settore siderurgico e la digital tax sono alcuni dei principali dossier che rimangono sul tavolo.

La politica estera americana cambierà, dunque, volto: più “gentile” e aperto al dialogo, ma la sua postura resterà sostanzialmente invariata.

Questa considerazione si applica anche al terzo tempo, cioè al mandato nella sua interezza.

I trend strutturali dell’era Trump rimarranno. La great power competition con la Cina continuerà a dominare le relazioni internazionali, mentre tra i rischi principali si profila all’orizzonte una weaponization delle relazioni economiche internazionali. Quella di Biden sarà sempre America First, ma non più America Alone: egli cercherà di usare le alleanze storiche, a partire da quella transatlantica, per esercitare maggiore pressione sulla Cina.

Da non escludere una sempre più marcata accezione ideologica della competizione sino-americana – democrazia contro autocrazia: un elemento di rischio aggiuntivo, essendo gli scontri ideologici, per definizione, a somma zero.

Il Pivot to Asia e il graduale disimpegno dal MENA (Medioriente e Nord Africa) avviato già da Obama proseguiranno, anche se in maniera più ordinata. Se la riapertura del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) pare alquanto improbabile – più probabili invece dei passi in avanti su accordi specifici e settoriali – maggiori sono le chance per la Trans Pacific Partnership (TPP), per un suo minore impatto sui lavoratori americani e per il suo ruolo in chiave anti-cinese. Non ci si può, però, attendere un ritorno alla globalizzazione indiscriminata dell’era pre-Trump: le grandi disuguaglianze prima e la pandemia poi hanno ricordato che l’apertura deve andare di pari passo con una protezione strategica, dei propri cittadini, dei propri sistemi economici, del proprio interesse nazionale.

Cambierà di più, invece, la postura nei confronti della Russia, verso la quale ci si aspetta un atteggiamento più deciso di Biden, anche se Mosca non tornerà a essere il rivale principale di Washington come con Obama.

Infine, l’epoca Trump potrebbe rappresentare, per alcuni capitoli, l’“alibi perfetto” per considerare alcune scelte, come irreversibili. Ne sono un chiaro esempio il mantenimento dell’ambasciata americana in Israele nella città di Gerusalemme e la maggiore pressione verso gli alleati NATO per adempiere ai propri impegni. Chiara dimostrazione che i presidenti possono cambiare, ma l’interesse nazionale resta.

Che cosa significa per l’interesse nazionale italiano?

Data la situazione, l’Italia ha l’opportunità di affermare il proprio interesse nazionale a vari livelli: multi/plurilaterale, regionale attraverso l’UE e bilateralmente con gli USA.

  • Multi/plurilaterale: per l’imminente Presidenza italiana del G20, non è trascurabile l’incertezza legata alla transizione presidenziale. Al tempo stesso, il ruolo italiano nel prossimo G20 offre l’opportunità di ricompattare l’Occidente attorno a un metodo plurilaterale che, almeno tra alleati, può essere a somma positiva. Vale per le grandi sfide globali (clima, commercio, tecnologia, ecc.) e per la competizione sino-americane, ma anche per l’urgente bisogno di rifondare il multilateralismo: l’asse transatlantico non deve disimpegnarsi dalle istituzioni multilaterali, ma deve rafforzarne il presidio per riformarlo ed evitare che il vuoto sia riempito da altri.
  • Regionale/UE: l’Italia, paese fondatore dell’UE e tradizionale amico degli USA, può contribuire a colmare il vuoto lasciato dal Regno Unito e diventare tra i principali interlocutori di Washington per mediare sui dossier fondamentali della relazione UE-USA. Ma non facciamoci illusioni, la generalizzata maggiore attenzione al dialogo che ci si attende dalla nuova amministrazione USA di per sé non solleva il nostro paese, e l’UE in generale, dall’esigenza di prendere il proprio destino nelle mani, di fare la propria parte di “compiti a casa”.
  • Bilaterale: il graduale e ordinato disimpegno USA dall’area MENA si dovrà appoggiare su interlocutori credibili e affidabili. L’Italia ha l’opportunità di ribadire la sua scelta transatlantica, posizionandosi, per geografia e per la presenza in varie forme nella regione, come il principale partner per l’area.

La nota è disponibile anche in inglese https://www.leurispes.it/america-first-but-no-longer-alone/

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