Europa e Cina con lo sguardo verso l’Asia Centrale, area di scontri geopolitici ma anche, e sempre di più, mercato economico in scesa verso il quale si stanno direzionando cospicui investimenti internazionali.
Quando si parla di Asia Centrale si fa riferimento alle repubbliche post-sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan la cui analisi spesso comporta l’inclusione anche di Afghanistan e della Repubblica Islamica dell’Iran per motivi di natura geopolitica e storico-culturale. La regione, a seguito della caduta dell’Unione Sovietica, ha attratto sempre più interesse a livello internazionale per la sua posizione strategica e per le risorse naturali ed energetiche di cui dispone.
L’Asia Centrale è sempre stato territorio di contesa e scontro da parte dei grandi imperi e delle grandi potenze dall’epoca antica fino alla contemporaneità perché inserita all’interno del grande scacchiere geopolitico dell’Eurasia il cui controllo, come affermato da Sir Alford Mackinder nella sua teoria dell’Heartland (“cuore della Terra”), permette di dominare il cuore della Terra e così i destini del mondo.
L’idea di governare il mondo attraverso il controllo della regione centroasiatica era viva anche durante l’era dei grandi imperi sovrannazionali quando la Russia zarista e la Corona britannica si fronteggiarono in uno scontro interpretato dagli storici dell’epoca come una contrapposizione tra il colonialismo britannico etichettato come “liberale” e quello zarista caratterizzato dalla volontà di allargare i propri confini attraverso l’espansione militare e la corruzione dei potenti locali.
Durante la Guerra Fredda Zbigniew Brzezinski, politologo statunitense e consigliere per la sicurezza nazionale nella presidenza di Jimmy Carter, aveva individuato nella regione euroasiatica, e quindi nell’Asia Centrale, uno degli obiettivi della politica estera della Casa Bianca.
La partita che si è giocata nel XX secolo nella regione ha visto lo scontro tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, eredità raccolta oggi da Mosca e Washington a cui si è aggiunto un terzo attore emergente, Pechino.
Per la Federazione Russa, l’Asia Centrale può essere considerata come “Blizhnee Zarubezhe” o “Vicino Estero” perché dal punto di vista storico è stata parte integrante dell’Impero zarista e dell’Unione Sovietica. Come affermato da molti analisti statunitensi, a seguito della caduta dell’Urss il Cremlino ha sempre cercato di esercitare la propria influenza nella regione attraverso il mantenimento e l’apertura di nuove basi militari e facendo perno su un passato storico comune riscontrabile facilmente nella larga diffusione della lingua russa e anche nella presenza di una minoranza russa considerevole nell’area. All’aspetto militare, politico e culturale si deve unire quello economico rappresentato dall’Unione Economica Euroasiatica (UEE), organizzazione che mira a creare un mercato economico comune e che vede tra i partecipanti la Russia, il Kazakistan e il Kirghizistan (insieme anche a Bielorussia e Armenia) con la possibile partecipazione del Tagikistan, il cui obiettivo finale potrebbe essere quello di imporre il rublo come moneta principale dell’intera regione centroasiatica in modo da contrastare il peso internazionale del dollaro.
Gli Stati Uniti sono stati coinvolti in Asia Centrale durante la Guerra Fredda dove hanno affrontato l’Unione Sovietica spingendo Mosca ad intervenire in Afghanistan e intrappolandola in un lungo conflitto (1979-1989) che sottolineò lo stato di decadenza della potenza militare sovietica e fu il preambolo, insieme a perestroika e glasnost, del crollo dell’Urss. Sin dall’indipendenza delle repubbliche centroasiatiche post-sovietiche, conosciute anche come “gli Stan-countries”, Washington ha cercato di giocare un ruolo primario e decisivo nella regione attraverso la diplomazia e lo sviluppo di una rete di organizzazioni non governative e umanitarie che facilitassero la diffusione dell’American Dream e degli ideali del capitalismo e del liberalismo che avrebbero dovuto fare da contraltare al passato sovietico. Anche se la Nato ha chiuso il suo ufficio di collegamento a Tashkent in Uzbekistan nel 2017, Washington è ancora impegnata nella guerra in Afghanistan e vuole preservare la sua presenza militare e il suo peso diplomatico nell’area come deterrenza contro la Federazione Russa, l’Iran e la Cina.
La Repubblica Popolare Cinese con la Nuova Via della Seta, strategia lanciata da Pechino nel 2013, sta assurgendo al ruolo di paese leader nell’area grazie ai cospicui e continui investimenti volti a favorire la stabilità regionale e il finanziamento di progetti di sviluppo socioeconomico. La Cina è legata alla regione grazie anche all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che vede al suo interno, come membri, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, il cui intento è quello di favorire e migliorare la sicurezza regionale e la cooperazione economica e culturale.
L’Unione europea ha provato a momenti alterni a interagire con i paesi centroasiatici e recentemente ha ribadito il proprio impegno in Asia Centrale come si evince dal documento The EU and Central Asia: New Opportunities for a Stronger Partnership adottato dalla Commissione Europea e dalla volontà più volte espressa dai vari rappresentanti europei di rendere Bruxelles maggiormente partecipe e attiva nelle dinamiche regionali. L’Ue ha, infatti, sottolineato la «relazione di lunga data basata su forti interessi reciproci» con Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
Bruxelles sta, dunque, cercando di espandere la propria rete di partner commerciali e diversificare le importazioni di energia: l’Asia Centrale potrebbe divenire una regione target nella strategia energetica europea essendo ricca di petrolio e gas naturale. Durante gli anni Novanta divenne popolare l’idea di sviluppare il Gasdotto Transcaspico (TCP) che avrebbe dovuto trasportare gas naturale dal Turkmenistan e dal Kazakistan ai paesi membri dell’Ue aggirando sia la Russia che l’Iran.
Al TCP fa da contraltare il gasdotto TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India), conosciuto anche come il Gasdotto Trans-afghano, sostenuto dalla Banca dello Sviluppo Asiatico, che prevede il trasporto del gas naturale turkmeno fino in India. Per tutto lo scorso anno si sono susseguite notizie che parlavano di un interesse cinese per il TAPI con l’obiettivo di Pechino di sfruttare il gasdotto come progetto energetico integrante della Nuova Via della Seta.
Indubbiamente, l’Asia Centrale è un mercato economico ed energetico in rapida ascesa verso il quale si stanno direzionando gli investimenti di potenze internazionali e compagnie straniere operanti in diversi settori e una regione strategicamente importante che continuerà sempre ad attirare gli interessi delle potenze mondiali e a subirne le influenze a livello politico e socioeconomico. Se da un lato, il mercato centroasiatico denota di avere grandi potenzialità e di essere volenteroso di attrarre investimenti diretti stranieri (FDIs) e società estere pronte a condividere il proprio know how in progetti di joint venture (e l’Italia potrebbe essere positivamente interessata a questo), dall’altro lato, la regione presenta delle criticità che non possono essere sottovalutate.
Una di queste è il problema della sicurezza che ha visto fin dagli anni Novanta la regione centroasiatica essere coinvolta nel processo di radicalizzazione che ha favorito la nascita di diversi gruppi armati connessi con il network del terrorismo internazionale e l’esecuzione di attentati ai danni di obiettivi militari e civili. La gestione dell’Afghanistan è, quindi, fondamentale per diminuire la presenza jihadista nell’area: infatti, come dimostrato dagli attentati contro i consolati cinesi di Bishkek (Kirghizistan) nel 2016 e Karachi (Pakistan) nel 2018, spesso il coinvolgimento economico di un attore internazionale rischia di minarne la sua sicurezza con ripercussioni sia all’interno del paese che nei confronti delle proprie strutture e dei propri interessi in tutta l’Asia Centrale.
La Nuova Via della Seta e i copiosi investimenti cinesi potrebbero migliorare la situazione socioeconomica dell’intera regione centroasiatica caratterizzata dalla convivenza di diversi gruppi etnici, che in alcune aree ha raggiunto un livello di crisi prossimo allo scontro, diminuendo così il processo di reclutamento da parte dei gruppi jihadisti e l’impatto della propaganda del terrorismo. La strategia di interconnessione cinese sembrerebbe aver giovato alla stabilità regionale riuscendo ad appianare le diverse problematiche di gestione dei confini sorte tra le repubbliche centroasiatiche; la prossima sfida potrebbe essere quella di regolare l’approvvigionamento idrico che contrappone Tagikistan e Kirghizistan a Kazakhistan, Turkmenistan e Uzbekistan per la gestione di corsi fluviali principali come l’Amu Darya e il Syr Darya da cui dipende l’agricoltura di questi paesi.
L’Asia Centrale è sicuramente un teatro di scontro geopolitico, però presenta opportunità di investimento ed economiche importanti che non possono essere tralasciate dai paesi europei, in special modo dall’Italia, perché l’intero mercato centroasiatico è connesso con quello dell’Ue e con quello cinese e al suo interno presenta infrastrutture e agevolazioni economiche in grado di favorire gli scambi e la presenza di realtà estere con un rischio di impresa significativo bilanciato, però, da un livello di profitti e di operatività commerciale elevato. Essere estromessi o vivere in una posizione marginale nel mercato centroasiatico sarebbe dunque un errore. L’Asia Centrale ha il potenziale per emergere nel sistema economico e commerciale mondiale e divenire un’area strategicamente fondamentale per la Nuova Via della Seta a cui la stessa Italia si è legata con il recente Memorandum di Intesa firmato dall’attuale Governo Conte e a cui lo Stato italiano guarda per migliorare le proprie esportazioni.
Giuliano Bifolchi è co-fondatore dell’Associazione di Studio, Ricerca e Internazionalizzazione in Eurasia ed Africa (ASRIE) e analista geopolitico specializzato nel settore sicurezza, conflitti e relazioni internazionali.