La gestione della pandemia da Covid-19, e della relativa emergenza sanitaria, ha stravolto il nostro presente nelle relazioni sociali ed economiche, imprimendo una deviazione straordinaria dal sentiero evolutivo che avevamo seguito nel passato. È altamente probabile che gli effetti di questa pandemia cambieranno anche il nostro futuro, anche se non è ancora chiaro in che misura e con che diffusione.
Le economie di tutto il mondo stanno accusando il colpo di un profondo shock negativo d’offerta che comprime il prodotto potenziale di ciascuna, in primo luogo come conseguenza delle misure restrittive a tutela della salute pubblica. Questo shock d’offerta è per natura transitorio, ma le conseguenze nefaste che rischia di produrre (e che già stiamo cominciando ad osservare) si alimentano del circolo vizioso che si innesta quando esso attiva anche un profondissimo shock negativo di domanda, che comprime i redditi e il prodotto ben al di sotto di un già minore potenziale.
Questa seconda dimensione del meccanismo di trasmissione economico della pandemia rischia di mettere in ginocchio per lungo tempo le economie del pianeta, in assenza di una efficace risposta di politica economica, che caratterizzi non solo la gestione dell’emergenza corrente, ma accompagni e favorisca la transizione verso “la nuova normalità” che emergerà in seguito.
Il futuro che possiamo aspettarci, in particolare per il nostro Paese, sarà determinato in gran parte da tale risposta.
L’economia italiana risente, infatti, di un passato di persistente stagnazione nella dinamica della produttività, che inevitabilmente ha alimentato la grande fragilità della nostra finanza pubblica. Tale fragilità marca la profonda differenza che distingue il nostro presente da quello di molte economie avanzate, nella capacità di mettere in campo autonomamente una risposta fiscale sufficientemente forte da proteggere il sistema dagli effetti temporanei dello shock d’offerta e limitare gli effetti persistenti del doom loop con la domanda. E la schizofrenia nel dibattito pubblico europeo su quali misure mettere in campo, come finanziarle, quale grado di condivisione del rischio introdurre, riflette in gran parte questa differenza.
A prescindere, tuttavia, dai dettagli sugli strumenti che verranno adottati per finanziare gli interventi a protezione del sistema produttivo, è bene non nascondersi dietro un dito: la crisi economica conseguente alla pandemia sarà profonda, e il costo degli interventi necessari a contenerne gli effetti, rilevante. Questo costo dovremo sostenerlo tutti, nel futuro, in un modo o nell’altro. Gli eventuali trasferimenti impliciti in alcuni degli strumenti in discussione oggi non renderanno comunque trascurabile la quota di costo che dovremo assumere in prima persona, come Paese.
Il passaggio che sembra cruciale, allora, per comprendere la direzione che deve necessariamente prendere il nostro futuro, è che, anche a prescindere dall’efficacia degli interventi sulla domanda (in particolare una volta terminata l’emergenza sanitaria), la distruzione di produzione che si sta consumando nel periodo di lock-down è permanente. La torta che siamo in grado di sfornare è oggi ancora più piccola. Ed è dalla capacità di farla lievitare nel futuro che dipenderà la nostra resilienza, come Paese e come economia avanzata, alla più grande crisi globale in tempi di pace.
Mentre in tempi normali il debito emesso è sostenuto dall’impiego produttivo delle risorse prese a prestito, infatti, in questa crisi la natura degli interventi da finanziare a debito è principalmente quella dei trasferimenti, che, seppur indispensabili a proteggere il sistema durante il lock-down, sono in gran parte improduttivi, nell’immediato. Per sostenerne il costo, dovremo quindi necessariamente ricorrere alla nostra capacità di generare valore nel futuro, in misura ancora maggiore rispetto a quello che avremmo comunque dovuto generare per sostenere i nostri attuali standard di vita, pur in assenza della pandemia.
Sarà necessario quindi, più che mai, che il nostro futuro sia caratterizzato da un profondo sforzo di tutti gli attori in gioco (pubblici e privati) affinché ogni euro a disposizione sia speso nelle attività a maggiore valore aggiunto. La spesa improduttiva sarà, anche più che in passato, veleno letale nel nostro sistema circolatorio.
Sarà necessario che il settore privato sia in grado di cogliere finalmente non solo le sfide della modernità che conosciamo già, ma anche di interpretare “la nuova normalità” in cui vivrà il pianeta all’indomani di questa crisi, e di cogliere le tante opportunità che pure ne deriveranno.
Sarà necessario che il settore pubblico costruisca finalmente le condizioni che favoriscono e promuovono questa vitale attività del settore privato. Che riconosca i settori in cui il suo stesso intervento diretto può essere ad elevato valore aggiunto. Che indirizzi l’impiego delle proprie risorse verso la dotazione di quelle strutture (fisiche, tecnologiche e istituzionali) necessarie alla resilienza del sistema contro shock di questa natura, che è del tutto ingenuo immaginare che non faranno parte del nostro futuro. Che favorisca l’accumulazione e la valorizzazione del principale fattore produttivo in grado di generare una crescita di lungo termine che sia sostenibile, in tutti i sensi in cui questo termine è oggi rilevante (economico, sociale, ambientale, sanitario): il capitale umano.
Non sono ricette nuove, a ben guardare. Ma, se finora possono essere sembrate scelte “semplicemente” auspicabili, oggi appaiono sempre di più come una strada obbligata per la nostra stessa sopravvivenza come Paese avanzato. E perché il nostro futuro sia non solo migliore del nostro difficile presente, ma anche e soprattutto del nostro asfittico passato recente.