Coronavirus, le misure anti-crisi dimenticano i consorzi ASI. Giosy Romano: “Agevolare il credito”

Quando a mezzanotte del 21 marzo, il Presidente del Consiglio firmò il Dpcm che stabiliva la sospensione delle attività produttive industriali e commerciali non essenziali, tra milioni di lavoratori scese il panico.
In un elenco venivano indicate quelle aziende che potevano andare avanti, mentre il fantasma della cassa integrazione si materializzava. L’Europa nei giorni successivi ha cercato di dare il suo sostegno ma molte, ancora troppe, sono le realtà industriali che, alla fine della pandemia, rischiano di non esserci più. La crisi che ha viaggiato parallelamente sui binari della imprevedibilità e dell’incertezza ha generato il caos, anche nella risposta agli Sos di alcuni comparti industriali addirittura dimenticati.
Un esempio, tra tutti, quello dei consorzi industriali nelle aree di sviluppo, in particolare quelli che operano nelle regioni del Centro-Sud. A fare da portavoce di queste criticità è stata la Cise, Confederazione italiana per lo sviluppo economico, che ha sollecitato un intervento urgente del Governo e del Mise.
È ormai molto probabile che la data per la riapertura graduale delle attività industriali, non sia dopo Pasquetta ma alcune settimane più avanti; a quel punto, la macchina della intera filiera produttiva italiana sarà ferma da più di un mese.
Secondo l’Ufficio studi di Confindustria con la chiusura del 70% delle aziende per coronavirus si perdono fino a 100 miliardi dei 150 che rappresentano la quota mensile del Pil italiano che è di circa 1.800 miliardi.
Con questi dati allarmanti la ripresa non è temporalmente prevedibile.
Per le aziende non sarà solo questione di girare un interruttore e accendere la luce e ripartire.
Le attività industriali per riavviarsi non possono prescindere dai servizi necessari per la produzione: si pensi soltanto alle forniture idriche, ma anche ai servizi di depurazione, alla logistica, ai servizi di vigilanza. Queste attività, proprie dei consorzi aziendali, si accompagnano ad altre funzioni imprescindibili che vanno dalla assegnazione dei suoli alle espropriazioni che le precedono, fino alla valutazione dei piani industriali e dei progetti di insediamento di nuovi stabilimenti e all’ammodernamento di quelli esistenti. Come appare chiaro il ruolo, quello dei consorzi industriali, fondamentale per la tanto attesa fase due, quando saremo fuori ‒ perché lo saremo ‒ dall’incubo dell’emergenza Covid-19. Il Governo ha messo in campo, per ora, 200miliardi per le imprese, tanto da coprire almeno il 25% del fatturato dello scorso anno.
Ma è un dato di fatto che i consorzi aziendali, le Asi, sono Enti pubblici economici e per questo quasi sempre esclusi dagli aiuti messi in campo. La Confederazione per lo sviluppo economico, attraverso il suo Presidente, Giuseppe Romano chiede al Governo di provvedere alla sopravvivenza di questi Enti anche semplicemente prevedendo che banche e Cassa depositi e prestiti possano concedere finanziamenti ai consorzi Asi in maniera semplificata e automatica a richiesta degli stessi, prevedendo la garanzia da parte del Mise o delle Regioni di appartenenza.
Tutto questo, per gestire quello che all’inizio abbiamo definito “caos” e che in Italia può essere fronteggiato grazie a capacità che non si riscontrano in altri popoli europei. Nel nostro Paese è quasi normale che succeda, quello che non deve succedere. Una montagna che possiamo scalare perché non guardiamo mai la vetta. Gli italiani rispetto ad altri popoli hanno competenze storiche e non settoriali.
Questo fa ben sperare che quella parte del Paese che fa impresa stia già pensando al futuro, quando a metà maggio, seguendo le indicazioni della comunità scientifica, saremo fuori dalla stretta emergenza.
Pensare al futuro non ripetendo errori del passato soprattutto da parte di quel mondo imprenditoriale che non ha saputo, o non ha voluto, per mille condizionamenti, approfittare delle opportunità.
Basti solo pensare alle tante occasioni perdute ‒ trasformate in milioni di euro buttati al vento ‒ rappresentate dai fondi europei mai attivati da diverse Regioni italiane.
Sono, ad esempio, i fondi Feasr, per lo sviluppo agricolo e quelli Fesr per lo sviluppo regionale.
Sono in parte agevolazioni a fondo perduto e per l’anno 2019 ammontano a più di 38 milioni di euro.
Nei giorni appena precedenti a quelli terribili che stiamo vivendo, proprio il Cise ha firmato un protocollo con il Ministero dello Sviluppo Economico, con il quale si propone come soggetto attuatore per supportare i consorzi aziendali e le Asi, nella realizzazione di progetti finanziati con fondi europei.
La Campania sta facendo da apripista, mettendo sul palcoscenico nazionale e internazionale realtà imprenditoriali di eccellenza che non aspettano altro per decollare.
Un esempio per la fase due, che stiamo aspettando come la manna nel deserto, tassello indispensabile per contrastare la crisi economica che ci aspetta dopo la pandemia.

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